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Aveva mani così grosse che la pistola che teneva puntata contro Rachel sembrava un gingillo. Le fece un segno con le dita. «Dammi quel telefono.»

Lei glielo porse, cercando in tutti i modi di evitare il contatto. L’uomo allora le mise la pistola alla tempia. «Dammi la tua pistola.»

Rachel infilò la mano nella borsetta e lui le ordinò di tirare fuori la pistola tenendola con due dita. Rachel obbedì, e intanto il telefono continuava a squillare.

L’omone premette il tasto di risposta. «Dottor Seidman?»

Anche Rachel riuscì a sentire la risposta. «Chi parla?»

«Ora siamo a casa di Denise Vanech. Se verrà qui solo e disarmato, le dirò tutto su sua figlia.»

«Dov’è Rachel?»

«È qui con me. Le do trenta minuti, dottore, e le dirò tutto ciò che deve sapere. In queste situazioni lei cerca sempre di fare il furbo. Non lo faccia, questa volta, altrimenti la sua amica Mills sarà la prima a morire. Capito bene?»

«Capito.»

L’uomo chiuse la comunicazione e abbassò lo sguardo su Rachel. Aveva occhi nocciola con una sfumatura dorata. Sembravano quasi dolci, come gli occhi di un cerbiatto. Poi l’omone spostò lo sguardo su Denise Vanech, che si ritrasse. E le sorrise.

Rachel capì che cosa stava per fare.

«No!» urlò, mentre l’omone puntava la pistola contro il petto di Denise ed esplodeva tre colpi, che andarono tutti a bersaglio. Denise si accasciò, scivolando dal divano sul tappeto. Rachel fece per alzarsi, ma la pistola adesso era puntata contro di lei.

«Non ti muovere.»

Obbedì. Denise Vanech era chiaramente morta. Aveva gli occhi spalancati e sul tappeto si stava allargando una pozza di sangue, formando un’incongrua macchia rossa in quel mare di bianco.

42

E adesso che cosa faccio?

Avevo telefonato a Rachel per informarla che Steven Bacard era stato assassinato, e ora quell’uomo la teneva in ostaggio. Quale avrebbe dovuto essere la mia prossima mossa? Cercai di riflettere, di analizzare attentamente la situazione, ma non avevo abbastanza tempo. Quell’uomo al telefono aveva detto giusto, in precedenza avevo fatto il furbo. Alla prima consegna del riscatto avevo avvertito la polizia e l’FBI, alla seconda mi ero fatto aiutare da un’ex agente federale. Mi ero rimproverato più volte per il fallimento della prima consegna, ma adesso non più. Tutt’e due le volte avevo rischiato, ma ora mi rendo conto che l’esito di quel gioco era stato stabilito in partenza. Non avevano mai avuto l’intenzione di restituirmi la mia bambina, né diciotto mesi fa né la scorsa notte.

E nemmeno ora.

Forse stavo cercando da tempo una risposta che invece conoscevo fin dall’inizio. Verne aveva capito il mio dilemma. Ricordo ancora quel suo monito: “Ma non bisogna prendersi in giro”. E invece mi ero veramente preso in giro. Anche ora che stavamo smascherando un turpe traffico di bambini indulgevo alla speranza. Forse, mi dicevo, mia figlia è viva, forse anche lei è stata data in adozione. Un pensiero orribile, certo, ma non quanto l’unica altra ipotesi possibile: cioè che Tara fosse morta.

Non sapevo più che cosa pensare.

Guardai l’ora, erano passati venti minuti. Mi chiesi come giocarmela, ma c’erano della priorità da rispettare. Chiamai Lenny in studio al suo numero diretto.

«A East Rutherford è appena stato ucciso un certo Steven Bacard» dissi.

«Bacard l’avvocato?»

«Lo conosci?»

«Ci siamo incontrati nel corso di un processo qualche anno fa.» Poi una pausa. «Maledizione!»

«Che c’è?»

«Prima mi hai fatto una domanda su Stacy e le adozioni, e non capivo il nesso. Ma ora che sento il nome Bacard… Stacy mi chiese informazioni su di lui tre o quattro anni fa.»

«Che tipo di informazioni?»

«Non ricordo più, qualcosa sulla maternità.»

«Che significa?»

«Non lo so, non le diedi molta importanza. Le raccomandai di non firmare nulla prima di essersi consigliata con me. Come fai a sapere che è stato assassinato?»

«Ho appena visto il suo cadavere.»

«Accidenti, non dire altro, magari qualcuno ci sta ascoltando.»

«Ho bisogno del tuo aiuto. Chiama la polizia e fai mettere sotto sequestro l’archivio di Bacard, aveva messo in piedi una rete di adozioni illegali e forse ha avuto a che fare con il rapimento di Tara.»

«Avuto a che fare come?»

«Non ho il tempo di spiegartelo.»

«D’accordo, chiamo subito Tickner e Regan. Regan ti sta cercando per mare e per terra, sai.»

«L’immaginavo.»

Riattaccai prima che potesse farmi altre domande. Non sapevo bene nemmeno io che cosa speravo la polizia potesse trovare nell’archivio di Bacard, non volevo credere che la verità sulla sorte di Tara fosse sepolta in un dossier di uno studio legale. Ma non potevo escluderlo. Quindi se adesso le cose per me si fossero messe male, e c’erano serie possibilità che così fosse, volevo che qualcuno andasse a fondo in quella storia.

Ero arrivato a Ridgewood e non avevo creduto nemmeno per un attimo alle parole del tipo al telefono. Quella non era gente disposta a scambiare informazioni, aveva il compito di fare piazza pulita: io e Rachel sapevamo troppo e così mi stavano attirando in quella casa per ucciderci entrambi.

Che fare, allora?

Avevo pochissimo tempo. Se avessi cercato di guadagnarne un altro po’, se avessi impiegato più di mezz’ora per arrivare, il tipo al telefono avrebbe cominciato ad agitarsi. E non potevo permettermelo. Ripresi in considerazione l’idea di chiamare la polizia, ma poi ricordai il suo consiglio di “non fare il furbo” e ancora una volta temetti che potessero avere un informatore. Avevo una pistola, sapevo usarla e anche bene: ma al poligono. Sparare a qualcuno sarebbe stato diverso, immaginavo. O forse no. Non mi facevo più molti scrupoli al pensiero di uccidere quella gente, e forse non me ne ero mai fatti.

Parcheggiai un isolato prima di quello di Denise Vanech, presi la pistola e m’incamminai.

Lui la chiamava Lydia, lei lo chiamava Heshy.

La donna era arrivata cinque minuti prima, era piccolina e carina con quegli occhi da bambola spalancati per l’emozione. Stava in piedi davanti al cadavere di Denise Vanech e osservava il sangue che ancora sgorgava. Rachel sedeva immobile, le avevano legato le mani dietro la schiena con del nastro adesivo da pacchi. Lydia si voltò verso di lei.

«Sarà un bel problema far sparire quella macchia.»

Rachel la guardò e quella sorrise.

«Non lo trovi divertente?»

«Sì. Non lo do a vedere, ma dentro di me mi sto sbellicando dalle risate.»

«Oggi sei andata da una ragazza, una certa Tatiana. Vero?»

Rachel non rispose. L’omone di nome Heshy cominciò ad abbassare le tendine avvolgibili.

«È morta, pensavo che t’interessasse saperlo.» Lydia andò a sedersi accanto a Rachel. «Ti ricordi Family Laughs, quella serie televisiva?»

Rachel si chiese come comportarsi: quella Lydia era visibilmente fuori di testa. «Sì» rispose esitante.

«Ti piaceva molto?»

«L’ho sempre trovata terribilmente infantile.»

Lydia rise buttando indietro la testa. «Io facevo la parte di Trixie» annunciò sorridendo a Rachel.

«Ne sarai sicuramente orgogliosa.»

«Ah certo, certo.» Lydia si abbassò avvicinando il viso a quello di Rachel. «Sai, naturalmente, che stai per morire.»

Lei non batté ciglio. «Perché allora non mi racconti che fine hai fatto fare a Tara Seidman?»

«Ti prego.» Lydia si alzò. «Ero un’attrice, ti ricordo, lavoravo in televisione. Questo quindi, secondo te, sarebbe il momento in cui il colpevole racconta tutto a beneficio del pubblico e del protagonista, che sta a sentire pronto a intervenire? Mi dispiace, tesoruccio.» Si rivolse a Heshy. «Imbavagliala, orsacchiotto.»