Il quasi-Robot sembrava turbato, ma non dalla mia brillante logica oratoria. Era turbato come lo siete voi quando cercate di spiegare a un animale del deserto che deve far pipì nello scarico a vuoto, non nella quadrovisione. Ma poi, all’improvviso, mi tolse il fiato chiedendomi:
«E a cosa pensi di lavorare?»
«Beh, cosa c’è da fare?» balbettai io.
«Pochissimo,» mi rispose. «Particolarmente in questo momento.» Poi aggiunse: «Toglieresti la possibilità di lavorare a un Anziano, che ha il diritto di farlo?» Ma non gli diedi ascolto. A chi poteva importare? A lui no di sicuro, ci avrei scommesso.
Poi si alzò.
«Ti accompagnerò,» disse, «a fare un breve giro nei centri di lavoro di Quattro BEE. È la procedura consueta, quando qualcuno fa una richiesta del genere.»
Uscimmo a bordo di una piccola barca celeste del Palazzo della Commissione, che volava a bassa quota. Il vento continuava a sbattere i miei chilometri di capelli scarlatti negli occhi del Q-R, ma lui fu molto buono. La mia ape gli cadde sulla testa e lui fu molto buono anche in questo caso.
Finimmo nella rete del Centro Trasmissioni del Secondo Settore, e il modo in cui il Q-R bloccò bruscamente i comandi e ci fece scendere a casaccio, rischiando di mancare del tutto le reti, mi fece ricordare Hergal, con un senso di nostalgia.
All’interno era tutto fulgido, con slogan ingemmati e targhe che ricordavano eventi particolarmente brillanti (?) come l’ultimo sabotaggio dei Jang: avevano lasciato entrare una nube vulcanica nel Primo Settore, due notti prima, nascondendo le stelle (oh, sì, lo ricordavamo bene, io e il Q-R); o come quando un animale del deserto era fuggito nel Quarto Settore e aveva causato «caos e distruzione». Beh, caos, forse… credo. Nella sala principale c’erano robot che andavano e venivano, portando notizie da ogni angolo della città, e gli schermi trasmettevano inquadrature riprese dall’alto, con tanto di zoomate se cominciava a succedere qualcosa di epicamente frenetico, come una strada mobile che si incastrava per due split. Devo dire che tutto quanto mi diede un’impressione di efficienza e di vivacità… cioè, a parte gli Anziani. Erano due: stavano seduti a guardare la quadrovisione e di tanto in tanto premevano un pulsante o facevano scattare un interruttore.
«I robot, gli schermi e il resto raccolgono le notizie per le trasmissioni, come puoi vedere. I banchi dei monitor, qui, ricevono e selezionano i rapporti della Commissione ed i saggi sul comportamento sociale. Questo computer trasmette direttamente dal Limbo, ogni giorno, l’elenco dei cambiamenti di corpo via via che viene compilato, e questo trasmette le identificazioni individuali su richiesta degli interessati.» Il Q-R mi fece fare il giro della sala, mentre mi teneva questa lezioncina.
«E loro?» chiesi, indicando i due distratti lavoratori.
«Oh,» disse il Q-R, «fanno scattare i pulsanti che attivano ogni comunicazione.»
«Quindi, senza di loro, va tutto quanto a catafascio?» domandai io.
«Beh, non proprio,» ammise il Q-R. «Ogni pulsante scatta automaticamente dopo uno split.»
«Capisco,» dissi.
C’era un altro paio di lavori altrettanto eccitanti, e tutti venivano svolti automaticamente se gli Anziani se ne dimenticavano, e questo era un bene, perché si vedeva benissimo che i due lavoratori si erano appena assopiti.
«Grazie,» dissi io. «E adesso dove andiamo?»
Molto patetico, in realtà. Pensavo che Urbanistica suonasse molto promettente. In realtà, ecco cosa succede: la Commissione svolge un’indagine, per esempio, e scopre che il traffico aereo diretto al Palazzo dell’Avventura si ingorga nei pressi del Monumento al Tempo e allo Spazio. Allora la Commissione redige un rapporto in cui dice che questo succede a causa della coda degli avioplani che aspettano di cadere nelle reti del Monumento, e che bisogna fare un ponte speciale perché si mettano in coda, perché in tal modo non sono più d’intralcio. Tutto questo arriva tramite un computer e viene tradotto da un altro computer, dopodiché il messaggio viene consegnato a un Anziano, ufficialmente designato Pianificatore. Felice di quel compito esaltante, quello scova un assortimento di macchine adatte e le programma perché trovino il modo migliore di costruire il ponte, di deviare il traffico nel frattempo, eccetera. Poi, fierissimo, portando i calcoli matematici delle macchine, le proposte dei colori, le indicazioni d’equilibrio artistico e della disposizione dei cartelli segnaletici nelle mani sudate per l’entusiasmo, va a un altro parco macchine, incarica un robot di inserire le istruzioni nel computer competente e, palpitando, guarda l’apparato metallico che si mette all’opera per costruire il ponte della deviazione. E quelli si illudono davvero di aver fatto qualcosa.
«La spirale che ho costruito vicino al Museo del Pensiero,» lasciano cadere modestamente, tenendo sempre d’occhio il computer più vicino, nell’eventualità che la Comissione trovi un blocco nella Via d’Acqua Purpurea, o qualcosa di altrettanto sconvolgente.
Ormai ero preparata a vedere il peggio, al Centro delle Realizzazioni Artistiche.
È a colori pastello: fuori ci sono statue d’acqua, gigantesche e quasi invisibili, e alberi di bronzo che ti fanno pendere addosso il loro fogliame. Io mi impigliai con i capelli e per poco non mi strangolai, prima che il Q-R mi districasse. Mi diede un’occhiata strana. Forse pensava che volessi un altro corpo nuovo.
E poi entrammo, salimmo un paio di pavimenti volanti, e io mi eccitai perché lì la gente faceva veramente qualcosa. Strillai per l’emozione.
«Oh, sì,» fece in tono gentile il mio Q-R, «qui c’è spazio libero per il tocco personale.»
Poi ci fermammo a guardare una femmina euforica che scalpellava via pezzetti di marmo da un enorme masso bianco, e notai che a) usava una macchina con un dente affilato a un’estremità, e b) che la pietra era contrassegnata in modo molto chiaro, e che i segni magnetizzavano il dente. Un po’ più avanti, gli artisti si erano stancati e lasciavano che le macchine continuassero da sole il lavoro, mentre loro si ingozzavano di fuoco-di-vino e di biscotti.
Il mio Q-R dovette accorgersi che ero pallida ed esasperata. Si affrettò a dirmi:
«Però i progetti vengono fatti proprio dagli artisti.»
«Dimostralo,» lo sfidai.
Salimmo ancora, e trovammo alcuni artisti impegnatissimi, effettivamente, solo che le cose si svolgevano così:
Domanda dell’artista: «Se inserisco una bacchetta ad angolo retto sulla sinistra, starà in equilibrio?»
Luce rossa, indicante che l’oggetto cadrà.
Domanda dell’artista: «Se sostengo la bacchetta con una seconda bacchetta, di larghezza doppia, e le sostengo entrambe con una intelaiatura a cubo inserita di traverso, allora saranno in equilibrio?»
Luce gialla, e un rotolo di cartamodello indicante che, sì, può andare e (consiglio utile) forse sarebbe meglio mettere due intelaiature cubiche contrapposte.
O anche: «Stai a sentire, robot, io posso fare gli occhi se tu mi dai una mano con gli zigomi.» Oppure: «La tua macchina potrebbe prepararmi quella meravigliosa sfumatura gialla che assume il cielo al tramonto? La mia è diventata troppo rosa.»
Io restai lì a guardare tutto quanto, e mi sentii diventare zaradann.
«Procuratemi un po’ di pietra!» urlai a tutti. La cosa li sconvolse. Il mio Q-R mi toccò il braccio e urlò ancora più forte: «Pietra e una macchina scalpellatrice! E colori! Subito!»
7.
Bene, ero un’idiota, no?
Andò a pezzi, no?
Ma solo dopo che io ce l’avevo messa veramente tutta.
I robot lo portarono e quasi me lo scaraventarono sui piedi, quel grande blocco rozzo di roba che sembrava impossibile. Io non sapevo bene quello che stavo facendo, e gli altri mi stavano intorno a bocca aperta. Il Q-R si sedette su una poltroncina molto artistica, e assunse un’aria contemplativa.