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La donna tacque: era proprio finita. Nihal era già lontana da lei, non le apparteneva più.

«Mi mancherai molto. Ti devo tanto. Se non fosse stato per te non so che fine avrei fatto» disse Nihal voltandosi verso di lei.

Eleusi continuò a guardare a terra. Le sue lacrime bucavano il tappeto di neve. «Mi hai fatto credere che la mia solitudine fosse finita, che saresti rimasta qui. L’hai fatto credere a me e a Jona. Ora che non ti serviamo più te ne vai.»

«Io non ti ho mai promesso che sarei restata» disse Nihal sottovoce.

«Ma me l’hai fatto credere in mille modi. Fa’ quel che vuoi, va’ via, va’ a uccidere e a morire, se è solo questo desideri!» Eleusi si alzò e rientrò precipitosamente in casa.

Nihal udì a lungo i suoi singhiozzi attraverso le pareti della casa.

Poco prima dell’alba fu pronta a partire. Preparò il cavallo, raccolse le sue cose, si mise il mantello. Poi salì nella stanzetta dove dormiva Jona. Il bambino respirava piano, a bocca aperta. Nihal lo scosse debolmente e lui aprì a fatica gli occhi assonnati.

«Che cosa c’è?»

«Sono venuta a salutarti.»

Il bambino si tirò su di scatto. «Perché?»

«Me ne vado, Jona.»

«No» piagnucolò lui. Due grosse lacrime gli scivolarono sulle guance.

«Non piangere, piccolo. Ci rivedremo. Io vado a “spadaccinare”, ma tornerò. E allora ci sarà il tuo papà, e io e lui insieme ti insegneremo a usare la spada. Devi solo avere un po’ di pazienza.»

«Non andare via» disse Jona singhiozzando, e l’abbracciò forte.

Nihal lo aiutò a distendersi e lo coprì. «Devo andare. Tu bada alla mamma. Sei l’uomo di casa, giusto?» disse sforzandosi di sorridere.

Lo baciò sulla fronte. Poi corse via fino al suo cavallo, con il pianto di Jona ancora nelle orecchie, e lo spronò al galoppo.

La pietra correva avanti e indietro lungo la lama sprigionando piccole scintille. Gli piaceva affilarsi la spada da solo e ci si dedicava con tutto se stesso. Nonostante il rumore coprisse ogni altro suono, Ido sentì che era arrivato qualcuno. Alzò gli occhi.

Sul limitare della capanna c’era una figura minuta, vestita di nero, in attesa. Il cuore gli balzò in petto. Era contento, ma non volle darlo a vedere. Tornò al suo lavoro. «Allora?» chiese.

«Ho vissuto, come mi avevi chiesto.»

«Hai capito perché combatti?»

«Non ne sono certa. Ora so cos’è la vita, so cos’è la pace, ma sento che devo combattere, che è l’unica cosa che posso fare. Non è la vendetta che mi spinge, ma qualcosa che ancora non capisco bene. Forse non ho ancora le idee abbastanza chiare per riprendere l’addestramento. Se non mi accetterai lo capirò, ma…»

«Basta così» la interruppe lo gnomo.

Nihal restò sulla soglia a testa china. Aveva paura. In quegli istanti si giocava la sua vita.

Poi si accorse che Ido le si era avvicinato. «Oarf ti aspetta. Inizieremo l’addestramento domattina.»

La ragazza abbracciò il suo maestro. Rise. Era tornata.