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Aveva sperato che gli balzasse al collo, che gli dicesse che era contenta di vederlo. Ma Nihal non era più abituata a simili dimostrazioni d’affetto. Continuò a porgere pezzi di carne al drago, che scrutava sospettoso il mago con due enormi occhi scarlatti.

Passeggiarono per il campo. Nihal raccontò a Sennar dei progressi che aveva fatto con Oarf e del fatto che era riuscita a cavalcarlo, tacendogli però la reazione del suo maestro. Era ancora arrabbiata con Ido. Non si parlavano da giorni e l’allenamento era ancora sospeso.

Sennar ascoltava ma era stranamente taciturno. Continuarono a camminare, ma tutti i tentativi di conversazione di Nihal caddero nel vuoto.

«Oh, insomma, Sennar. Che cosa c’è?» gli chiese infine.

«Ti fa davvero piacere che sia venuto?»

«Che domande fai? Certo che mi fa piacere.»

«Era tanto tempo che non ci vedevamo e… Non so, Nihal. Sento che non hai più bisogno di me.»

La voce del mago era amara. La ragazza si fermò. «Non capisco che cosa intendi.»

«Voglio dire che tu non hai più bisogno di nessuno. Hai trovato il modo di vivere senza dipendere dagli altri, e non so se questo atteggiamento mi piace. Anzi, non mi piace per niente.»

Nihal lo guardò con freddezza. «La mia vita è affar mio, se non ti dispiace.»

«No, la tua vita non è solo affar tuo. È anche affar mio, e di Soana, e di tutti quelli che ti vogliono bene. Io non ti riconosco più, Nihal.»

Nihal fu colpita da quelle parole come da uno schiaffo. Sentì la rabbia montare. «Si può sapere che ti prende? Che accidenti stai dicendo? Che cosa avete tutti quanti contro di me? “Non devi odiare”, “così non va”, “non sei più la stessa”! Solo questo sapete dirmi. Ma tu sei forse nella mia testa? Sai quello che penso, quello che provo? Allora sta’ zitto e non parlare di cose che non conosci!»

Tra i due ragazzi calò un lungo silenzio. Poi Sennar abbassò gli occhi. «Devo partire. Non so quando tornerò.»

Nihal rimase interdetta. «E dove vai, stavolta?» chiese sottovoce.

«Nel Mondo Sommerso, a chiedere rinforzi.»

A Nihal ci volle un po’ per capire quello che il mago le stava dicendo. «Stai parlando del continente perduto?»

«Sì.»

«Perché tu?»

«È stata una mia proposta.»

«Capisco.» Nihal tirò un calcio a una pietra. «Bene. Fa’ come ti pare» concluse, poi si voltò e tornò a grandi falcate in direzione della scuderia.

Quante volte aveva già vissuto quella scena? Mille, le sembrava. Forse il suo destino era di vedere allontanarsi tutti coloro che amava.

Sennar la raggiunse, la agguantò per un braccio, la costrinse a voltarsi. Si mise a urlare. «Perché per una volta non dici quello che pensi? Perché non urli, non ti arrabbi? Fai qualcosa, maledizione! Dimmi che non vuoi che vada! Dimostrami che sei ancora una persona, e non una spada!»

Nihal si liberò dalla presa. Il sangue le pulsava alle tempie. Non si diede neppure il tempo di pensare. Agì d’impulso, come in battaglia. La mano corse all’elsa. Sguainò la spada.

Sulla guancia di Sennar comparve un lungo segno rosso.

Per un istante fu come se il tempo si arrestasse. Anche il sangue non fluì subito dal taglio, ma passò qualche attimo prima che colasse dal viso del mago fino a terra, in un’unica goccia.

Per la prima volta da quando aveva iniziato a combattere, a Nihal cadde la spada di mano. Aveva ferito Sennar, che innumerevoli volte l’aveva aiutata, protetta, curata. Sennar, che era l’ultima persona che le rimaneva, l’unico che la capiva, il suo amico. «Sennar… io…»

Il mago sorrise con amarezza. «Va bene. Parto con un ricordo di te che non mi abbandonerà.» Si sfiorò il taglio con le dita. «Torna a vivere, Nihal. Fallo per te. O magari per Fen, che ora non c’è più e che tu ami tanto.»

Sennar se ne andò senza voltarsi. Per la prima volta dopo la morte di suo padre, pianse.

Nihal non sapeva per quanto tempo era rimasta lì, sul viottolo di ghiaia, impietrita, a guardare il sangue di Sennar che lambiva il filo della sua spada. Le sembrava di non avere la forza di muoversi.

Fu Ido a riscuoterla da quel torpore. «Si può sapere dove ti eri cacciata? Forza, si sta facendo buio.»

Nihal lo seguì, consumò la cena e andò a letto.

Guardò a lungo il soffitto, non riusciva a dormire.

Poi sentì uno strano silenzio e si affacciò alla finestra. Nevicava.

L’allenamento non riprese per altre due settimane. Per i primi giorni a Nihal andò bene così. Da quando Sennar era partito non aveva voglia di fare niente. Passava le ore con Oarf, semplicemente guardandolo, mentre lui la studiava con aria interrogativa.

Alla fine della seconda settimana la ragazza pensò di aver scontato a sufficienza la sua colpa. Era ora che Ido ricominciasse a farla lavorare. Aveva bisogno di cancellarsi dalla testa l’immagine di Sennar con la guancia sfregiata, che le dava le spalle e si allontanava. Aveva bisogno di combattere. Decise di parlare al suo maestro.

Lo trovò che si lucidava l’armatura.

«Non toccherebbe a me?» gli chiese.

Ido non rispose.

Nihal andò subito al dunque. «Volevo chiederti scusa, Ido. Ammetto di essermi comportata da stupida. Ti prometto che d’ora in poi mi impegnerò a obbedirti. Ti prego solo di ricominciare ad allenarmi.»

Lo gnomo continuò imperterrito a far splendere la corazza dell’armatura.

«Ido?»

«Cosa, Nihal?»

«Ti prego. Dammi un’altra possibilità.»

Ido non la guardò neppure. «No, Nihal.»

La ragazza incassò il colpo ma non si arrese. «Perché no?»

«Tu pensi che basti venire qui con l’aria da agnellino?»

«Io non penso niente, Ido. Io voglio diventare un cavaliere e, ti giuro, ho fiducia solo in te. Io voglio obbedirti! È solo che non ce la facevo più ad aspettare. Sono stata una sciocca, lo so. Ma…»

Ido era passato ai gambali. «Domani parto per la battaglia. Ne riparleremo quando torno.»

«Cosa vuol dire “parto”?»

Ido si decise ad alzare gli occhi e li puntò in quelli di Nihal. «Che io e altri andremo a combattere.»

Nihal non credeva alle sue orecchie. «E mi lasci qui?»

«Io non porto con me guerrieri di cui non posso fidarmi. Ho fatto un errore di valutazione con te: sei ancora una bambina, che non sa trattenersi e fa solo quello che le pare.»

Nihal abbandonò ogni ritegno. «Non puoi farmi questo! Io devo combattere! Lo sai quanto è importante per me!»

«È proprio perché lo so che penso tu te ne debba staccare per un po’. C’è altro oltre alla guerra, lo capisci? Anche per te c’è un posto in questo mondo, un posto in cui tu possa sentirti a casa.»

Ma Nihal non capiva, non voleva capire. «Sei ingiusto, sei ingiusto!» urlò.

Ido non si lasciò commuovere.

Nihal corse a chiudersi nella sua camera.

Preparò tutto in segreto: lucidò la spada, mise i vestiti per la battaglia sul letto, pronti per essere indossati. La notte non dormì, l’orecchio teso a cogliere i preparativi di Ido alla partenza.

Non le importava che cosa avrebbe detto il suo maestro, né sapere contro chi combattevano e in che modo. Sentiva che il limite era stato passato. Combattere, ora e subito: questo bisognava fare.

Lo sentì uscire dalla capanna prima dell’alba. La neve cadeva a larghe falde. Le truppe iniziavano a muoversi. Nihal si avvolse nel mantello e uscì dalla finestra.

Scavalcò la recinzione della base e le camminò tutto intorno, in modo che nessuno la vedesse.

Per evitare di essere riconosciuta aveva deciso di indossare un’armatura. Avrebbe avuto problemi a muoversi in battaglia, ma confidava di farcela ugualmente.

Nella sua vita di guerriero aveva superato difficoltà anche maggiori.

Attese l’esercito sul limitare del bosco. Sul bianco della neve il suo mantello era troppo visibile, perciò decise di camminare nel folto, affidandosi all’udito per riconoscere il tragitto dei soldati dal loro passo ritmato. Attese a lungo, ma fu ripagata della sua pazienza: le truppe iniziarono a sfilare.