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Nihal iniziò a sentirsi scrutata da mille occhi, quasi che le foglie stesse avessero sguardi maligni. Si voltava a ogni rumore e camminava con passo malcerto dietro a Soana, che invece procedeva spedita. Più di una volta le venne voglia di dire che rinunciava, alla magia e a tutto il resto: non c’era nulla che valesse un simile sacrificio. Ma alla fine l’orgoglio fu più forte del terrore.

Camminarono per un’ora buona, finché giunsero in una piccola radura circolare, lambita da una polla di acqua limpida. Al centro della radura c’era una specie di rozzo sedile di pietra.

«È qui» disse Soana.

Nihal si guardò intorno col cuore in gola. «Ma cosa devo fare?»

«Siediti sulla roccia, libera la mente da ogni preoccupazione e pensa solo alla vita che ti cresce intorno. A un tratto la sentirai fluire attraverso il tuo corpo e quello sarà il segno che hai raggiunto la comunione.» La maga si incamminò sulla via del ritorno. «Ci vediamo tra due giorni.»

«Aspetta! E poi?» chiese Nihal nel disperato tentativo di trattenerla ancora.

«E poi io verrò e ti chiederò di mostrarmi il tuo potere. È tutto. A presto, Nihal.»

La ragazza cercò ancora di chiamarla, con voce sempre più alta e disperata, ma il bosco aveva già inghiottito la maga. Allora cadde in ginocchio e lo sconforto l’attanagliò così forte che iniziò a piangere.

Era sola. E aveva paura. Quanta non ne aveva mai avuta in vita sua.

Gli alberi spogli le parvero scheletri pronti ad assalirla e la radura una prigione di legno. Se gli spiriti maligni l’avessero visitata, chi l’avrebbe sentita urlare in quella solitudine immensa? Pianse per quasi un’ora. Poi, più per stanchezza che per altro, si calmò.

Un uccellino ritardatario si era posato poco lontano da lei e beveva dalla pozza con rapidi guizzi del capo. La scena la distolse dalle sue paure; cercando di fare il minor rumore possibile afferrò la bisaccia e ne estrasse un pezzettino di pane. Lo sbriciolò e lo gettò nei pressi dell’uccellino – doveva essere un piccolo migrante della specie dettatestaquadra – che dapprima sembrò spaventarsi, poi si convinse che non c’era pericolo e si buttò con foga sulle molliche.

Nihal mise qualche briciola sulla palma e lo tese all’uccellino, che le guardò sospettoso per qualche minuto prima di saltarle in mano. Nihal pensò che se nel bosco vivevano creature come quella, forse gli spiriti maligni non erano poi così numerosi come si diceva. D’altronde, indietro non poteva tornare, visto che non conosceva la strada.

Tanto valeva cercare di superare la prova.

Quando l’uccellino volò via Nihal fu di nuovo sola. Si accomodò sulla pietra e pose la spada al suo fianco, pronta per ogni evenienza.

Cercò di concentrarsi, ma si accorse che non era facile: scattava a ogni minimo fruscio e la mano correva subito all’arma. Purtroppo la Foresta era piena di scricchiolii di ogni sorta: se Nihal chiudeva gli occhi le sembrava di udire passi furtivi e l’unico modo per tranquillizzarsi era riaprirli e guardarsi intorno. Era assolutamente impossibile cercare di entrare in contatto con la natura in quelle condizioni, perché Nihal quella natura la sentiva nemica.

All’ora di pranzo era esausta.

Cercò di mangiare, ma aveva lo stomaco chiuso.

Tentò di dormire, perché si sentiva mortalmente stanca, ma non ci riuscì: la paura non le dava tregua.

Allora si gettò sull’erba e guardò il cielo al di sopra della radura: fantasticò di essere un uccello per poter volare via da lì, lontano, verso straordinarie avventure. Riprese a piangere sommessamente: sentiva il disperato bisogno di avere vicino qualcuno con cui parlare.

I guerrieri non piangono, i guerrieri non hanno paura, si ripeteva, e a poco a poco quella litania ebbe il potere di calmarla.

Si disse che avrebbe affrontato la prova con coraggio.

Si accomodò di nuovo sulla pietra e provò a concentrarsi. Le cose andarono meglio: si era abituata agli scricchiolii e non dava loro più peso. Iniziò persino a percepire la vita della natura, ma sentiva che quella vita scorreva accanto a lei senza neppure sfiorarla.

Quando iniziò a calare la notte si rese conto di non essere capace di accendere un fuoco. Il buio avanzava inesorabile e Nihal si sentiva sempre più sperduta: sgranava disperatamente gli occhi per cercare di vedere, ma l’oscurità la avvolgeva sempre più velocemente.

D’un tratto, uno scricchiolio diverso dal solito. Nihal tese le orecchie. Passi. Prese la spada e si mise in posizione di attacco.

«Chi è là?» domandò incerta.

Nessuna risposta. I passi continuarono a risuonare ritmici.

«Chi è?» chiese più forte.

Silenzio.

Allora si lasciò prendere dal panico. «Chi diavolo è? Rispondete! Rispondete!» urlò a squarciagola, mentre i passi erano ormai a pochi metri da lei.

«Zitta, Nihal, sono io!»

Sennar. Era la sua voce.

Nihal gettò via la spada e gli si avventò contro piangendo. Lo tempestò di pugni sul petto, ma quando sentì le sue braccia che la stringevano lo abbracciò con forza, singhiozzando senza ritegno e dimenticando che si trattava del suo più acerrimo nemico.

«Su, su, non piangere. Ora ci sono qui io. È tutto finito.»

Per prima cosa Sennar accese il fuoco. Cercò qualche bastoncino secco, ne fece un mucchietto e vi pose sopra la mano. Essa divenne insolitamente luminosa e poco dopo il fuoco avvampò allegro e scoppiettante. Nihal si era asciugata le lacrime ma singhiozzava ancora rannicchiata in disparte.

«Sono venuto di nascosto, non credo che Soana avrebbe approvato.» Sennar ridacchiò. «È che so quanta paura ha la gente della Terra del Vento della Foresta e immaginavo che fossi terrorizzata. Scusami se ti ho spaventata, non volevo.»

Nihal tirò su col naso. «Grazie.»

«E di che? I nemici bisogna tenerseli cari!»

La ragazzina sorrise. Era felice di non essere più sola. Il fuoco crepitante le dava sicurezza e improvvisamente la radura le sembrava una stanzetta accogliente.

Sennar si mise a preparare la cena. «Non devi aver paura, Nihal. Credimi, non c’è niente di malvagio nella natura; niente spiriti maligni né mostri.

Sono gli uomini a essere malvagi. La natura ti sarà nemica finché tu la sentirai tale: quando smetterai di temerla ti accoglierà tra le sue braccia. È questo il segreto della prova.»

Le porse un pezzetto di carne arrostita. Era deliziosa.

Il cibo e lo scampato pericolo ammorbidirono la ragazzina. «Anche tu hai sostenuto questa prova?»

«No» rispose Sennar a bocca piena «non ce n’è stato bisogno.»

Nihal si incuriosì, e lasciò cadere anche l’ultima barriera. «Perché non ce n’è stato bisogno? E perché hai deciso di fare il mago? Sei misterioso!»

«Vuoi sentire la mia storia, insomma.»

Nihal annuì.

«Sei fortunata. Non si può dire che la mia vita sia stata noiosa. Niente di strabiliante, ma mi sono successe un po’ di cose, e mi sono mosso parecchio.»

Sennar incrociò le gambe e iniziò a raccontare.

«Come già sai, sono nato nella Terra del Mare e sono vissuto a lungo su un campo di battaglia. Mio padre era scudiero di un Cavaliere di Drago e mia madre era l’unica donna della guarnigione.»

«Era una guerriera!» lo interruppe Nihal con gli occhi che brillavano.

Sennar rise. «No, era solo innamorata. Aveva conosciuto mio padre perché abitavano nello stesso villaggio e quando lui volle fare lo scudiero lei lo seguì. Così, fin da piccolo sono stato in mezzo alle armi. Un po’ come te.» Si stese sull’erba: il cielo era limpido e le stelle chiare. «Hai mai visto un Drago del Mare?»

Nihal scosse la testa.

«È la più incredibile creatura che tu possa immaginare: è una specie di serpente con le scaglie di un blu intensissimo che a seconda della luce cambia di sfumatura, fino a diventare quasi verde. E poi vola. È… è straordinario!» disse Sennar.