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Lo schieramento era ampio e la colonna di soldati assai lunga.

Nihal si posizionò in corrispondenza della coda e iniziò la sua marcia tra gli alberi. La neve amplificava lo scricchiolio dei suoi passi, ma era comunque impercettibile rispetto al fragore che producevano i soldati che marciavano. Continuò a sgusciare al fianco della colonna, furtiva come una donnola che fa la posta alla sua preda.

Sentiva indistintamente il mormorio dei soldati. Cercò di cogliere le loro parole, per capire qualcosa della strategia che avrebbero adottato in combattimento, ma la colonna era troppo lontana. Poco male. Saprò tutto all’arrivo.

Marciarono a lungo. Nihal non era abituata al peso della corazza. L’aveva rubata dall’armeria quella mattina stessa, dopo che l’accampamento si era svuotato. Aveva giudicato a occhio che le potesse andare bene, ma dentro ci stava davvero scomoda: le stringeva sul seno, era larga sui fianchi e le graffiava le spalle.

Vide lentamente il cielo imbiancarsi per l’aurora: la neve continuava a scendere imperterrita. Non si era ancora abituata a quello spettacolo: nella Terra del Vento non nevicava quasi mai. Si ricordava ancora lo stupore e la gioia della prima nevicata che aveva visto: Livon l’aveva portata sul tetto di Salazar e lei si era messa con il naso per aria a guardare i fiocchi che volteggiavano come petali nell’aria fredda. Poi, tra le risate del padre, aveva aperto la bocca e aveva cercato di mangiarli al volo.

Pensò per un istante alla sua prima battaglia. Risaliva solo a qualche mese prima, eppure era cambiato tutto.

Quella volta era stata emozionata, tesa. Impaurita, anche.

Ora camminava e basta. Non provava nulla se non impazienza. Era una marcia come un’altra, una nuova battaglia. Nient’altro.

Quando giunsero sul luogo dello scontro, Nihal si confuse con le truppe e riuscì a entrare nell’accampamento approfittando della calca.

L’elmo era una tortura proprio come se lo ricordava: le stringeva sulle orecchie e le faceva mancare l’aria. Così paludata muoversi era più complicato del previsto, ma fu contenta quando si accorse che poteva scegliere in che ruolo combattere: di solito era Ido che stabiliva la sua posizione, e invariabilmente la metteva tra le file centrali, dove l’impegno e il rischio erano minori. Ora non c’era nessuno che decidesse per lei.

Si diresse senza esitazioni verso la prima linea. Quel giorno avrebbe dato il meglio di sé.

Si mossero verso il campo di battaglia a metà mattina.

Fino a quel giorno Nihal aveva partecipato solo a incursioni a sorpresa o ad azioni volte a liberare piccole zone strategiche.

Quella era tutta un’altra impresa.

Per la prima volta si trovò di fronte la linea nemica. Tra lei e le truppe d’assalto del Tiranno c’erano solo poche braccia di distanza e uno spesso muro di neve, che le confondeva la vista e le entrava in bocca a ogni folata.

Una lunga linea nera, irta di lance e chiusa da scudi, le sbarrava la vista.

Era una linea viva. Ondeggiava come un serpente che coglie pigramente i raggi del sole e del serpente aveva la compattezza. Era un corpo unico di tanti fammin che si muovevano all’unisono, arti di un unico organismo mosso solo dalla volontà del Tiranno.

Lo spettacolo la turbò. Sentì il cuore accelerare.

Un generale che non aveva mai visto li passò in rivista, rinfrescando loro la memoria sul piano tattico: sarebbero partiti all’attacco per sfondare d’impeto il fronte nemico, penetrando fino alle seconde file. Quindi si sarebbero aperti in due ali per facilitare l’accerchiamento dei reparti più esterni.

«Al mio ordine, disperdetevi e iniziate la ritirata» concluse il generale allontanandosi.

All’improvviso Nihal vide un individuo magro raggiungere il generale e camminargli a fianco, la lunga veste sbattuta dal vento.

Sennar!

Si mosse, ma l’armatura la impacciava, la massa di soldati la ostacolava. Sennar! Voleva raggiungerlo, abbracciarlo stretto e pregarlo di perdonarla, di non partire, di restare con lei. Spinse bruscamente un guerriero, guadagnò terreno.

Poi quello si voltò.

Non era Sennar.

Era un mago, forse un rappresentante del Consiglio, ma non era Sennar. Sennar era partito.

Nihal provò una stretta al petto.

I Cavalieri di Drago sarebbero partiti dalla seconda linea. Tra loro Nihal intravide anche Ido, ma neppure per un istante provò rimorso per quello che stava facendo.

Si predispose a scattare al segnale d’attacco. Alla vista di tutti quei nemici il cuore le batteva all’impazzata, mentre la neve cadeva sempre più fitta. Nonostante il freddo, sudava sotto l’armatura.

Poi udì il grido che dava il via alla carica.

La prima linea iniziò una corsa precipitosa che per molti terminò sulle lance che i fammin avevano abbassato all’ultimo istante.

L’impatto con la prima linea nemica fu incredibilmente violento e nella confusione Nihal cadde a terra. L’armatura la salvò da un colpo d’ascia. Si rialzò a fatica. Iniziò a combattere.

I fammin sembravano spuntare dal nulla, moltiplicandosi. Il campo era già ricoperto di cadaveri.

Nihal cercava di non pensare a nulla, si gettava sul nemico con odio, ma lo scontro era diverso dal solito. Non c’erano davanti altre file di guerrieri ad attutire l’impatto. Le sembrava che tutti i nemici fossero su di lei. Faceva fatica ad avanzare. Non vedeva altro che una selva di lance, lame e spade che oscuravano il cielo.

Continuò a colpire, a menare fendenti in ogni direzione mentre il sangue arrossava la sua armatura.

Poi iniziò a cadere una fitta pioggia di frecce. Ma Nihal aveva smesso di prestare attenzione a ciò che le accadeva intorno.

Finalmente la sua mente si svuotò. Sennar, la solitudine, la morte, la sua missione: tutto si dissolse nell’aritmico cozzare delle spade e nei movimenti precisi del suo corpo. Persino il dolore fisico scomparve. Nihal non sentì il ferro delle lame nemiche che violava la sua carne.

L’urlo che ordinava la ritirata si levò inatteso. Il momento era ben scelto, perché sembrava davvero che l’esercito delle Terre libere fosse in svantaggio.

Nihal lo sentì, ma per lei non aveva senso ritirarsi. Quella era la sua guerra, era la sua vendetta contro il nemico, seguiva logiche diverse da quelle che muovevano il resto dei combattenti.

Ignorò il segnale. Gli altri guerrieri arretrarono rapidamente e lei rimase isolata tra gli avversari. Se ne accorse quando ormai il fronte amico era già due file oltre la sua posizione. Per un attimo rimase smarrita.

Dovunque si girasse c’erano esseri ripugnanti che si avventavano su di lei con asce grondanti sangue.

Un colpo alla testa le fece volare via l’elmo.

Un grido solo emerse dalle bocche dei fammin: “Un mezzelfo!”.

Nihal fece appello a tutte le sue forze. Avanzò verso il primo nemico, ma molti la assalirono da ogni lato. Quelle bestie ridevano, le bocche spalancate a mostrare le zanne, ridevano di lei.

Si fece prendere dallo sconforto. Iniziò ad agitarsi a caso, perdendo coordinazione nei movimenti. La colpirono ovunque, e ogni colpo andava a segno. Nihal sentì una gamba cedere. Si accorse di avere una ferita alla coscia. Cadde in ginocchio. In un attimo i nemici la sovrastarono. Ovunque si girasse c’erano solo fammin, che sghignazzavano divertiti da quella facile preda.

Ho paura?

La domanda le attraversò la mente come una folgorazione.

Le risuonavano nella testa le parole di Ido: La paura è un’amica pericolosa: devi imparare a controllarla, ad ascoltare quello che ti dice. Se ci riesci, ti aiuterà a fare bene il tuo dovere. Se lasci che sia lei a dominarti, ti porterà alla fossa.

No, non aveva paura.

Si muoveva automaticamente, schivando i colpi.

Sto per morire, pensò.

Non provò nulla. Solo un leggero fastidio alla gamba ferita.

Di colpo una fiammata investì alcuni dei fammin che le stavano intorno. Nihal si sentì afferrare saldamente per i capelli. Con le ultime forze si aggrappò alla mano che la teneva e un attimo dopo era in groppa a Vesa.