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Nihal si riscosse di nuovo. «E tutti quelli che sono morti? Per cosa sono morti? Qualcuno deve vendicare quella strage! Sono l’unica sopravvissuta di un popolo intero! Perché io?»

«I morti sono morti, Nihal. Chi è stato ucciso non ha altre possibilità in questo mondo. Non puoi fare niente per loro. Ma puoi fare qualcosa per chi è vivo, per chi subisce ogni giorno le atrocità del Tiranno.»

Lo gnomo scostò i capelli dal viso bagnato di Nihal. «Ascoltami. Anch’io ho visto cose terribili. Anch’io ho dovuto lottare contro l’odio che mi cresceva dentro. Poi ho capito che c’era gente che aveva bisogno di me. Per questo ho deciso di combattere. Io non so perché tu sia sopravvissuta. Ma sei qui, sei viva. Non puoi permetterti di sprecare la tua vita, perché non è solo tua, ma di tutta la tua gente.»

Nihal riprese a piangere, disperata, il corpo minuto scosso dai singulti.

Ido le cinse le spalle. «Piangi, piangi finché vuoi. Da quanto non lo facevi?»

Nihal non riusciva a fermarsi. «Ho visto morire mio padre. E poi Fen. Io lo amavo, Ido. Era lui che mi legava ancora a questo mondo, che mi dava una ragione per vivere. Dopo, mi è rimasto solo l’odio. Nient’altro.»

Ido guardò quella creatura sperduta e ne ebbe pietà. «Non è nell’odio che troverai una risposta, Nihal. Solo un ideale dà senso al combattere: non è facile trovarlo, non è facile essere coerenti con esso e perseguirlo, ma una vita, una lotta senza ideali non hanno significato.»

Le carezzò la testa.

Nihal continuò a piangere per tutta la giornata. I singhiozzi violenti si placarono, ma le lacrime non si arrestarono.

Ido non le disse altro. Era convinto che ora spettasse a lei trovare la strada. La lasciò seduta sul pavimento di legno della capanna, a singhiozzare con gli occhi premuti sulle ginocchia.

Mangiò solo, e durante tutta quella mesta cena ricordò tante cose che credeva di aver dimenticato, ma che non era mai davvero riuscito a rimuovere. I ricordi tornarono a graffiarlo.

Quando ebbe finito di cenare si accorse che dalla stanza di Nihal non proveniva più alcun rumore.

Socchiuse la porta.

Nihal era stesa sul letto, vestita, con la sua spada al fianco. Dormiva, e finalmente sembrava tranquilla.

Quando la mattina seguente Nihal si svegliò, le parve un giorno come un altro. Poi, con la consapevolezza che il risveglio porta con sé, iniziò a ricordare con dolore crescente quello che era accaduto. Affondò la testa nel cuscino.

Ido fece capolino dalla porta. «Buongiorno! Abbiamo dormito parecchio! Come ti senti?»

«La gamba mi fa un po’ male» rispose ricacciando indietro le lacrime.

«Mangia. Dopo ti porto in infermeria» disse Ido, e le mise sotto il naso una ciotola colma di latte.

Nihal aveva lo stomaco chiuso ma bevve lo stesso.

In infermeria le praticarono un incantesimo di guarigione: la ferita aveva iniziato a infettarsi.

A Nihal tornò in mente quando era stata sul punto di morire e per tre giorni consecutivi Sennar aveva evocato l’incantesimo più potente che conosceva, disputandola alla morte. Le sarebbe piaciuto che le mani che ora la sfioravano fossero le sue. Se ci fosse stato il suo amico quelle ore non le sarebbero sembrate tanto buie.

Ido rientrò all’infermeria nel tardo pomeriggio.

La trovò che guardava dalla finestra. Era tutto così calmo là fuori… Le sembrava che quel paesaggio bianco e addormentato assomigliasse alla sua anima. Il pianto l’aveva svuotata. Ora era calma.

«Nihal…»

La ragazza si girò verso il suo maestro.

«Devo parlarti.»

Ido si sedette sulla branda, accanto a lei. Nihal attese in silenzio.

«Credo sia meglio che tu ti allontani dal campo per un po’.»

Nihal sorrise amara, mentre le lacrime riprendevano a farsi strada lungo l’ovale del suo viso.

«Non ti sto cacciando, ragazza. Ma non ha senso che tu rimanga qui, ora. Voglio semplicemente che ti prenda una licenza. Certo, se vuoi rimanere non posso e non voglio obbligarti a partire. Ma se davvero vuoi trovare le ragioni di quello che fai, credo che tu debba andartene.»

Nihal lo guardò. «Io ho bisogno di qualcuno, Ido. Da sola non ce la faccio.»

«È una bugia, e lo sai: sei forte e ce la farai. Io non posso aiutarti più di così. Sei tu che devi scegliere: la vuoi questa licenza?»

Nihal fissò la coperta, indecisa. Forse Ido aveva ragione. Aveva bisogno di pensare. Doveva rimanere da sola. «Potrò stare via quanto voglio?»

«Tutto il tempo che vorrai. Io ti aspetterò.»

Nihal annuì.

Decise di andarsene quella notte stessa. Aveva capito di voler bene a Ido, non voleva lasciarlo: aveva vissuto troppi addii per sopportarne un altro.

Si alzò all’alba e sgusciò fuori dall’infermeria avvolta nel mantello. Faceva molto freddo. Entrò nella capanna del suo maestro dalla finestra, attenta a non fare il minimo rumore.

Non aveva molta roba da portare via: pochi vestiti, la sua spada.

E la pergamena con l’immagine di Seferdi. Quel foglio sgualcito assumeva ora un duplice significato: era tutto ciò che le restava delle sue origini e al contempo l’unico ricordo tangibile di Sennar.

Lo guardò a lungo, chiedendosi dove aveva sbagliato.

Che fosse davvero tutto in quel foglio il significato della sua esistenza? Lo aveva pensato spesso, ma ora non era più sicura di nulla. Arrotolò con cura la pergamena e la mise insieme ai panni nel fagotto che era tutto il suo bagaglio.

Passò dalla scuderia: non poteva andare via senza salutare Oarf.

Trovò il suo drago che dormiva. Sprofondato nel sonno sembrava meno feroce che mai. Nihal sentì una fitta di tenerezza per quell’animale. Lo accarezzò.

Il drago si svegliò. Con il tempo aveva imparato a capire quella ragazza, sapeva quando soffriva. La guardò e seppe che lo stava lasciando.

Nihal lo carezzò con più vigore. «Io devo andare, Oarf. Devo capire cosa desidero veramente. Solo allora potremo volare insieme.»

Oarf spostò il muso, sottraendosi alle carezze. Allora Nihal gli cinse il collo e appoggiò la testa sul suo petto. «Perdonami. Tornerò».

Oarf abbassò il muso sul capo di Nihal e restarono così per un po’: un drago e una ragazza, vicini.

Il sole iniziava a illuminare il cielo livido di neve: presto il campo si sarebbe svegliato.

Nihal prese un cavallo e vi montò in groppa con qualche difficoltà, perché la gamba aveva ricominciato a farle male.

Non appena ebbe varcato la soglia della base, lanciò l’animale al galoppo verso la foresta.

Ido si svegliò con un presentimento.

Andò in infermeria senza neppure vestirsi, correndo scalzo sulla neve soffice.

Il letto di Nihal era vuoto.

Si maledisse mille volte, perché non avrebbe dovuto parlare a Nihal della possibilità di andarsene prima che fosse guarita.

Tornò nella capanna imprecando contro tutti gli dèi, fece irruzione nella stanza di Nihal. Sul letto c’era una lettera.

Caro Ido,

perdonami se me ne vado così.

Non ti ho salutato perché sapevo che non mi avresti permesso di partire subito, e forse anche perché ero certa che se ti avessi visto ancora avrei cambiato idea.

Me ne vado e mi lascio alle spalle le mie lacrime e il mio dolore, che ho deciso di gettare via.

Non so se tornerò.

Non so se saprò vivere lontana dal campo di battaglia.

L’unica cosa di cui sono sicura è che, per la prima volta, voglio provare a capire chi sono.

Grazie per tutto quello che hai fatto per me.

Averti per maestro è stato importante. Sei il miglior guerriero che io abbia mai conosciuto, e l’unica persona che mi abbia aperto gli occhi. Addio.

La tua unica allieva.

21

Una nuova famiglia.

Nihal scese il fianco della montagna seguendo il corso di un ruscello che gorgogliava allegro tra le rocce imbiancate.

Dovette procedere a lungo su sentieri sconnessi e giunse in piano solo quando il sole era già alto. Il bosco iniziava a sfoltirsi. Il cielo si mostrava a tratti spezzando la trama marrone dei rami spogli.