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Lui mise il nastro adesivo sulla bocca di Rachel, fermandoglielo dietro la testa, poi tornò accanto alla finestra. Lydia si avvicinò all’orecchio di Rachel, che si sentì il fiato della donna addosso.

«Questo te lo voglio proprio dire perché è buffo» le sussurrò, chinandosi ancora un po’. «Non ho idea di che cosa sia successo a Tara Seidman.»

Certo, non sarei andato a bussare alla porta.

Era chiaro che quelli volevano farci fuori e quindi non avevo alternativa, dovevo coglierli di sorpresa. Non conoscevo la pianta della casa, ma avrei sicuramente trovato una finestra laterale dalla quale tentare di introdurmi. Ero armato ed ero convinto che non avrei avuto esitazioni a sparare. Avrei tanto voluto escogitare un piano migliore, ma anche avendo più tempo a disposizione probabilmente non l’avrei trovato.

Zia aveva a suo tempo parlato del mio “ego da chirurgo’’ e ammetto che la cosa mi spaventava. In quel momento ero sicuro di farcela perché ero intelligente, sapevo essere prudente. Avrei quindi cercato una soluzione e, se non ci fossi riuscito, avrei proposto uno scambio: me al posto di Rachel. Non mi sarei fatto infinocchiare con l’argomento Tara. Certo, volevo credere che fosse ancora viva, volevo credere che quelli sapessero dove si trovava. Ma non avrei più messo in pericolo la vita di Rachel per un sogno: la mia sì, ma non quella di Rachel.

Mi avvicinai alla casa di Denise Vanech, cercando di mettermi al riparo dietro gli alberi e al tempo stesso di non farmi notare. E non sarebbe stato facile, perché in una zona residenziale come quella la gente non si muove furtivamente. Mi immaginavo già qualcuno dietro le veneziane che seguiva i miei movimenti, con il dito sul telefono per chiamare il Pronto intervento. Ma la cosa non mi preoccupava, perché in ogni caso tutto sarebbe avvenuto prima dell’arrivo della polizia.

Quando squillò il mio cellulare, ebbi un soprassalto. Mi trovavo ormai a tre case di distanza e imprecai sottovoce: il furbone, il prudente, aveva dimenticato di togliere la suoneria e lasciare solo la vibrazione. Mi resi conto con assoluta certezza di quanto fossi una schiappa fuori dal mio elemento. E se il telefono avesse squillato mentre stavo entrando in casa?

Mi chinai dietro un cespuglio e risposi.

«Hai tanto da imparare se vuoi giocare a nascondino» sussurrò Verme. «Fai proprio schifo da questo punto di vista.»

«Dove sei?»

«Dai un’occhiata alla finestra del secondo piano, l’ultima.»

Sollevai lo sguardo e dalla finestra Verne mi fece un gesto di saluto con la mano.

«La porta sul retro non era chiusa a chiave e sono entrato» bisbigliò.

«Che sta succedendo lì dentro?»

«C’è stato un omicidio. Li ho sentiti dire che hanno ucciso quella ragazza del motel, poi hanno fatto fuori Denise. Il suo cadavere è sul pavimento, a meno di un metro da Rachel.»

Chiusi gli occhi.

«È una trappola, Marc.»

«Lo immaginavo.»

«Sono in due, un uomo e una donna. Ora fai quello che ti dico, risali in macchina e parcheggia davanti alla casa, sarai abbastanza distante perché quelli possano colpirti. Rimani lì, senza avvicinarti. Voglio solo che tu attiri la loro attenzione, capito?»

«Sì.»

«Cercherò di non ammazzarli tutt’e due, ma non posso promettertelo.»

Riattaccò. Tornai velocemente all’auto e feci come mi aveva detto, con il cuore che mi batteva all’impazzata. Ma ora avevo qualche speranza, ora c’era Verne, era in casa, armato. Mi fermai di fronte alla casa di Denise, le tende e le veneziane erano abbassate. Feci un respiro profondo, aprii lo sportello e scesi.

Silenzio.

Mi aspettavo di udire degli spari, ma il primo rumore che sentii fu un altro, quello di una vetrata che andava in frantumi. E poi vidi Rachel cadere dalla finestra.

«La sua auto si è appena fermata qui di fronte» disse Heshy.

Rachel aveva ancora le mani legate dietro la schiena e la bocca coperta dal nastro adesivo. Sapeva che ormai era arrivata la fine, Marc avrebbe bussato alla porta e quelle due imitazioni di Bonnie e Clyde l’avrebbero fatto entrare per poi sparargli e fare fuori anche lei.

Tatiana era già morta. Denise pure. Heshy e Lydia non potevano quindi permettersi di lasciare vivi loro due. Rachel aveva sperato che Marc l’avesse capito e fosse andato alla polizia, aveva sperato che non sarebbe nemmeno venuto: ma quell’eventualità lui naturalmente non l’aveva nemmeno considerata. E adesso era lì. Con molta probabilità avrebbe compiuto qualche gesto temerario oppure era ancora talmente accecato dalla speranza che sarebbe caduto nella trappola.

In ogni caso lei doveva fermarlo.

L’unica speranza era quella di coglierli di sorpresa. E anche in tal caso, se tutto fosse andato come doveva, lei avrebbe potuto al massimo sperare di salvare Marc. Riguardo a se stessa c’era poco da farsi illusioni.

Era ora di muoversi.

Non si erano preoccupati di legarle i piedi, imbavagliata e con le mani legate dietro la schiena che cosa poteva mai fare? Lanciarsi contro di loro sarebbe equivalso a suicidarsi: un bersaglio così non l’avrebbero certo mancato.

E proprio su questo lei faceva affidamento.

Si alzò in piedi, Lydia le puntò subito contro la pistola. «Siediti.»

Lei non le obbedì e Lydia si trovò spiazzata. Se le avesse sparato Marc avrebbe sentito la detonazione e si sarebbe reso conto che qualcosa non andava. Ma Rachel capì che l’indecisione della donna sarebbe durata poco e allora le venne un’idea abbastanza idiota. Si mise a correre. Lydia avrebbe dovuto spararle o inseguirla, oppure…

La vetrata.

Lydia capì ciò che Rachel aveva in mente, ma non riuscì a fermarla. Rachel chinò il capo come un ariete e si tuffò contro la vetrata, Lydia sollevò la pistola per fare fuoco e Rachel si irrigidì prima dell’impatto con il vetro. Sapeva che sarebbe stato doloroso. Volò attraverso la vetrata, che andò in frantumi con sorprendente facilità, ma ciò che l’ex agente federale non aveva calcolato era la distanza dal suolo. E con le mani legate dietro la schiena non poteva attutire la caduta.

Si voltò e assorbì l’impatto sulla spalla, poi udì un rumore sordo e sentì un dolore acuto alla gamba, mentre un frammento di vetro le s’infilava in una coscia. Marc non poteva non avere udito quel fracasso, poco ma sicuro. E avrebbe potuto salvarsi. Ma, mentre rotolava su se stessa, Rachel fu colta dalla disperazione: in quel modo aveva attirato l’attenzione di Marc, che l’aveva vista cadere dalla finestra.

E adesso, incurante del pericolo, lui stava correndo verso di lei.

Verne era accovacciato sulla rampa di scale.

Stava per entrare in azione quando Rachel si era improvvisamente alzata in piedi. Ma era ammattita? Capì subito quanto fosse coraggiosa, quella donna. Dopo tutto non poteva sapere che lui se ne stava nascosto al piano di sopra e non poteva permettere che Marc cadesse nelle mani di quei due. Non era il tipo, Rachel.

«Siediti.»

Era la voce della donna, di quella specie di ragazzina di nome Lydia, che sollevò subito la pistola. Verne fu colto dal panico, non era ancora pronto ad agire, non aveva la giusta visuale per sparare. Ma Lydia non premette il grilletto e lui rimase a guardare sbalordito Rachel che si tuffava contro la vetrata.

Ottima manovra diversiva.

Verne si mosse. Aveva sentito infinite volte parlare del tempo che nei momenti più difficili si ferma, di quei brevi secondi in cui riesci a vedere tutto con la massima chiarezza. In realtà erano tutte stronzate. I fotogrammi di quelle scene sembra che si susseguano lenti soltanto quando ti passano per la mente mentre stai comodo e al sicuro. Ma nella concitazione del momento, come la volta in cui lui e tre commilitoni erano rimasti coinvolti in una sparatoria con alcuni soldati dei reparti d’élite di Saddam, il tempo subisce invece un’accelerazione. E lo stesso stava succedendo in quel momento.