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I fammin superstiti si gettarono addosso al drago ululando di rabbia.

Una scure colpì Ido a un braccio, ma lo gnomo non se ne curò. Mentre Vesa sputava fuoco e fiamme, il cavaliere sguainò la spada e iniziò a infierire sui fammin. Il sangue scendeva copioso dalla ferita, ma lui continuò a combattere, e intanto con la mano libera stringeva a sé la ragazza per proteggerla dalle frecce.

Nihal guardò il suo maestro. Nonostante non gli avesse obbedito, era venuto a salvarla e ora stava rischiando la vita per lei.

Che cosa mi è successo? Perché non ho avuto paura? Perché non ho obbedito agli ordini?

Di colpo sentì l’enormità di quello che aveva fatto. Lacrime calde iniziarono a rigarle il viso sporco di polvere e di sangue.

Infine si levarono in volo. Dall’alto Nihal si accorse che l’accerchiamento non era andato a buon fine. Un gruppo avanzato rischiava di restare isolato in mezzo al nemico.

Chiuse gli occhi e riprese a piangere in silenzio.

Atterrarono alle spalle del campo di battaglia. Ido spinse bruscamente Nihal giù dall’arcione. La ragazza cadde ai piedi di un soldato.

«Mettila in cella con i prigionieri» ordinò Ido.

«Ma… non è uno dei nostri?»

«Fai quello che ti dico!» sbraitò lo gnomo riprendendo il volo verso il campo.

Nihal non protestò quando il ragazzo la prese per un braccio e la trascinò verso un gabbione.

Continuò a piangere, e non smise neppure quando si accorse che i suoi compagni di prigionia erano cinque fammin. I mostri non la guardarono, non la schernirono. Rimasero accucciati, sofferenti.

Nihal si ritirò in un angolo della gabbia e si rannicchiò con la testa tra le gambe per non vederli.

Fu allora che accadde qualcosa di strano: da quel gruppetto sparuto di prigionieri sentì provenire un flusso di dolore senza speranza, un’afflizione che non avrebbe mai sospettato in quelle creature.

Nihal rimase frastornata da quella sensazione.

La gamba le pulsava, aveva perso molto sangue.

Non ebbe neppure la forza di recitare una formula di guarigione.

Si sentì sola e perduta. Sennar…

Scivolò lentamente nell’incoscienza.

Dopo qualche ora in gabbia fu portata in infermeria, dove le medicarono la ferita, che si rivelò superficiale. Quando si sentì meglio volle andare a seguire l’esito della battaglia dal colle che sovrastava il campo. Passò lassù l’intera giornata, assistendo alla disfatta con le lacrime agli occhi.

Furono due giorni di combattimenti ininterrotti, di sangue e morte.

La battaglia si concluse con una disfatta: l’esercito delle Terre libere non guadagnò neppure un braccio di terreno. Sul campo rimasero centinaia di caduti.

Le truppe tornarono alla base con il loro carico di feriti. Nihal camminava a fatica, ma non volle l’aiuto di nessuno. Percorse lentamente, con la mente svuotata, lo stesso tragitto che due giorni prima aveva affrontato con tanta impazienza.

Ido la attendeva nella capanna, fumando come di consueto la pipa. Era seduto su un robusto seggio di legno con alcuni cuscini a sorreggergli la schiena. Le larghe fasciature che gli coprivano il busto e il braccio erano qua e là intrise di sangue.

Nihal entrò a testa bassa, incapace di guardarlo negli occhi.

Lo gnomo fumava con rabbia, emettendo piccole nuvole di fumo compatto che si dissolveva nell’aria fredda della stanza. La guardò a lungo con sguardo torvo. Dopo un tempo che a Nihal parve interminabile, si tolse la pipa dalla bocca.

«Si può sapere cosa ti è saltato in mente?»

Nihal alzò gli occhi su di lui. «Io… volevo combattere.»

Lo gnomo si mise a urlare. «Hai disobbedito a me, non hai rispettato l’ordine di ritirata, hai rischiato di mandare a monte la strategia! Hai fatto il gioco del nemico, Nihal!»

Nihal rispose con un filo di voce. «Perdonami, Ido. Non sapevo quello che stavo…»

«Non raccontarmi balle, ragazza! Sapevi perfettamente quello che facevi! Oh, se lo sapevi! E vuoi che ti dica perché l’hai fatto? Perché a te non importa niente né della tua vita né di quella degli altri. Tu vuoi solo uccidere! Tu non sei un guerriero. Sei un’assassina.»

Nihal strinse i pugni. «Ti sbagli.»

«Mi sbaglio? Cosa distingue l’esercito delle Terre libere da quello del Tiranno? Dimmelo, avanti.»

Nihal ci pensò, ma ora che le parole di Ido la ferivano così profondamente le sembrava di non trovare risposta. «Che combattiamo per la libertà…» balbettò.

«Non te lo sei mai chiesto, vero?» ghignò Ido. «Eh, già, per te conta solo la tua vendetta!»

«Non è vero!» disse Nihal alzando la voce.

Ido balzò in piedi e le puntò un dito contro. «Zitta! La differenza tra noi e loro è che noi combattiamo per la vita. La vita, Nihal! Quella che tu non conosci, che neghi con tutte le tue forze. Combattiamo perché tutti abbiano diritto a vivere la loro vita su questa terra, perché ognuno possa decidere che cosa fare della propria esistenza, perché nessuno sia schiavo, perché ci sia la pace. Combattiamo per la gente che ha ballato con noi in piazza, per il mercante che ci ha ospitato, per le ragazze che amoreggiavano con i nostri soldati. E combattiamo con la consapevolezza che la guerra è orribile, ma che se non lo facessimo il mondo che amiamo andrebbe distrutto! Non è l’odio che ci muove! È la speranza che un giorno tutto questo finisca. L’odio è quello del Tiranno!»

Ido si risedette di schianto e abbassò la voce. «Non hai ragione di stare qui. Non sai nemmeno perché combatti. L’unica cosa che sai è che vuoi morire.»

«No! Io non sono così!» urlò Nihal.

«Tu hai paura di vivere. Ogni volta che scendi in campo speri che arrivi un colpo di spada che ti sollevi dalla responsabilità di affrontare la tua vita.

Cosa credi, che ci voglia coraggio per morire? Morire è facile. È vivere che richiede coraggio. Sei una codarda, Nihal.»

«Io non morirò prima di aver dato una mano a salvare questo mondo!»

«Ti credi un’eroina? È questo che pensi? Ebbene, non lo sei!»

Nihal cadde in ginocchio, le mani serrate sulle orecchie e gli occhi pieni di lacrime. «Sta’ zitto, sta’ zitto!»

Ido si alzò e le andò incontro. Per un istante Nihal credette che volesse consolarla, ma lo gnomo le prese le mani e gliele allontanò con forza dalle orecchie.

«No, ora mi ascolti! Ho creduto che ci fosse del buono in te. L’ho visto sepolto sotto una montagna di rancore e ho sperato di poterlo tirare fuori. Ma tu non hai mai voluto darmi retta, hai sempre fatto finta che andasse tutto bene…»

«No! No!»

«Te lo ripeto. Qui per te non c’è più posto. Se cerchi un posto dove combattere, quello è l’esercito del Tiranno. Hai scelto tu di diventare una macchina di morte: va’ insieme ai tuoi simili.»

Nihal urlò. Le lacrime sgorgavano inarrestabili dai suoi occhi. In piedi di fronte a lei, Ido la guardava senza pietà. Si rannicchiò per terra e continuò a piangere, squassata dai singhiozzi. Le sembrava che non avrebbe mai più smesso, che avrebbe pianto per sempre.

«Che cosa avrei dovuto fare, cosa?» chiese al suo maestro sollevando il viso arrossato. «Ero solo una bambina, capisci? Una bambina! Che ne sai di quello che ho visto nei miei sogni, delle stragi cui ho assistito?»

Ido si chinò e la guardò negli occhi. «Di che cosa stai parlando? Che storia è questa?»

Nihal continuò a singhiozzare. «Io ho visto il massacro del mio popolo! Bambini, donne, uomini! Notte dopo notte, per una vita intera! Mi sussurrano parole incomprensibili, mi perseguitano, mi dicono di vendicarli! Che cosa avrei dovuto fare?»

Ido rimase un istante pensieroso, poi si sedette di fronte alla sua allieva. Le parlò con dolcezza. «Tu sei libera, lo capisci? Libera! Il posto degli spiriti non è su questa terra. Quell’odio è loro, non tuo.»