«Non temete, non credo sia grave» fece Eleusi rassicurante, quindi si avvicinò al ragazzo facendo segno a Nihal di avanzare.
La donna gli sbendò la testa e iniziò a esaminare la ferita. I suoi erano occhi esperti, attenti, e percorrevano il corpo del ragazzino soffermandosi su ogni particolare.
«Per ora vorrei solo che tu facessi qualcosa per il taglio» disse a Nihal. «A farlo rinvenire ci penso io. Ha un po’ di febbre, ma non dovrebbe essere un problema.»
Nihal annuì. Si rimboccò le maniche del vestito, si sedette sul letto e congiunse le mani. Sentiva gli sguardi dei presenti puntati su di lei come spilli. Cercò di concentrarsi ugualmente, quindi impose le mani sulla ferita. Non era profonda, non ci sarebbe voluto molto a farla rimarginare.
La madre si mise in agitazione. «Chi è la donna che hai portato con te?»
«Una mia amica. Mi è venuta a trovare dalla Terra dell’Acqua e sta da me per un po’.»
«Che cosa sta facendo al mio Doran?»
«Non ti preoccupare, sa quel che fa. È la mia aiutante.»
Ma non appena Nihal iniziò a pronunciare l’incantesimo e le sue mani furono circondate da un alone azzurrino, la donna si mise a urlare: «Una strega! Mi hai portato in casa una strega!» e la spinse via con violenza dal letto.
Nihal cadde a terra. Una ciocca di capelli scivolò fuori dallo scialle che le faceva da turbante.
La bambina puntò il dito su di lei. «Guarda, mamma! Ha i capelli blu!»
La donna fissò Nihal con odio. «Portatela via da mio figlio!» strillò.
Eleusi le si avvicinò. «Non devi avere paura» disse in tono pacato. «È un’amica, la conosco da tempo. È molto brava.»
Ma Mira continuava a ripetere «È una strega! È una strega!».
Nihal si era ritirata in un angolo: era come all’Accademia. Ricordava quegli sguardi ostili, quella diffidenza malcelata.
Eleusi non si diede per vinta. Alzò la voce. «Per salvare tuo figlio c’è bisogno anche di lei. Sono anni che curo la gente del villaggio. Ho curato tutti voi. Perché ora non vuoi fidarti?»
«Non voglio streghe in questa casa!»
«Come desideri, Mira. Andiamo, Nihal…» disse Eleusi dirigendosi verso la porta.
«Aspetta!» La donna si alzò riluttante dal letto del figlio e fissò Nihal negli occhi. «Prega che non gli succeda niente di male. O hai finito di vivere.»
Quando il ragazzino si riprese, Mira lo abbracciò piangendo.
Eleusi venne pagata con qualche moneta e un piccolo sacco di farina.
A Nihal non fu rivolta una sola parola.
Nel villaggio si sparse la voce. Mira ne parlò con le sue amiche e la notizia passò di bocca in bocca.
«È arrivata una strega…»
«Ha i capelli blu…»
«Ha fatto un incantesimo alla povera Eleusi!»
«Ma cosa dici!»
«Sì, non vedi che se la porta sempre dietro?»
«Forse è una spia del Tiranno…»
«Io ho detto a mio figlio che se lo vedo con Jona lo riempio di schiaffoni!»
Nihal aveva capito subito come sarebbe finita. L’anno all’Accademia le aveva insegnato che la paura può scavare a fondo nell’animo degli uomini.
«È meglio che non venga più con te. La gente ha paura di me, Eleusi» aveva detto appena fuori dalla casa di Mira.
«Ma no, è perché non ti avevano mai vista! Non farti scoraggiare, ci faranno l’abitudine…»
Ma la diffidenza riaffiorò anche la seconda volta, quando curò una donna che si era tagliata con un coltello, e pure la terza e ultima, quando salvarono una neonata dalla febbre. Da allora Eleusi non fu più chiamata a fare la guaritrice nel suo villaggio. Per trovare lavoro dovette spingersi nei paesi vicini, da sola.
Nihal all’inizio si impose di fare finta di niente: accompagnava Eleusi al mercato, si faceva vedere insieme a Jona, ma ovunque andasse percepiva gli sguardi ostili degli abitanti del villaggio.
Ben presto agli sguardi seguirono le parole. Frasi amichevoli, consigli che venivano dati a Eleusi da chi la conosceva. Quando Nihal non c’era la avvicinavano, le chiedevano chi fosse la straniera.
Eleusi si sperticava in lodi per la mezzelfo, raccontando con quanto coraggio avesse salvato suo figlio dai lupi, quanto fosse brava con la magia, che persona adorabile fosse.
Ma le altre donne non demordevano: «Ragiona, Eleusi. Ti sei messa in casa una che neppure conosci! Che sai di lei? Ha i capelli blu, è una strega, traffica con la magia» e ognuna diceva la sua, raccontando episodi sentiti da altri o inventati di sana pianta su streghe malefiche che si introducevano con l’inganno nelle case della brava gente per rapirne i figli.
Eleusi ascoltava piena di rabbia e qualche volta, anche se non l’avrebbe mai ammesso, il dubbio faceva breccia. Non sapeva davvero nulla di quella ragazza, ed era stata avventata ad accoglierla così, senza una domanda. Ma il ricordo di Nihal ferita, ai piedi del suo cavallo, cancellava ogni esitazione. Avrebbe difeso la sua nuova amica a tutti i costi, perché aveva un disperato bisogno di lei.
Nihal cercò di continuare la sua vita, ma l’incantesimo aveva iniziato a rompersi.
Avvertiva una specie di inquietudine, come un dolore sottile che cercava di venire alla luce dalle zone più profonde del suo animo. Si chiedeva quando fosse cominciato: forse nel momento in cui aveva impugnato l’ascia, forse quando aveva sentito gli sguardi d’odio della gente che era andata ad aiutare. Non lo sapeva. Però sentiva un richiamo lontano, che la ammaliava e la spaventava al tempo stesso.
Un giorno le cadde l’occhio sulla spada appoggiata al muro. Il fodero era ricoperto da uno spesso strato di polvere. Un istante dopo l’aveva sguainata: se la rigirò tra le mani, ne osservò l’elsa lavorata. Poteva ancora distinguere i colpi del martello di Livon, le scalfitture che i suoi arnesi vi avevano tracciato. La osservò a lungo. Poi uscì di casa e raggiunse il granaio. La ripose in un cantuccio, in modo da non doverla vedere tutti i giorni.
Una mattina di fine inverno andò al mercato da sola. Non era la prima volta: Nihal aveva capito che Eleusi voleva che diventasse un po’ più indipendente. Quel giorno era di buonumore. C’era un bel sole e l’aria fredda era corroborante. Decise di spingersi fino a un villaggio vicino, dove non la conoscevano: là poteva perdersi tra la folla anonima ed essere una tra tante.
Si divertì a curiosare tra le bancarelle, comprò dei dolciumi per Jona e persino un fazzoletto per sé. Ormai ne aveva una collezione. I capelli avevano iniziato a ricrescerle, morbidi e lucenti come erano prima che li tagliasse.
Si divertì a vagare per la piazza, ad ascoltare le chiacchiere delle comari. La gente spettegolava, parlava della guerra, di chi era lontano, di chi era morto, di come avanzava l’inverno, del raccolto, dei bambini. Ma l’argomento del giorno erano i mercenari sfuggiti alle truppe regolari dell’esercito delle Terre libere, che dopo aver disertato si stavano dando ai saccheggi. A quella notizia Nihal si sentì fremere, ma si impose la calma. Non ti riguarda, Nihal. Torna a casa.
Sulla via del ritorno volle passare attraverso il bosco. Quel tragitto allungava un po’ la strada, ma camminare tra gli alberi era un piacere a cui non poteva rinunciare.
Poi vide le tracce. Provenivano dal folto del bosco e si perdevano lungo la via del villaggio. Tracce di cavalli.
Nihal si chinò e le guardò con attenzione: erano passati da poco.
Sentì un tuffo al cuore. Affrettò il passo, veloce, sempre più veloce, fino a correre. Inciampò e cadde nella neve: la gonna la impacciava. Si rialzò di scatto e ricominciò la corsa. Per prima cosa prendere la spada. La spada è nel granaio. Anche se non c’è nessuno, e di sicuro non c’è nessuno, per prima cosa prendere la spada. Aveva paura, tanta, eppure era perfettamente lucida.
Quando giunse in vista della casa il cuore le si fermò per un istante: due cavalli sostavano sull’aia, annusando il terreno.