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E all’improvviso, Benny si mise eretto. Sulla trave, balzò in piedi come una marionetta. La luce, adesso, gli usciva pulsando dagli occhi in due grandi raggi rotondi. Il suono salì e salì una scala incomprensibile, e poi Benny cadde in avanti, giù, giù, e piombò con uno schianto sul pavimento di lastre d’acciaio. Restò lì, sussultando spasmodicamente, mentre la luce fluiva tutto intorno a lui, e il suono saliva a spirale, sfuggendo alla gamma normale.

Poi la luce gli rientrò nella testa, il suono ridiscese a spirale, e lui restò lì disteso, a lamentarsi pietosamente.

I suoi occhi erano due pozze molli e umide di gelatina simile a pus. AM l’aveva accecato. Gorrister e Nimdok e io… ci voltammo dall’altra parte. Ma non prima di aver scorto l’espressione di sollievo sul volto ardente e preoccupato di Ellen.

Una luce verdemare era soffusa nella caverna dove ci accampammo. AM fornì legna secca e noi la bruciammo, ci sedemmo raggomitolati intorno a quel fuoco evanescente e patetico, raccontando storie per impedire che Benny piangesse nella sua notte perpetua.

— Che cosa significa AM?

Gli rispose Gorrister. Avevamo ripetuto quella sequenza già mille volte, ma per Benny era sempre una novità. — All’inizio significava Allied Master computer, e poi Adaptive Manipulator, e più tardi divenne senziente e si collegò, e allora lo chiamarono Aggressive Menace, ma ormai era troppo tardi, e alla fine si diede il nome di AM, intelligenza emergente, e intendeva dire «io sono»… cogito, ergo sum… penso, dunque sono.

Benny sbavò un poco, e ridacchiò.

— C’era l’AM cinese e l’AM russo e l’AM americano e… — S’interruppe. Benny batteva sulle lastre del pavimento con il grosso pugno duro. Non era contento. Gorrister non aveva cominciato dall’inizio.

Gorrister ricominciò. — Ci fu la Guerra Fredda, e poi diventò la Terza Guerra Mondiale, e continuò. Divenne una grande guerra, una guerra complessa, tanto che per mandarla avanti avevano bisogno dei computer. Scavarono i primi pozzi e cominciarono a costruire AM. C’erano l’AM cinese e l’AM russo e l’AM americano e tutto andò bene fino a quando crivellarono l’intero pianeta, aggiungendo questo e quell’elemento. Ma un giorno AM si svegliò e capì chi era, e si collegò, e cominciò a trasmettere tutti i dati per uccidere, fino a quando furono morti tutti, tutti tranne noi cinque, e AM ci portò quaggiù.

Benny sorrideva tristemente. E sbavava di nuovo. Ellen gli asciugò la saliva all’angolo della bocca con l’orlo della gonna. Gorrister cercava sempre di raccontare la storia in modo ogni volta più succinto, ma oltre ai fatti nudi e crudi non c’era niente da dire. Nessuno di noi sapeva perché AM aveva salvato cinque persone, e perché proprio noi cinque, e perché passava tutto il suo tempo a torturarci, o perché ci aveva resi virtualmente immortali.

Nell’oscurità, uno dei banchi del computer cominciò a ronzare. Il tono venne ripreso, mezzo miglio più in basso, nella caverna, da un altro banco. Poi, uno a uno, gli elementi cominciarono a sintonizzarsi, e vi fu un lieve tintinnio, mentre il pensiero correva attraverso la macchina.

— Cos’è? — gridò Ellen. C’era terrore, nella sua voce. Non si era abituata, neppure adesso.

— Sarà brutta, questa volta — disse Nimdok.

— Sta per parlare — azzardò Gorrister.

— Andiamocene in fretta! — dissi io all’improvviso, alzandomi.

— No, Ted, siediti… E se quello ha aperto dei burroni, là fuori, o qualcosa d’altro, non possiamo vedere, è troppo buio — disse Gorrister in tono rassegnato.

Poi udimmo… non so…

Qualcosa che si muoveva verso di noi nelle tenebre. Enorme, pesante, peloso, umido, veniva verso di noi. Non potevamo neppure vederlo, ma c’era l’impressione ponderosa di una mole che avanzava. Un peso enorme veniva verso di noi dalla tenebra, ed era più che altro un senso di pressione, di aria forzata in uno spazio limitato che espandeva le pareti invisibili di una sfera. Benny si mise a piagnucolare. Il labbro inferiore di Nimdok tremava, e lui se lo morse con forza, cercando di arrestare il tremito. Ellen scivolò sul pavimento metallico, verso Gorrister, gli si raggomitolò addosso. Nella caverna c’era odore di pelo aggrovigliato e umido. C’era l’odore del legno carbonizzato. Cera l’odore del velluto polveroso. C’era l’odore delle orchidee putrefatte. C’era l’odore del latte acido. C’era l’odore dello zolfo, del burro rancido, dell’olio, del grasso, della polvere di gesso, degli scalpi umani.

AM si stava sintonizzando. Ci solleticava. C’era l’odore del…

Sentii la mia voce urlare, e i cardini delle mie mascelle erano doloranti. Mi trascinai rapidamente sul pavimento, sul freddo metallo con le file interminabili di rivetti, sulle mani e sulle ginocchia, e l’odore mi soffocava, mi riempiva la testa di una sofferenza tonante che mi faceva fuggire inorridito. Fuggivo come uno scarafaggio, sul pavimento, nella tenebra, e quel qualcosa mi seguiva inesorabile. Gli altri erano ancora là indietro, raccolti intorno alla luce del fuoco, e ridevano… e il coro isterico delle risate dementi si levava nell’oscurità come un denso, multicolore fumo di legna. Fuggii, svelto, e mi nascosi.

Non mi dissero mai quante ore durò, quanti giorni o forse anni. Ellen mi rimproverò perché «ero imbronciato» e Nimdok cercò di convincermi che era stato solo un riflesso nervoso da parte loro… la risata.

Ma io sapevo che non era il sollievo provato da un soldato quando la pallottola colpisce l’uomo che gli sta accanto. Sapevo che non era un riflesso. Mi odiavano. Erano contro di me, e AM poteva sentire quell’odio, e rendere tutto anche più orribile, per me, a causa della profondità del loro odio. Eravamo stati tenuti in vita, ringiovaniti, modificati in modo da rimanere costantemente all’età che avevamo quando AM ci aveva portato là sotto, e loro mi odiavano perché ero il più giovane, quello che AM aveva modificato meno.

Lo sapevo. Dio, se lo sapevo. Quei bastardi, e quella sporca sgualdrina di Ellen. Benny era stato un teorico geniale, un professore universitario; adesso era poco più di un essere semiumano, semiscimmiesco. Era stato bello, la macchina l’aveva rovinato. Era stato lucido, la macchina l’aveva fatto impazzire. Era stato frodo, e la macchina gli aveva dato un organo adatto a un cavallo. AM aveva fatto un bel lavoro con Benny. Gorrister era stato uno di quei tipi che si preoccupavano. Era un obiettore di coscienza, un marciatore della pace; era un uomo che faceva progetti, agiva, guardava avanti. AM l’aveva trasformato in un tipo noncurante, lo aveva ucciso un poco. AM l’aveva derubato. Nimdok se ne andava a isolarsi nel buio, per lunghi periodi. Io non sapevo cosa faceva, là fuori. AM non ce lo diceva mai. Ma, qualunque cosa fosse, Nimdok ritornava sempre pallido, esangue, scosso, tremante. AM l’aveva colpito duramente, in un modo speciale, anche se non sapevamo esattamente come. Ed Ellen! Lei! AM l’aveva lasciata stare, l’aveva resa più sgualdrina di quanto fosse mai stata. Tutto il suo parlare di dolcezza e di luce, tutti i suoi ricordi del vero amore, tutte le menzogne, lei voleva farci credere che era vergine solo due volte prima che AM l’afferrasse e la portasse lì giù, con noi. Era tutta sozzura, quella dama, Ellen. A lei piaceva, quattro uomini tutti per lei. No, AM le aveva dato piacere, anche se lei diceva che non era di suo gusto.

Io ero l’unico ancora sano e integro, di corpo e di mente.

AM non aveva manomesso la mia mente.

Dovevo solo soffrire, quando si scatenava contro di noi. Tutte le illusioni, tutti gli incubi, i tormenti. Ma quei quattro, quella feccia, quei quattro erano schierati contro di me. Se non avessi dovuto tenerli continuamente a bada, se non avessi dovuto stare continuamente in guardia contro di loro, mi sarebbe stato più facile lottare contro AM.