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La cosa incredibile fu che lei, che mai era montata da sola su un drago, riuscì immediatamente a metterglisi in groppa. Oarf si infuriò davvero e iniziò a sgroppare violentemente.

Nihal, per tutta risposta, si abbarbicò alla pelle abbondante del collo dell’animale. Oarf rincarò la dose e iniziò a ruggire per spaventarla, ma la ragazza non demordeva.

Il drago non si capacitava che quello scricciolo osasse tanto: era infuriato e stupito al tempo stesso. Voltò il muso verso Nihal ringhiando a più non posso, ma lei era galvanizzata. «Mi dispiace, amico mio, devi rassegnarti.»

Fu allora che Oarf spiccò il volo.

Iniziò a salire verso il cielo, sfruttando la spinta possente delle ali.

Nihal sentiva il vento che la investiva, le sembrava quasi di non riuscire a respirare. Chiuse gli occhi. Ebbe paura, molta. Poi però si rese conto che volava. Volava! In groppa a un drago! Al suo drago!

Aprì gli occhi e iniziò a urlare di gioia. Ora che attraversava le nuvole come una saetta e saliva sempre più in alto, sempre di più, si sentiva potente come una divinità.

Si aggrappò con tutte le sue forze e guardò giù.

Era a un’altezza vertiginosa: gli alberi dei boschi intorno alla base erano lontanissimi e svettavano dalla bruma come isole in un mare lattiginoso.

Fu bellissimo e spaventoso.

Durò un istante.

Oarf sembrò fermarsi in aria. Le sue ali si tesero, immobili. Poi si gettò a peso morto verso il basso.

All’inizio caddero lentamente, ma la velocità aumentò sempre di più mentre alberi, costruzioni, prati, terra si avvicinavano minacciosi.

Nihal si strinse al collo di Oarf cercando di resistere al vento che voleva trascinarla via. Fu presa dal terrore. «Io mi fido di te! Mi fido di te!» iniziò a strillare al drago.

In realtà non si fidava affatto.

La terra era vicinissima, l’impatto imminente e inevitabile.

Nihal urlò con quanto fiato aveva in corpo.

Proprio quando sembrava che il suolo non attendesse altro che il loro schianto, Oarf si risollevò e planò a volo radente sulla base, sfiorando i tetti delle costruzioni, mentre gli abitanti della cittadella fuggivano in ogni direzione.

Sotto le sue gambe, convulsamente strette ai fianchi del drago, Nihal poteva sentire i muscoli che si contraevano nello sforzo di battere le ali smisurate, lunghe quanto tutto il corpo dell’animale.

Era atterrita, aveva lo stomaco sottosopra e il cuore a mille: non vide Ido che usciva del comando e guardava in su a occhi spalancati, né sentì le maledizioni che lo gnomo urlò a lei e a quella dannata bestia.

Oarf, dal canto suo, si divertiva un mondo.

Era da molto tempo che non volava e si beava della sensazione del vento sulla pelle, del piacere del volo radente, della gioia di lasciarsi portare dalle correnti. Aveva dimenticato la sua insolente passeggera e si abbandonava con la temerarietà di un cucciolo a tutti i giochi di cui era capace in aria. Continuava a salire, a scendere a precipizio, a rallentare per poi accelerare di scatto.

Al culmine dell’entusiasmo iniziò a rotolarsi allegramente in cielo, capovolgendosi in capriole continue.

Per Nihal fu troppo: iniziò a veder terra e cielo che si scambiavano di posto in continuazione. Sotto e sopra non avevano più significato.

Le girò la testa. Le mani lasciarono la presa. Precipitò nel vuoto.

Fu investita da un vento furioso. Urlò senza neppure udire la propria voce.

Chiuse gli occhi. Che morte stupida, ebbe il tempo di pensare.

Poi sbatté violentemente contro qualcosa di duro e squamoso.

Sotto di lei il drago volava lento, planando dolcemente in direzione della base.

Nell’arena si era radunata una folla.

L’animale atterrò con delicatezza, quindi si accucciò in modo che potessero recuperare la ragazza. Ci fu un applauso per il mezzelfo reduce dal suo primo volo e molti complimenti per il drago che l’aveva salvata. Mentre la facevano scendere, dolorante e scombussolata, Nihal sussurrò: «Mi hai salvato la vita: ora sì che sei il mio drago» ma Oarf si allontanò sdegnato.

Aveva appena toccato terra, che ricevette un sonoro schiaffone. «Sei capace di fare qualcosa senza rischiare le penne? Dannazione, quand’è che ti darai una calmata?»

Ido la strappò dalle mani di chi la sorreggeva e Nihal cadde in ginocchio: le gambe non smettevano di tremarle.

«Non avevi mai tempo… io credevo che…»

Ido imprecò. «Dovevi aspettare, maledizione! Ma no, tu devi sempre fare di testa tua!»

Lo gnomo la costrinse ad alzarsi.

Nihal sentiva un dolore sordo in tutto il corpo e camminava a fatica.

Ido la trascinò per un braccio attraverso tutta la base finché non raggiunsero un edificio basso, isolato dalle abitazioni.

Poche finestre, e tutte fornite di sbarre.

Mentre un soldato chiudeva il chiavistello della sua cella, Nihal cercò di protestare: «Ti prego, Ido… Non volevo fare niente di male…».

«Schiarisciti le idee, Nihal» concluse lo gnomo, e andò via.

Nihal si appoggiò al muro.

La schiena le faceva malissimo.

Allungò la mano per tastarsi e sentì un forte bruciore: quando la ritirò vide che era sporca di sangue.

Era troppo stanca per recitare una formula di guarigione.

Si sdraiò prona sul pavimento e si addormentò.

Si svegliò qualche ora più tardi con una sensazione di fresco sulla schiena. Girò lentamente la testa e socchiuse un occhio: Ido le stava spalmando una pomata sulla ferita. Non si mosse. Non voleva che lo gnomo si accorgesse che era cosciente. Più della ferita, le bruciava sapere che quella volta il suo maestro aveva ragione.

«Ben svegliata» disse Ido.

Nihal tacque.

Ido si mise a spalmare l’unguento sulla ferita con maggiore energia. Nihal emise un mugolio di dolore.

«Hai spaventato tutto l’accampamento, contravvenuto ai miei ordini e fatto l’ennesima sciocchezza. Non so più come dirtelo, Nihaclass="underline" il tuo non è coraggio, è idiozia. Resterai qui fino a domani.»

Quando ebbe finito di medicarla lo gnomo se ne andò sbattendo la porta.

Nihal restò sdraiata a terra.

Era profondamente arrabbiata.

Con se stessa, perché sapeva di essere nel torto.

E con Ido, perché glielo aveva fatto notare.

L’indomani Ido andò personalmente a tirarla fuori dalla prigione.

Nihal aveva passato una notte orribile.

Quando era ancora nel dormiveglia, nel momento in cui il corpo non risponde alla mente ma si è ancora lucidi, la cella si era popolata di presenze eteree.

Nihal era rimasta paralizzata, senza riuscire a distogliere gli occhi da quelle figure insanguinate, sfregiate, mutilate che le sussurravano di vendicarle. Avrebbe voluto urlare ma aveva la gola serrata. Avrebbe voluto chiudere gli occhi ma erano spalancati nel buio.

Ed era tutta colpa di Ido.

Era lui che l’aveva sbattuta là dentro, dove nessun oggetto familiare poteva rassicurarla con la sua normalità.

Era lui che la ostacolava nel suo proposito di vendetta facendole tutti quei discorsi sull’amore per la vita, sulla paura, sul perché si combatte.

Lei non era come gli altri.

Non era una ragazza.

Non era neppure un semplice guerriero.

Era un’arma nelle mani dei morti.

Ido sostenne il suo sguardo carico di rancore. «Te lo sei meritato, Nihal. E lo sai.»

Per quel giorno non si dissero altro.

Nihal dovette occuparsi di Vesa e della manutenzione delle armi dello gnomo.

Non si allenarono e non le fu permesso di vedere Oarf.

20.

Un colpo di testa.

All’interno della sala del Consiglio l’atmosfera era pesante. I nove maghi, seduti sui loro scanni di pietra, ascoltavano seri le parole di Dagon.

«Le cose non vanno affatto bene, Sennar. Quanto territorio abbiamo perso negli ultimi tempi? Troppo, e tu lo sai: il nostro anello debole è la Terra del Vento. Non te ne faccio una colpa, tu ti stai comportando egregiamente, ti stai dimostrando degno dei miei insegnamenti…» Sennar sapeva che il Consigliere Anziano era l’unico a pensarlo. Si sentiva circondato da sguardi ostili. «Ma le forze del Tiranno hanno il controllo di cinque Terre, e in ciascuna di esse si producono incessantemente nuove armi e risorse per la guerra. Le nostre truppe sono numericamente inferiori e i Cavalieri di Drago troppo pochi. Occorre trovare una soluzione.»