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Il cavallo era stanco, lei esausta: aveva sempre più caldo e la gamba le bruciava. Si fermò; con quella mezza giornata di marcia aveva messo tra sé e la base abbastanza leghe per non cedere alla tentazione di tornare indietro.

Appena smontò da cavallo ebbe un capogiro. Si sedette su un masso e respirò profondamente. Provò a recitare un incantesimo di guarigione, ma si sentì di nuovo svenire. Se andava avanti così non ce l’avrebbe fatta. Doveva trovare del cibo e un posto dove riposarsi un po’. Dopo una dormita sarebbe stato tutto più facile e forse sarebbe anche riuscita a curarsi.

Si chinò e bevve avidamente dal ruscello: l’acqua gelida parve un nettare per la sua bocca riarsa. Scotto. Devo avere la febbre. Era stanca, e non solo fisicamente. Dopo solo mezza giornata di vagabondaggi, già le sembrava di non aver mai avuto una casa.

Guardò in alto: il cielo era ora di un blu profondo, senza neppure una nuvola. Volare via, andare lontano, non tornare più…

La riscosse uno strillo, una voce sottile e piena di paura. Nihal si alzò a fatica e iniziò a correre verso il luogo da cui proveniva quel grido.

Altre urla, un pianto disperato. Era la voce di un bambino.

Accelerò il passo per quanto le era possibile e sguainò la spada.

Giunse in una piccola radura, simile in tutto a quella in cui aveva superato la prova d’iniziazione alla magia.

Vide un bambino terrorizzato. Davanti a lui due enormi lupi grigi ringhiavano pronti ad attaccare.

Uno dei due animali balzò in avanti. Nihal scattò e si parò davanti al bambino, colpendo il lupo con un fendente. Lo ferì di striscio. L’animale si scagliò di nuovo e il suo compagno lo seguì a ruota. Questa volta la lama andò a segno: la testa del primo lupo schizzò via lasciando sulla neve una scia vermiglia, ma il secondo fu rapido ad addentare il braccio della ragazza.

Il bambino continuava a piangere coprendosi gli occhi.

Nihal urlò di dolore e si buttò a terra, cercando di staccarsi di dosso quella bestia famelica. Rotolarono come un solo corpo. I canini del lupo le laceravano la carne. Poi, con uno sforzo immane, lei puntò i piedi sul ventre dal lupo e lo spinse lontano.

Nel breve attimo in cui l’animale cercò di rialzarsi, Nihal gli fu sopra. Un fendente ben assestato gli tagliò la gola. Il mugolio strozzato del lupo morente si spense a poco a poco, lasciando spazio al silenzio ovattato della radura.

Nihal si accasciò sulla sua spada, il petto che si alzava e si abbassava alla ricerca d’aria. Si guardò intorno. Il bambino era rannicchiato ai piedi di un albero e singhiozzava piano.

Gli si avvicinò zoppicando, usando la spada come bastone. «È tutto finito. Non piangere. È tutto finito.»

Il bimbo si alzò e le abbracciò con forza le gambe. Nihal rivide se stessa bambina, sola nella foresta, terrorizzata. Gli accarezzò la testa.

«Dai, che sei un ometto coraggioso.»

Il bambino alzò il viso e la guardò con gli occhi pieni di lacrime. Era davvero molto piccolo. «Grazie, signore, grazie!»

Signore? Mi ha preso per un uomo! «Ti sei perso?»

Il bimbo scosse la testa. «No. Stavo giocando con i miei amici e siamo entrati nel bosco. Giocavamo a nascondino, gli altri si erano nascosti… e poi sono arrivati i lupi!» Tirò su con il naso.

Nihal si sforzò di sorridergli, ma le faceva male dappertutto. Era scossa dai tremiti e il sudore le si stava ghiacciando addosso. «Vuoi che ti accompagni a casa?»

Il bambino annuì.

«Come ti chiami?»

«Jona, signore.»

«Sei mai stato a cavallo, Jona?»

Lui scosse con decisione la testa.

«Bene. Vorrà dire che questa sarà la prima volta.» Lo prese per mano e si incamminarono nel bosco.

Il cavallo accorse subito al richiamo della ragazza.

«Metti un piede lì e tirati su» disse Nihal a Jona, e lo aiutò a salire con il braccio sano. Poi, con grande fatica, montò in sella anche lei.

Cinse Jona con un braccio e spronò il cavallo. Il bambino le si appoggiò al petto. «Ma tu sei una donna! Sei morbida come la mamma!» fece stupito.

Nihal sorrise debolmente. «Eh, già…» Tremava e iniziava ad annebbiarlesi la vista. Coraggio, Nihal. Puoi farcela.

«È lontana casa tua?»

«No, è dopo il paese, ti ci porto io.»

«Quanti anni hai?»

«Sette» disse lui con voce squillante. La paura era passata.

«Non devi andare nel bosco: la mamma non te l’ha detto?»

«Sì, ma se non ci vado gli altri mi dicono che sono fifone…»

«E tu rispondi che loro sono stupidi. Sei stato fortunato perché passavo io, ma se fossi stato da solo?» Nihal pensò che a quell’età aveva fatto cose ben più pericolose insieme a quegli scalmanati dei suoi amici. «Manca molto?» È tutto sotto controllo. Non sto così male.

«No, gira a destra, così facciamo prima.»

«Sei un’ottima guida, Jona.»

Nihal si ostinava a parlare nella speranza che il torpore non avesse la meglio, ma si sentiva esausta. Quella volta a Salazar stavo molto peggio. Non sto così male…

Sentì solo Jona che strillava: «Mamma! Mamma!».

Una donna corse incontro al bambino e lo strappò dal debole abbraccio di Nihal. «Jona! Che cosa è successo? Cos’è tutto questo sangue?» Lo strinse forte a sé, esaminandolo per vedere se fosse ferito.

«Ero nel bosco… c’erano i lupi… la signorina mi ha salvato…» Finalmente al sicuro tra le braccia della mamma, Jona ricominciò a piangere.

«Quante volte ti ho detto di non andare nel bosco, quante?» disse la donna accarezzando il viso del figlio.

Poi sentì un tonfo.

Il cavaliere che le aveva riportato il suo bambino era un fantoccio nero a terra.

Quando Nihal si riprese, la prima cosa che percepì, prima ancora di essere del tutto cosciente, fu la morbidezza della coltri nelle quali era avvolta. Spalancò gli occhi: su di lei era chino un volto infantile, vicinissimo.

«Mamma! Mamma! Si è svegliata!»

L’urlo del bambino le rimbalzò nella testa dolorante. Jona si rimise a guardarla con curiosità. Nihal sbatté le palpebre, infastidita dalla luce.

«Jona, togliti da lì! Lasciala respirare!»

Nel campo visivo di Nihal apparve una figura di donna: era giovane e formosa, con un bel viso cordiale. Ma dove sono finita?

«Come ti senti?»

Aveva una voce melodiosa e c’era una nota di sincera preoccupazione in quella frase.

«Male» sussurrò Nihal.

La donna sorrise. «È normale: le ferite erano gravi, avevi la febbre alta…» La donna fece un attimo di pausa. «Non so come ringraziarti per aver salvato mio figlio: ti sono immensamente riconoscente…»

Con un certo sforzo Nihal riportò a galla il ricordo di quello che era successo: il bambino, i lupi, il tragitto nel bosco. La memoria veniva meno dal momento in cui Jona le diceva che la casa era vicina.

«Non c’è bisogno di ringraziarmi» mormorò Nihal, e pregò perché la lasciassero in pace.

La donna dovette accorgersi della sua sofferenza, perché riprese a parlare a voce bassissima. «Hai avuto la febbre tutto ieri, poi stanotte è calata. Ti ho curato la ferita al braccio con qualche erba. Hai perso molto sangue, ma adesso va tutto bene. Ora dormi, ne hai bisogno.»

Così dicendo abbandonò la stanza e richiuse la porta dietro di sé.

Nihal assaporò il silenzio. Gettò un’occhiata fuori dalla finestra: la neve cadeva lenta e placida. Si tirò le coperte fino agli occhi e si sentì protetta.

Si accorse che l’ora di pranzo era vicina perché la casa si riempì di un piacevole aroma speziato: da dietro la porta provenivano rumori attutiti e, di tanto in tanto, la vocetta acuta di Jona.

La donna entrò nella stanza portando un vassoio di legno. Sopra c’erano una scodella e un tozzo di pane nero. Nihal cercò di sollevarsi, ma si sentiva troppo debole.