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Nihal si rabbuiò. «Non ho mai conosciuto mia madre. Mi ha cresciuta un armaiolo.»

Eleusi si diede della stupida e riprese a camminare.

Quando giunsero al villaggio Nihal entrò in crisi.

Era pieno di gente, le girava la testa. Le parve di essere tornata ai tempi di Salazar, quando nella torre regnava la confusione e ovunque risuonavano voci, grida, risate. La nostalgia la prese a tradimento. In quella folla anonima le sembrava di rivedere i volti noti della sua città: i vicini, i ragazzini con cui giocava da bambina, i proprietari delle botteghe. Le sembrò quasi di scorgere Sennar, con la tunica svolazzante e senza lo sfregio sulla guancia. Chiuse gli occhi, frastornata.

«Perché non fate un giro mentre io vendo la stoffa? Ci incontriamo fra un’ora al mio banchetto: è in fondo alla strada» disse Eleusi, e le diede alcune monete, nel caso volesse comprare qualcosa. «Ah, Nihal… Tieniti Jona vicino!»

Nihal obbedì, stringendogli convulsamente la mano.

Il bambino prese a tirarla per un braccio con sguardo speranzoso. «Dai, andiamo a comprare qualche dolce? Eh? Ci andiamo?»

Nihal era indecisa. «Non so… Che cosa ne pensa tua madre?»

«In genere un dolcetto me lo compra sempre» fece lui con aria furba.

Che c’era di male, anche se mentiva? Nihal decise di accontentarlo.

Andarono da una vecchia che vendeva pochi biscotti e qualche mela candita. Fu contenta di avere clienti, e porse loro il pacchettino di dolci con riconoscenza.

Nihal si guardò intorno: anche le altre bancarelle avevano poca merce. Quella gente si sforzava di vivere normalmente, si vestiva bene per andare al mercato, passeggiava, si fermava a tirare sul prezzo. Ma la povertà aveva iniziato a insinuarsi anche in quel villaggio ai piedi della montagna. La guerra stava arrivando anche lì.

Improvvisamente un’ondata di voci le risuonò nelle orecchie. Il tuo posto non è qui. Impugna di nuovo la spada! Vendicaci!

Nihal si fermò, scosse la testa, chiuse gli occhi per scacciare quei pensieri. Quando li riaprì, Jona la guardava preoccupato. «Ti senti male?» Aveva in mano una mela candita e lo zucchero iniziava a impiastricciargli le dita.

«No, va tutto bene. Un capogiro, nient’altro.»

Jona le porse il pacchetto. «Magari hai fame. Prendi un biscotto, dai.»

Erano dolci semplici, ma a Nihal piacque il loro sapore casereccio.

Lei e Jona si aggirarono tra le bancarelle, soffermandosi a guardare i pesci di fiume che guizzavano ancora nei secchi, certe grosse mele che occhieggiavano da una cesta di vimini, i colori dei tessuti che pendevano da un tendone.

Nihal scoprì quanto fosse bello il mondo filtrato dagli occhi di quel bambino: era tutto nuovo, era tutto una scoperta. Jona era vivace, guardava ogni cosa con entusiasmo e chiacchierava senza fermarsi mai.

Dopo aver attraversato il mercato in lungo e in largo si fermarono presso un muretto. Era la prima volta che Nihal affrontava una lunga passeggiata senza stampelle: aveva bisogno di una pausa. Spazzarono via la neve che lo copriva, si sedettero e divisero l’ultimo biscotto rimasto.

«È vero che sei un soldato?» chiese a tradimento Jona.

Per Nihal fu come ricevere uno schiaffo: si era abituata all’idea che nessuno sapesse chi era. «Sì» rispose con noncuranza.

Jona la guardò ammirato. «Anche il mio papà è un soldato: lo sapevi? La mamma mi ha detto che non ti dovevo fare domande, se no diventavi triste, ma io ho visto la spada e allora ho capito!»

Nihal continuò a masticare facendo finta di niente.

Jona proseguì, imperterrito. «Hai ucciso molti nemici?»

«Qualcuno.»

«E i fammin? Sono davvero così brutti come dicono?»

«Anche peggio» tagliò corto Nihal.

Jona fece una pausa prima di tornare alla carica. «Senti, Nihal…»

«Dimmi, Jona.»

«Ma un giorno, quando stai meglio, mi insegni a spadaccinare?»

Nihal non poté impedirsi di sorridere. «“Spadaccinare”? Non credo che sarebbe una buona idea, sai? La guerra è una brutta cosa. Molto meglio la pace.»

«È che a me piacerebbe tanto essere come il mio papà. Se io imparo a fare il guerriero posso andare da lui, così facciamo finire in fretta la guerra e lui può tornare a casa da mamma.»

Il discorso non faceva una piega.

«Vedrai che la guerra finirà presto. Nel frattempo tu farai il bravo ometto e consolerai la tua mamma quando è triste.»

Jona non era convinto. «Sì, però… Dai, una volta giochiamo che facciamo un combattimento? Una volta sola!» chiese supplichevole.

«E così tu vorresti combattere con me?» disse Nihal, preparando di nascosto una palla di neve.

«Sì!»

«Sei proprio sicuro?»

«Sì» urlò Jona sempre più eccitato.

«In guardia, allora!»

Nihal saltò giù dal muretto e gettò la palla di neve addosso al bambino, che si buttò nella lotta con entusiasmo.

Si rincorsero attraverso i vicoli ridendo e lanciandosi neve finché non furono esausti. Nihal aveva recuperato il buonumore. Si sentì spensierata come quando era bambina. Avrebbe voluto vivere così per sempre.

Il banchetto di Eleusi esponeva le stoffe che la donna tesseva in casa, le uova delle sue galline e poche verdure dell’orto. D’inverno, e senza il marito ad aiutarla, non riusciva a produrre più di così. Lei e Jona vivevano di quello e dei proventi della sua attività di guaritrice.

Nihal si sedette accanto a lei e si mise a guardare la gente che passava. Erano solo uomini, delle altre razze non c’era traccia. I profughi vivevano tutti nei grandi centri, dove la possibilità di trovare un lavoro o qualcosa da mettere sotto i denti era maggiore.

«Le città sì che sono ricche!» spiegò Eleusi. «La gente che ha molti soldi vive lì: nobili, guerrieri che hanno acquisito grandi appezzamenti di terra grazie alla guerra. Gli altri stanno nelle campagne. Molti dei contadini che vedi non possiedono neppure la terra che lavorano, la coltivano per altri. Non c’è molta giustizia in questa Terra.»

D’un tratto un cavaliere si fermò proprio al loro banchetto.

Nihal si coprì il più possibile con il cappuccio: era uno della base, che combatteva nelle prime file. A quanto pareva Eleusi lo conosceva bene, perché si misero a chiacchierare.

Il cavaliere, però, guardava Nihal con una certa insistenza. Le sorrise. «Salve. Sbaglio o ci siamo già visti da qualche parte?»

Nihal abbassò gli occhi e scosse la testa. Il cuore le batteva nel petto. Si accorse che aveva paura di quel soldato. Aveva paura che la sua sola presenza potesse rompere l’incantesimo di quei giorni.

«Non credo. È una mia parente» mentì Eleusi. «È venuta a trovarmi da Makrat.»

Il soldato non staccava gli occhi da Nihal. «Una parente molto graziosa… Come ti chiami?»

«Lada» mormorò la ragazza dicendo il primo nome che le era venuto in mente, e mentre lo pronunciava si ricordò che l’aveva udito da un vecchio che si aggirava per Salazar pochi giorni prima dell’invasione.

«Lada. Bellissimo nome! E come ti trovi qui in…»

Fu Eleusi a interrompere quel tentativo di conversazione. «Lada, per favore, mi vai a cercare Jona?»

Nihal annuì e si alzò veloce. Un attimo dopo era già lontana.

Quella sera tornarono a casa con qualche soldo in più nelle tasche.

Di fronte a quei pochi spiccioli Nihal si sentì un’intrusa. Poco prima di coricarsi guardò Eleusi, seria. «Sei sicura che posso rimanere?»

La donna la fissò, stupita. «Certo! Perché?»

«Be’, sono una bocca in più da sfamare, voi non avete tanti soldi…»

Eleusi sorrise. «Non temere: troverò il modo per metterti al lavoro! Ora dormi, e finiscila con questi pensieri sciocchi.»

Nihal si coricò serena.

Quella notte, sola nel letto, pensò a tutto quello che era successo in quei pochi giorni. Iniziava a piacerle indossare abiti femminili, muoversi tra la gente senza che la spada accompagnasse i suoi passi. Si sentiva rinata: forse era davvero una Lada rediviva, una ragazza normale che conduceva una vita normale.