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Tese l’orecchio, ma sentì solo il sangue batterle alle tempie.

Girò silenziosa intorno alla casa, acquattandosi per non farsi vedere, e si arrampicò nel granaio.

Sguainò la lama e le sembrò che la sua mano si fondesse con l’elsa… che lei e la sua arma formassero un’unica entità.

Poi un urlo, seguito da alcune risate, le fece accapponare la pelle.

Quando irruppe dentro casa un uomo sovrastava Eleusi, che cercava disperatamente di divincolarsi, mentre Jona era tenuto fermo da un altro individuo.

Quello che tratteneva Eleusi si voltò. «Oh, vedo che ci sono ospiti. Be’, molta brigata vita beata!» disse ridendo, e liberò Eleusi gettandola in un angolo. «Ma che bella ragazzina! Vedo che ti piacciono le spade… Vieni a giocare con noi, vieni!»

Nihal scattò con un balzo e lo abbatté con un solo colpo.

L’uomo cadde a terra senza un lamento. Dalla sua gola schizzò un fiotto di sangue scuro. Eleusi urlò con quanto fiato aveva in corpo.

L’altro partì come una furia brandendo la spada e lo scontro ebbe inizio.

Il corpo di Nihal ritrovò in un istante tutta la sua agilità e la sua prontezza: si muoveva veloce, schivava e parava con precisione. Il cuore della ragazza cantava di gioia. Dopo tanto smarrimento, a Nihal sembrò di ritrovarsi: era di nuovo se stessa.

Dopo un primo attacco l’uomo si allontanò, schiumando di rabbia.

Nihal si deterse il sudore e ghignò: «È tutto quello che sai fare, bastardo?». Poi si slanciò ancora all’attacco, ferendo profondamente l’uomo a un braccio. Un attimo dopo lo aveva disarmato.

Il mercenario cadde in ginocchio, l’arma di Nihal puntata alla gola. «Non farmi del male, ti supplico, perdonami…»

Nihal lo guardò con disprezzo. «Raccogli quella bestia del tuo compare e vattene: non spreco il filo della mia spada per una carogna.»

L’uomo obbedì in tutta fretta: sollevò il suo compagno e si avviò verso la porta, ma Nihal lo fermò dicendo: «E ricordati: se osi rimettere piede in questo villaggio, giuro che ti faccio a pezzi».

«No, no, grazie, grazie…» rispose l’uomo in lacrime prima di dileguarsi.

Nihal rimase immobile al centro della stanza.

Aveva combattuto di nuovo. Aveva impugnato di nuovo la spada. E le era piaciuto. Sentiva la sua arma palpitarle nella mano, invitarla a riprendere insieme il cammino interrotto, a combattere di nuovo. Era felice, assurdamente felice.

Eleusi, rannicchiata contro un muro, stringeva a sé Jona.

«È tutto finito» disse Nihal avvicinandosi, ma la donna si ritrasse con un grido.

Ha paura di me. Quella consapevolezza fulminò Nihal. Eleusi, a cui si era attaccata come a un’ancora di salvezza, aveva paura di lei. La spada le scivolò di mano.

Eleusi si alzò, le andò incontro, fece per abbracciarla. «Perdonami, non volevo…» ma stavolta fu Nihal a ritrarsi. Si scostò d’un passo, vide la spada a terra, la lama rossa di sangue.

Corse via.

Nella penombra del granaio risuonava uno sgocciolio ritmico, preciso. Forse era la neve che si scioglieva lentamente. Del resto c’era il sole.

Nihal aveva chiuso la testa fra le ginocchia: quante volte aveva fatto così nella sua vita? Le venne quasi voglia di contarle.

Eleusi spuntò dalla scala a pioli. «Sei qui, meno male!»

Silenzio.

«Scusami, Nihal. È… è stato più forte di me. Ti sono infinitamente grata per avermi salvata, infinitamente… È che tutto quel sangue, quell’uomo a terra,

e tu che sembravi un’altra… Di’ qualcosa, ti prego.»

Nihal sollevò la testa e la guardò senza parlare.

«Ti fa male tenerti tutto dentro. Dimmi cosa pensi.»

«Non lo so che cosa penso.»

«Vuoi che vada via?»

Nihal si passò una mano sul viso. «Sì.»

Gli occhi di Eleusi si riempirono di lacrime. «Va bene. Come vuoi tu.»

Nihal aprì gli occhi e vide la luce filtrare attraverso la fessura tra le sue ginocchia. Era bastato riprendere in mano la spada per stravolgere tutto.

All’improvviso i colori splendidi di quei mesi con Jona ed Eleusi si erano dileguati. Sì, era stato bello, ma quella ragazza timida che aveva scorto nello specchio non era lei.

Non era stata sua la vita di quei mesi. Lei era la mezzelfo con la spada, quella che combatte sempre in prima fila, quella che si getta nella battaglia.

Che cosa devo fare? Nihal iniziò a battere ritmicamente la testa sulle ginocchia. Che cosa devo fare?

Rientrò in casa per l’ora di cena. Si sedette a tavola senza una parola e iniziò a mangiare.

Eleusi la guardò per un po’ senza sapere come comportarsi.

Jona taceva, cercando con lo sguardo gli occhi di sua madre.

Quando Nihal ebbe finito, posò il cucchiaio e fece per alzarsi.

Fu allora che Eleusi si mise a urlare.

«Dannazione, la vuoi piantare con questo silenzio? Fammi almeno capire cosa ti passa per la testa!» Jona trasalì.

Nihal la guardò con astio. «Non hai mai avuto bisogno di un attimo di pausa, Eleusi? Non hai mai sentito che le parole non servivano? Non ti ha mai sfiorato l’ombra di un dubbio, eh? Dimmelo! Hai mai avuto bisogno di pensare, tu?»

La donna diventò tutta rossa e si alzò di scatto dalla sedia. «Io… Qualsiasi cosa abbia fatto, non merito questo trattamento!»

«Perché non puoi fare uno sforzo e capire?» Anche Nihal aveva alzato la voce. «Pensi che il mondo giri intorno a te? Non hai fatto niente, e io non ce l’ho con te. Sono altri i miei problemi, e parlarne non serve. Te ne stai in questa casa, avvolta nella bambagia! Che ne vuoi sapere di quello che mi passa per la testa, di quello che accade nel mondo, di quello che succede in guerra?»

«Ma certo!» gridò Eleusi. «Che ne so io, stupida contadina a cui non vale la pena di raccontare niente? Quanto alla bambagia della mia casa, non mi sembra che ti sia mai dispiaciuta, visto come ti ci sei accomodata!»

Nihal prese il mantello e uscì. Quella notte dormì nel granaio.

Per qualche giorno fu come se il tempo fosse sospeso. La piccola casa gialla sembrava rinchiusa in una palla di vetro e le ore scorrevano in una calma innaturale. Tutti erano in attesa di qualcosa.

Jona di capire perché tutto sembrasse diverso.

Eleusi di scoprire che effetto avrebbero avuto le sue parole sull’amica.

Nihal, di una risposta. Non aveva sempre fatto quello, nella vita? Chi era? Perché era sopravvissuta? Qual era il suo compito in quel mondo? Se lo chiedeva da sempre. Chissà se esisteva davvero una risposta.

La cena era finita da un po’: Jona era a letto e il suo respiro regolare scandiva il silenzio della casa.

Nihal era fuori. Eleusi ne intravedeva la schiena china dalla finestra.

La donna uscì nel gelo della sera. La ragazza aveva indossato di nuovo i suoi abiti da battaglia. Aveva in mano la spada. Sulla neve risaltavano delle ciocche blu.

«Non avevi deciso di farli crescere?» chiese Eleusi.

Nihal abbassò la spada e guardò la donna. «Una volta avevo dei capelli lunghissimi, sai? Li ho tagliati la notte della mia prima battaglia.»

Eleusi non volle capire. «Che cosa vuoi dire? Che cosa c’entra questa storia?»

Nihal le sorrise dolcemente. «Lo sai, Eleusi. Non posso più restare qui. Devo tornare alla mia vita.»

La donna cercò di reprimere le lacrime con la rabbia. Alzò la voce. «Perché? Non stai bene qui? Forse è per la gente del villaggio? Si abitueranno a te, ci vuole solo tempo. Tu sei fatta per questa vita, e lo sai! Non puoi andartene!»

Nihal non aveva smesso di sorridere. Alzò la spada e la guardò brillare ai raggi della luna. «Ascoltami. L’altro giorno, quando l’ho impugnata, la spada mi ha parlato. Mi ha detto che devo seguirla, che devo fidarmi di lei, perché il mio destino è in lei. Combattere è l’unica cosa che so fare.» Nihal fece una pausa. «È l’unica cosa che mi piace fare.»