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Nihal aveva molto tempo per pensare: l’ambiente caldo e raccolto di quella piccola casa la faceva sentire fuori dal mondo, le permetteva di riordinare le idee.

Come prima cosa si era riproposta di non rimuginare sui suoi incubi. Le costava fatica, ma la vita quotidiana con Eleusi e Jona la aiutava. Non aveva mai visto come viveva una vera famiglia: la semplicità dei loro gesti, la genuinità dell’affetto che li legava erano totalmente nuove per lei. Neppure quando abitava con Livon aveva mai respirato quell’atmosfera.

Lo scorrere del tempo era scandito dalle occupazioni a cui Eleusi si dedicava: riassettare, preparare il pane, andare al mercato, tessere le stoffe che poi avrebbe venduto. La sera la donna si sedeva con suo figlio vicino al camino e gli parlava, gli raccontava storie, a modo suo lo istruiva, così che il giorno seguente, quando sarebbe andato dal saggio del villaggio con gli altri bambini per imparare, sapesse già qualcosa.

Dunque è così una brava madre? Nihal guardava Eleusi: non aveva mai conosciuto una donna come lei.

Erano passati circa tre giorni dall’arrivo di Nihal quando Eleusi tornò dal mercato con un paio di stampelle.

Entrò trionfante nella stanza di Nihal. «Visto cos’ho trovato? Con queste, se vuoi, potrai alzarti!»

Nihal volle subito sperimentare il nuovo acquisto. Si mise a sedere sul letto e prese le stampelle ma, quando fece per alzarsi, le girò immediatamente la testa, mentre il cuore le batteva impazzito.

Eleusi si preoccupò. «Forse sei ancora troppo debole.»

Nihal scosse la testa. «No, no, va tutto bene…» Puntò nuovamente le stampelle, ritentò e, dopo un paio di ondeggiamenti, riuscì a restare in piedi.

Fece qualche passo incerto. La luce della tarda mattinata la illuminava. Era la prima volta da anni che vestiva con qualcosa che non fosse la sua tenuta di battaglia. Si guardò: la camicia da notte le scendeva fino alle caviglie. Rimase a osservarsi a lungo, stupita.

«Cosa c’è, Nihal?»

«Niente, niente, è che…» Nihal arrossì alla confessione: «È la prima volta che mi vedo in gonna…».

Eleusi sgranò gli occhi. «Ma quanti anni hai?»

«Quasi diciotto» mormorò Nihal.

«E non ti sei mai vestita da donna?»

«Be’… no!»

Nihal ed Eleusi si guardarono per un istante, poi scoppiarono a ridere.

La ragazza insistette per prendere una boccata d’aria.

La neve ricopriva ancora la terra, abbondante. Formava una coltre sottile e soffice. Si fece aiutare a mettere gli stivali, si avvolse nel suo mantello e uscì, mentre Eleusi e Jona la osservavano dalla soglia.

Camminò avanti e indietro affondando le stampelle nel bianco, allegra, ma le sue gambe erano ancora malferme: ci volle poco perché cadesse a faccia in giù nella neve. Il freddo le punse la pelle, svegliandola dal torpore della convalescenza. Nihal si tirò su a sedere e scoppiò a ridere, contagiando con la sua allegria anche Jona, che le si buttò immediatamente addosso coprendola di neve.

Eleusi sorrise. «Ora basta, voi due! Jona, fila in casa! E tu, vuoi prenderti un raffreddore?»

Nihal guardò il cielo terso. «Dove sono nata non c’era mai la neve. È bellissimo.»

Nihal continuò ad allenarsi con le stampelle per tutta la giornata.

Eleusi la pregava di calmarsi un po’, ma lei non ci pensava nemmeno. Dopo tanta immobilità non le sembrava vero di poter camminare. Si sentiva viva.

Riuscì a farsi spostare nella stanza principale della casetta, in modo che Eleusi potesse riprendere possesso del suo letto. La donna riempì di paglia un grosso sacco di iuta, quindi lo ricoprì con lenzuola fresche di bucato e due spesse coperte di lana e lo mise di fronte al camino. Per essere un giaciglio improvvisato era straordinariamente comodo: Nihal ci si sentì subito a suo agio.

La sera mangiò a tavola con i suoi ospiti e dopo cena assistette allo spettacolo di Eleusi che tesseva al telaio.

Nihal non aveva mai visto una macchina come quella. Era enorme, tutta di legno: le sembrò un attrezzo sorprendente. Guardò affascinata i movimenti rapidi e precisi con cui Eleusi faceva correre la spoletta da un estremo all’altro dell’ordito.

Più tardi Eleusi la aiutò a coricarsi. «Sei una ragazza davvero singolare: non hai mai messo una gonna, non sei capace di tessere, hai i capelli corti, sai usare la spada. Sai, mi piacerebbe sapere da dove vieni… così, per curiosità…» La donna le indirizzò un sorriso sincero. «Ma se non ti va di parlarne va bene lo stesso. Davvero.»

Nihal, seduta sul giaciglio, guardò le braci del camino che si spegnevano lentamente. Le sarebbe piaciuto continuare a crogiolarsi in quella pace. D’altra parte la donna era stata tanto gentile con lei: era giusto che sapesse chi aveva accolto nella propria casa. Fece un respiro profondo. «Sono un guerriero, Eleusi. Vengo dal campo al di là delle montagne. La base, così la chiamano. Forse ne hai sentito parlare.»

«Hai disertato?» chiese Eleusi in un sussurro.

Nihal si lasciò scappare una risata. «Disertato? Come ti è venuto in mente?»

«Be’, sai com’è… Mi sono detta che è strano che lascino andare via un guerriero ferito senza averlo curato…» Improvvisamente Eleusi sembrava leggermente intimorita da quella strana ragazza.

«Non ho disertato» rispose Nihal. «Il mio maestro mi ha dato una licenza e io ho deciso di partire anche se non ero ancora guarita. Ecco tutto.»

Eleusi si sentì rassicurata. «Allora quando hai trovato Jona stavi raggiungendo la tua famiglia!»

«No» replicò Nihal tranquilla. «Io non ho una famiglia.»

Seguì un attimo di silenzio. Nihal guardò Eleusi negli occhi. Devo dirglielo. Devo.

«C’è un’altra cosa che devi sapere.» Nihal prese coraggio. «Sono… sono un mezzelfo.»

La donna rimase a fissarla per un lungo istante, incredula. «Io pensavo… Insomma, ero convinta che i mezzelfi non esistessero. Non più, almeno. Si dice che siano tutti…» Eleusi si fermò, a disagio.

«Morti?» fece fredda Nihal. «Lo sono. Tutti, tranne uno: io. Il mio popolo è stato sterminato dal Tiranno. Sono l’ultimo mezzelfo del Mondo Emerso. È per questo che voglio andarmene prima possibile, perché il mio destino sia solo mio e non coinvolga altri.»

Eleusi sentì tutta la tristezza di Nihal, tutta la sua solitudine. Una parte di lei le diceva di lasciarla andare, e presto anche. Ma una voce le suggeriva che non poteva abbandonare quella ragazza sperduta. «Perché non resti qui per un po’? Ti rimetti come si deve, fai compagnia a Jona… Ti è molto affezionato, sai? E poi siamo lontani dal villaggio. Se vuoi, puoi nasconderti… non farti vedere…»

Nihal la interruppe. «No, Eleusi. Credo che la prossima settimana riprenderò il mio viaggio.»

La donna annuì, delusa: si era abituata alla presenza di Nihal e si accorse che le dispiaceva che partisse. «Dove andrai?» le chiese.

«Non lo so.»

«Be’, ce l’avrai un amico, un fidanzato… qualcuno che ti aspetta…»

«Non c’è nessuno che mi aspetta. Viaggerò e basta.»

A quelle parole Eleusi insorse. «Oh, insomma Nihal! Vedi che ho ragione? Resta! Io e Jona siamo contenti che tu rimanga con noi. E poi potresti darmi una mano a tessere, a fare la legna… Staremo bene!»

Nihal abbozzò un sorriso. «Grazie, Eleusi, ma…»

La donna le prese una mano e gliela strinse. «Promettimi che ci penserai.»

Nihal ricambiò la stretta. «Ci penserò.»

Il giorno dopo, rientrando in casa, Eleusi trovò Nihal seduta vicino al camino, con la gamba sbendata e una mano appoggiata sulla ferita. Dalla palma aperta della ragazza proveniva una debole luce rosata.

«Che cosa stai facendo?» Nella sua voce c’era una nota di allarme.

Nihal sobbalzò e staccò la mano dalla gamba. «Niente… stavo solo guardando la ferita…» e si ricoprì.