«Rachel Mills, probabilmente» disse Tickner. Sollevò gli occhi al cielo del primo mattino. «Che cosa significa, quindi?»
«Forse la vittima lavorava con la Mills, e lei gli ha tappato la bocca per sempre.»
«Davanti a Seidman?»
«Mah. La BMW Mini mi dice comunque qualcosa; una macchina così ce l’ha anche la socia di Seidman, quella Zia Leroux.»
«Ecco chi l’ha aiutato ad andarsene dall’ospedale.»
«Abbiamo diramato un mandato di ricerca per quell’auto.»
«Sicuramente l’avranno già abbandonata e ne avranno presa un’altra.»
«Sì, è probabile.» Poi Regan s’interruppe. «Guarda, guarda.»
«Che c’è?»
Il detective gli puntò un dito sulla faccia. «Non hai gli occhiali da sole.»
Tickner sorrise. «È un brutto segno?»
«Magari invece è un buon segno, considerando come si sta mettendo questo caso.»
«Sono venuto a dirti che non me ne occupo più, anzi più precisamente è l’FBI che non se ne occupa più. Se potessi dimostrare che la bambina è ancora viva…»
«… e sappiamo entrambi che non lo è…»
«… o che l’hanno portata in un altro stato, probabilmente potrei riprendere le indagini. Ma questo caso non è più competenza dell’FBI.»
«Torni al terrorismo, Lloyd?»
Tickner annuì, riportando poi lo sguardo al cielo. Si sentiva a disagio senza gli occhiali da sole.
«Che cosa voleva, poi, il tuo capo?»
«Dirmi quello che ti ho appena detto.»
«Capisco. Nient’altro?»
«Che il proiettile che aveva ucciso Jerry Camp era stato esploso accidentalmente.»
«E il grande capo ti convoca nel suo ufficio prima delle sei del mattino solo per dirti questo?»
«Sì.»
«Sissignore.»
«M’ha detto anche che di quell’indagine si era occupato personalmente, lui e la vittima erano amici.»
Regan scosse il capo. «Questo vorrebbe dire che Rachel Mills ha amici influenti?»
«No, perché se riesci a inchiodarla per l’omicidio di Monica Seidman e il rapimento della bambina nessuno te l’impedirà.»
«Però non bisogna fare collegamenti con l’uccisione di Jerry Camp, giusto?»
«Hai capito benissimo.»
Si sentirono chiamare: nel giardino del vicino era appena stata trovata una pistola. Fu sufficiente annusarla per rendersi conto che quella pistola aveva sparato di recente.
«Proprio a portata di mano» osservò Regan.
«Esatto.»
«Hai qualche idea?»
«No.» Tickner si voltò a guardarlo. «Il caso è tuo, Bob, lo è sempre stato. Buona fortuna.»
«Grazie.»
Tickner si allontanò.
«Senti, Lloyd» lo chiamò Regan.
Tickner si fermò. La pistola era stata infilata in una busta di plastica, Regan gli diede un’occhiata e poi abbassò lo sguardo sul cadavere.
«Non sappiamo ancora che cosa sta succedendo, vero?»
Tickner si avvicinò alla sua auto. «Non abbiamo nemmeno un indizio.»
Katarina si teneva le mani in grembo. «È morto davvero?»
«Sì» rispose Rachel.
Verne se ne stava in piedi a braccia conserte, visibilmente arrabbiato, da quando gli avevo detto che Perry era il bambino che avevo visto dentro la Honda Accord.
«Si chiamava Pavel, era mio fratello.»
Aspettammo che aggiungesse qualcosa.
«Non era un uomo buono, l’ho sempre saputo. Lui a volte era crudele, il Kosovo ti riduce così. Ma arrivare a rapire una bambina?» Scosse il capo.
«Che cos’è successo?» le chiese Rachel.
Ma lei non staccava gli occhi dal marito. «Verne?»
Lui non la guardò.
«Ti ho mentito, Verne. Ti ho mentito tanto.»
Lui si sistemò i capelli dietro le orecchie e batté le palpebre. Lo vidi inumidirsi le labbra. Ma continuò a non guardarla.
«Non vivevo in una fattoria» disse. «Mio padre morì quando avevo tre anni, mia madre accertava ogni lavoro che riusciva a trovare. Ma non ce la facevamo, eravamo troppo poveri. Ci nutrivamo con le bucce che trovavamo nell’immondizia. Pavel batteva la strada, chiedendo l’elemosina e rubando. A quattordici anni cominciai a lavorare nei sex club, non puoi immaginare che vita facessi, ma in Kosovo non c’è alternativa. Volevo uccidermi, non ti so dire quante volte ci ho pensato.»
Sollevò il capo guardando il marito, che però continuava a guardare altrove. «Guardami» gli disse. Ma lui la ignorò. «Verne?»
«Questa è una faccenda nostra, di’ loro quello che devono sapere.»
Katarina si mise le mani in grembo. «Vivendo come facevamo noi, dopo un po’ non si pensa più ad andarsene, non si pensa alle cose belle, alla felicità, a nulla di tutto questo. Si diventa come gli animali, che pensano soltanto a cacciare e a sopravvivere, e non so nemmeno perché lo si faccia. Ma un giorno Pavel mi disse che aveva trovato un sistema per migliorare le cose.»
S’interruppe e Rachel le andò vicino. Lasciai a lei l’iniziativa, lei aveva esperienza d’interrogatori e, a rischio di passare per sessista, pensai che Katarina si sarebbe trovata più a suo agio se fosse stata una donna a tirarle fuori la verità.
«Qual era questo sistema?» le chiese Rachel.
«Mio fratello ha detto che avrebbe potuto farci guadagnare dei soldi, e ci avrebbe portato in America, se fossi rimasta incinta.»
Pensai, o meglio sperai, di avere capito male. Verne si voltò di scatto verso di lei. Questa volta Katarina era preparata e lo guardò fisso.
«Non capisco» disse lui.
«Io come prostituta valgo qualcosa, ma un bambino vale di più. Se fossi rimasta incinta qualcuno ci avrebbe portato in America, pagandoci per giunta.»
Nella stanza scese il silenzio. Fuori si udivano ancora le voci e le risa dei bambini, ma sembravano improvvisamente lontani, una specie di eco indistinta. Fui io allora a parlare, cercando di farmi strada in quella nebbia che sembrava avvolgerci. «Ti hanno pagato in cambio del bambino?» le chiesi, inorridito e incredulo.
«Sì.»
«Gesù santo!» esclamò Verne.
«Non puoi capire.»
«Eccome se capisco. E tu hai fatto così?»
«Sì.»
Verne girò all’improvviso la testa, come se avesse ricevuto uno schiaffo. Alzò una mano afferrando la tendina e si mise a guardare i suoi bambini.
«Nel mio paese se hai un bambino e non lo vuoi tenere lo mettono in un orribile orfanotrofio. Le coppie americane hanno una gran voglia di adottare, ma è difficile, ci vuole un mucchio di tempo, a volte anche più di un anno. E nel frattempo il bambino vive in miseria e squallore. I genitori devono pagare gli impiegati statali, è un sistema così corrotto.»
«Capisco. Tu quindi l’hai fatto per il bene dell’umanità?» le chiese il marito.
«No, l’ho fatto per me, soltanto per me. Va bene?»
Verne trasalì e Rachel posò una mano sul ginocchio di Katarina. «Quindi lei è venuta in America?»
«Sì, con Pavel.»
«E poi?»
«Ci sistemammo in un motel. Andai a farmi visitare da una donna con i capelli bianchi, che controllò le mie condizioni e si accertò che mangiassi abbastanza. Mi diede dei soldi per comprare cibo e altre provviste.»
Rachel annuì per incoraggiarla. «E dove nacque il bambino?»
«Non lo so. Arrivò un camioncino senza finestrini, e la donna con i capelli bianchi mi fece partorire là dentro, ricordo che udii il pianto del piccolo. Poi lo portarono via e non ho mai saputo nemmeno se fosse un maschio o una femmina. Quindi ci riportarono al motel e la donna dai capelli bianchi mi diede dei soldi.»
Katarina scrollò le spalle.
Ebbi l’impressione che mi si fosse fermato il cuore. Tentai di assorbire quanto avevo udito, di vincere l’orrore. Guardai Rachel e stavo per fare una domanda, ma lei mi bloccò con lo sguardo. Non era il momento di trarre conclusioni, ma di raccogliere informazioni.