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Alla base molti avevano notato Nihal e lentamente una piccola folla di scudieri e soldati iniziò a seguire il suo addestramento.

Vederla battersi con Ido, la cui abilità era nota a tutti, divenne uno spettacolo imperdibile. Perché Nihal era agile, era brava, ma soprattutto era bella.

Non si poteva dire che rispondesse ai canoni tipici della bellezza, ma tutta la sua figura emanava fascino. Sotto le lunghe ciglia i suoi occhi viola avevano uno sguardo fiero. Era sottile come un giunco, ma aveva anche curve sinuose. Il modo in cui si muoveva in combattimento incantava chi la guardava. E poi, eccezion fatta per il suo maestro, che era l’unico con cui parlasse, era fredda come il ghiaccio.

Iniziò a essere considerata da tutti la preda ideale. Giravano addirittura scommesse su chi l’avrebbe irretita per primo. Ma Nihal continuava a camminare per l’accampamento con passo marziale ignorando gli sguardi che le venivano indirizzati. Le dava fastidio quando la osservavano con occhi troppo lascivi. Aveva smesso di considerarsi donna il giorno in cui Fen era morto. Ora era un guerriero e basta.

Ogni tanto qualcuno tentava di avvicinarla senza secondi fini, ma anche in quelle occasioni la ragazza manteneva un contegno distaccato.

Con le donne della base non andava meglio: la invidiavano per il successo che riscuoteva tra gli uomini, perché era forte, perché combatteva come un maschio. Certo, non mancavano le eccezioni. Un paio di ragazze avevano cercato di fare amicizia con lei, ma Nihal sentiva di avere poco in comune con quelle signorine che stavano in casa ad aiutare le madri e che aspettavano la maggiore età per convolare a nozze.

Era sola. E l’unico essere a cui rivolgeva le sue attenzioni non era un umano, bensì un drago.

Nihal era letteralmente innamorata di lui.

Sentiva che non avrebbe mai potuto cavalcare un drago che non fosse quella bestia imbizzarrita.

Dopo i primi approcci disastrosi, Ido l’aveva lasciata libera.

«Ti ho spiegato com’è fatto un drago e come ci si pone nei suoi confronti. Ora sta a te trovare il modo di farti accettare da lui. Quando salirai in groppa, inizieremo a lavorare sul serio.»

Così fu Nihal a scegliere i tempi e i modi di avvicinamento: si mise d’accordo con il guardiano della scuderia perché il drago fosse pronto per l’allenamento ogni giorno subito dopo pranzo.

La prima volta Oarf le apparve in fondo all’arena, sempre alla catena, e non appena la vide iniziò a brontolare.

Nihal rimase dalla parte opposta, ferma, a pugni stretti. Sentiva l’odio del drago, ma restò al suo posto. Era una sfida: doveva provare che era più forte di lui, che non avrebbe ceduto. Restò a fissarlo a lungo, cercando di sostenere quello sguardo rosso carico di disprezzo.

Per qualche giorno il guardiano si fermò ad assistere, ma il rituale si ripeteva sempre uguale: Nihal e Oarf si guardavano in cagnesco per tutto il pomeriggio. Una noia mortale.

A chi gli chiedeva notizie rispondeva invariabilmente: «Per me quella è matta. Sta lì impalata e lo guarda. Certo che questi mezzelfi dovevano essere degli strani tipi!».

Dopo i primi tempi Nihal iniziò a parlare con Oarf.

Si sedeva in fondo all’arena, gli occhi sempre incollati su di lui, e si sforzava di trasmettergli i suoi pensieri. Non era facile, e quando il tentativo falliva se la cavava con le parole. Pensava che più di tante moine potesse la forza della sua storia: era fermamente convinta che lei e quell’animale fossero legati dallo stesso destino.

Gli raccontò degli incubi che la tormentavano, della morte di Livon, della distruzione della sua città. Gli parlò di Fen, di quanto l’avesse amato, del modo crudele in cui l’aveva perduto e di quando aveva acceso la fiaccola alla sua pira nella speranza di catturare un po’ del suo spirito.

Oarf restava impassibile. Nessuna reazione, a parte un ringhiare sordo. Ma Nihal continuava. E al contempo cercava di penetrare la mente dell’animale.

Spesso Ido la osservava da lontano. Nihal stava agendo bene: Oarf la guardava ancora con sospetto, ma nei suoi fieri occhi rossi si cominciava a intravedere una luce di interesse.

Contemporaneamente Nihal combatteva.

Lei e Ido erano spesso impegnati in battaglia. Lo gnomo aveva deciso che Oarf li seguisse nelle retrovie.

Prima di ogni scontro, Nihal gli faceva visita. «La senti questa tensione? Questo silenzio? Ti chiamano, Oarf. Ti chiedono di tornare a combattere.»

Poi scendeva in campo con tutta la foga di cui era capace, sempre prima tra quelli del suo gruppo, incurante del pericolo. Molte battaglie le vinse, molte le perse, e dovette abituarsi a vedere il suolo coperto di cadaveri di commilitoni.

Ido continuava a redarguirla duramente. E ogni volta Nihal giurava che avrebbe cercato di cambiare, che avrebbe cercato di battersi con un altro spirito. Ma era inutile. Il rombo delle armi le dava alla testa.

Quando era in campo diventava un puro strumento di morte.

La marcia d’avvicinamento a Oarf continuò.

Nihal cercava di andargli ogni giorno più vicino, avanzando di un passo alla volta. Oarf non temeva più quell’accorciarsi delle distanze e si limitava a guardarla con sospetto. La ragazza sentiva che il drago non era più ostile, non la temeva. Ora voleva tentare di stabilire una comunicazione più profonda con lui.

Per due settimane passò i pomeriggi accovacciata di fronte a lui.

Era come quando aveva dovuto superare la prova nel bosco: si concentrava e tentava di captare il suo pensiero. Ido le aveva spiegato che tra un cavaliere e il proprio drago c’è comunicazione solo se entrambi lo vogliono. E Oarf al momento ancora non voleva.

Ma Nihal era sicura che ce l’avrebbe fatta.

Un giorno, per caso, arrivò un po’ prima del solito e vide l’entrata di Oarf nell’arena.

Il guardiano lo trascinava con l’aiuto di due nuovi inservienti. Era una scena penosa. Il drago recalcitrava, si impuntava sui posteriori cercando di resistere, ma subito dopo cedeva perché la zampa a cui era legata la catena era ferita. Avanzava a strattoni, tra le imprecazioni dei tre uomini e i suoi mugolii di dolore.

Nihal non si era mai accorta della ferita. Si maledisse per non essersi informata prima su come veniva trattato il suo drago. Quando Oarf si trovò al suo posto, lei raggiunse a grandi falcate gli inservienti, che stavano lasciando l’arena.

«Ehi, voi!» li apostrofò. «D’ora in poi non voglio più vedere quella catena!»

I due si guardarono ridacchiando.

«E tu che ne sai, signorina?» fece uno di loro. «Guarda che senza catena quello prima ti mangia in un boccone e poi se ne vola via!»

Nihal lo afferrò per il bavero. «Sono un futuro Cavaliere di Drago: ti consiglio di usare più prudenza quando parli con me.»

L’altro compare soffocò a malapena una risata. Nihal estrasse la spada e gliela puntò contro. «Sto parlando per tutti e due. Da domani niente catena. Se mi uccide, sono fatti miei. Se scappa, vi sollevo da ogni responsabilità: mi assumerò io la colpa di qualsiasi danno.»

I due inservienti si allontanarono in fretta.

Nihal si voltò verso Oarf: si stava leccando la zampa ferita, cercando con scarsi risultati di raggiungere anche la parte coperta dalla catena. Nihal prese ad accostarsi, la spada ancora in mano.

Oarf si mise in posizione d’attacco, ma Nihal era già molto vicina.

Il drago emise un ruggito di avvertimento.

Era pronto a lanciare una fiammata, quando Nihal vibrò un violento fendente con la spada. Tranciò di netto la cinghia di ferro della catena e sotto di essa scoprì una grossa ferita purulenta.

Oarf rimase stupito da quel gesto e ancora di più dal fatto che quella ragazzina si era inginocchiata e tendeva le mani verso la zampa.

Il drago avvertì un improvviso calore nella zona della ferita, un tepore piacevole, che sembrava spegnere il dolore che lo assillava.

Nihal percepì il sollievo dell’animale.