Выбрать главу

La guardai e lei notò qualcosa nel mio sguardo. Lo vide anche Verne, che emise sottovoce un gridolino di apprezzamento.

«Hai intenzione di minacciarlo?» mi chiese Rachel.

«C’è in ballo la vita di mia figlia.»

«E vorresti applicare la tua legge…? Un’altra volta?» aggiunse poi.

«In che senso?»

«Hai minacciato con la pistola una minorenne.»

«Stavo solo cercando di spaventarla, tutto qui, non le avrei mai fatto del male.»

«La legge…»

«La legge non ha fatto un accidenti per aiutare mia figlia» dissi, cercando di non alzare la voce. Con la coda dell’occhio notai che Verne assentiva vigorosamente. «La legge è troppo occupata a incastrare te.»

Si raddrizzò di scatto. «Me?»

«È quello che mi ha detto Lenny mentre eravamo a casa sua. Pensano che sia stata tu, che io non c’entri nulla, che volevi a tutti i costi rimetterti con me o qualcosa del genere.»

«Che cosa?»

Mi alzai. «Ascolta, io vado da questo Bacard. Non ho intenzione di fare del male a nessuno, ma se lui sa qualcosa di mia figlia lo scoprirò.»

Verne levò il pugno al cielo. «Bravo!»

Gli chiesi se poteva lasciarmi ancora la Camaro e lui mi ricordò che potevo contare sul suo aiuto al cento per cento. Pensavo che Rachel avrebbe avuto ancora qualcosa da ridire, ma non fu così. Forse sapeva che non avrei cambiato idea o forse sapeva che avevo ragione. Oppure, molto più probabilmente, era ancora sbigottita dalla notizia che i suoi ex colleghi la considerassero capace di commettere un crimine simile.

«Vengo con te.»

«No.» Lo dissi con un tono che non ammetteva repliche. Non avevo idea di che cosa avrei fatto una volta che mi fossi trovato davanti Bacard, ma sapevo di essere capace di tante cose. «Ciò che ho detto prima vale ancora» ripresi, nel mio consueto tono professionale. «Ti telefonerò non appena sarò arrivato allo studio di Bacard. Ci occuperemo di lui e della Vanech contemporaneamente.»

Non attesi la risposta di Rachel. Risalii sulla Camaro e partii diretto al Centro uffici MetroVista.

40

Lydia si guardò attorno. Era un po’ troppo allo scoperto per i suoi gusti, ma non poteva farci nulla. Si era messa una parrucca bionda ed era pettinata come la Vanech, o almeno secondo la descrizione che le aveva fatto Steven Bacard. Bussò alla porta del monolocale.

La tendina accanto alla porta si mosse. Lydia sorrise. «Tatiana?»

Nessuna risposta.

L’avevano avvertita che Tatiana non sapeva in pratica spiccicare nemmeno una parola. Lydia aveva elaborato una strategia d’azione, consapevole dell’importanza del fattore tempo. Bisogna sistemare tutto e tutti, e se una cosa del genere te la dice uno come Bacard che odia il sangue, allora devi trarne subito le debite conclusioni. Lydia ed Heshy si erano separati, lei era venuta a occuparsi di Tatiana e si sarebbero rivisti dopo.

«Non devi preoccuparti, Tatiana» le disse parlando da dietro la porta. «Sono venuta ad aiutarti.»

Non si sentì alcun rumore.

«Sono un’amica di Pavel» continuò. «Lo conosci Pavel, vero?»

La tendina si mosse e apparve per un momento un viso di ragazza, scavato e infantile. Lydia le fece un cenno con il capo, ma la ragazza tenne la porta chiusa. Lydia si guardò di nuovo attorno, nessuno l’aveva notata ma lei si sentiva ugualmente troppo esposta. Doveva sbrigarsi.

«Aspetta» disse alla ragazza. Poi, sempre fissando la tendina, infilò una mano nella borsetta e tirò fuori un foglietto di carta e una penna. Scrisse qualcosa, assicurandosi che se la ragazza fosse stata ancora dietro i vetri vedesse esattamente ciò che stava facendo. Poi richiuse la penna e si avvicinò al vetro, sollevando il foglietto di carta perché Tatiana potesse leggerlo.

Era come convincere un gatto spaventato a uscire da sotto il divano. Tatiana si avvicinò lentamente alla vetrata e Lydia rimase immobile per non innervosirla. Tatiana continuò ad avvicinarsi. Vieni, gattina, vieni qui. Lydia ora vedeva il viso di lei, con gli occhi semichiusi per leggere il biglietto.

Quando la ragazza fu abbastanza vicina, Lydia premette la canna della pistola contro il vetro mirandola alla fronte. All’ultimo momento Tatiana cercò di scansarsi, ma si spostò troppo poco e troppo tardi. La pallottola perforò il vetro e s’infilò nell’occhio destro. Uscì del sangue. Lydia premette di nuovo il grilletto, abbassando automaticamente la canna, e centrò la ragazza in fronte. Ma quella seconda pallottola era del tutto superflua: la prima, quella nell’occhio, le aveva spappolato il cervello, uccidendola sul colpo.

Lydia si allontanò in fretta guardandosi per un attimo alle spalle. Nessuno. Arrivata al vicino centro commerciale gettò in un cassonetto la parrucca e il soprabito bianco. Infine salì sulla sua auto parcheggiata a quasi un chilometro di distanza.

Telefonai a Rachel appena arrivato al MetroVista. Lei aveva parcheggiato in fondo alla strada dove abitava Denise Vanech. Eravamo pronti a entrare in azione.

Non sapevo bene che cosa mi aspettavo che succedesse. Mi vedevo irrompere nell’ufficio privato di Bacard, puntargli la pistola in faccia e chiedergli delle risposte. Ma ciò che non avevo previsto era di ritrovarmi in un ufficio modernissimo, con le sue brave reception e sale d’attesa. C’era già una coppia che stava aspettando, marito e moglie avrei detto. Il marito teneva il viso immerso in una copia di “Sports Illustrated” con la copertina plastificata, la moglie sembrava che stesse soffrendo: tentò di sorridermi, ma quello sforzo probabilmente aveva aumentato il suo dolore.

Mi resi conto che dovevo essere impresentabile. Avevo ancora indosso la divisa da chirurgo, non mi ero rasato, avevo gli occhi rossi per la notte in bianco e i capelli per aria come se invece fossi appena sceso dal letto.

La receptionist sedeva dietro un vetro scorrevole. Si chiamava Agnes Weiss, come si leggeva sulla targhetta, e mi rivolse un sorriso dolce.

«Posso esserle utile?»

«Devo vedere l’avvocato Bacard.»

«Ha un appuntamento?» Era una domanda per lei retorica, anche se il suo tono di voce era rimasto gentile. La risposta evidentemente la conosceva già.

«È un’emergenza.»

«Capisco. Lei è un nostro cliente, signor…?»

«Dottore» la corressi automaticamente. «Gli dica che il dottor Marc Seidman ha bisogno di vederlo immediatamente, che si tratta di un’emergenza.»

La giovane coppia ora ci stava osservando. E il dolce sorriso della receptionist non era più tanto dolce. «L’agenda dell’avvocato Bacard è già piena per oggi.» Aprì la rubrica degli appuntamenti. «Mi faccia vedere quando potrà riceverla, per favore.»

«Agnes, mi guardi.»

Mi guardò.

Le rivolsi un’espressione grave, della serie “se non si opera immediatamente potrebbe morire”. «Gli dica che c’è il dottor Seidman e che si tratta di un’emergenza. Gli dica anche che se non mi riceve subito andrò alla polizia.»

La giovane coppia si scambiò un’occhiata.

Agnes si mosse a disagio sulla poltroncina. «Se vuole sedersi…»

«Glielo dica.»

«Se non si allontana di qualche passo chiamerò la sicurezza, signore.»

Indietreggiai e mi fermai a una distanza che la receptionist potesse considerare di sicurezza. Lei richiuse il vetro scorrevole. «Lo sta coprendo» mi disse l’uomo in attesa.

«Jack!» esclamò la moglie.

Lui la ignorò. «Bacard è uscito di corsa mezz’ora fa e quella donna continua a ripeterci che tornerà subito.»

Notai una parete piena di fotografie e mi avvicinai a guardarle. In tutte c’era lo stesso uomo ritratto insieme a politicanti da strapazzo, celebrità di second’ordine, atleti caduti in disgrazia. Doveva essere Steven Bacard, conclusi. Lo guardai bene: era grassoccio, con il mento sfuggente e aveva la carnagione lucida.