Premetti il pulsante di chiamata, e scese un canestro e portò via la registrazione. Restai seduta ad attendere.
Comunque, non dovetti aspettare molto.
Squillò il segnale dell’intercom, e a mezzo metro da me apparve l’immagine di un controllore Q-R.
«Ah, sì,» disse il controllore. «Un tentativo molto ragionevole, debbo dire. Ci è piaciuto abbastanza.»
«Urrah!» feci io. Lo sapevo già.
«Il guaio, mia cara,» mormorò in tono molto triste il controllore, «è che c’è troppa azione e troppo poco erotismo. Devi capire,» continuò, precedendo ogni mia possibile esplosione di protesta, che del resto non mi sentivo di fare perché ero troppo stanca, «che la quadrovisione viene vista quasi esclusivamente dai più anziani di Quattro BEE. Inoltre, coloro che la guardano amano semplicemente accenderla e spegnerla quando ne hanno voglia, e se tutte le nostre trasmissioni avessero una trama, sarebbe una confusione terribile, non è vero?» Una pausa per una risatella alla quale non mi associai. «Tuttavia,» concluse il controllore, «il tuo senso del colore e la tua originalità sono promettenti. Forse dovremmo rivederci, quando avrai completato il tuo periodo come Jang. Allora avrai idee più addolcite, più convenzionali, più accettabili: ne sono sicuro. Perciò ti consiglio di tornare allora, se te la sentirai ancora di aiutare la nostra piccola compagnia.»
Provai la tentazione di tirargli addosso la macchina di consultazione, ma desistetti.
Il mio Q-R mi aspettava nel corridoio.
«Non disperarti,» disse. «Riposati un po’. Frequenta i tuoi amici. Andavi così bene, questa mattina.»
«Il pane degli angeli tostato,» dissi, «mi dà la nausea.» E me ne andai, piantandolo lì, e tornai a casa.
PARTE TERZA
1.
Quella notte Hergal mi svegliò precipitando dal Monumento a Zeefahr.
Uno dei miei fattori mi chiamò la mattina dopo — non so bene quale fosse dei due perché era cambiato, ancora maschio ma con un altro corpo — e mi chiese se stavo bene.
«Oh, sì, grazie. Sto benissimo.»
Fu l’ultima volta che si fecero sentire, per la verità, comunque fu un pensiero gentile.
Hatta si era fatto scrivere da una macchina una poesia Jang d’amore per me, e il mio bestiolino strappò tutti i fiori di seta accanto alla piscina e me li portò orgogliosamente, uno ad uno, con un sorriso malizioso negli occhi arancione.
Chiamai il Centro Ideazione nella Quadrovisione e chiesi di avere la mia registrazione per tenerla come ricordo: lo chiesi con un tono amaro che quelli ignorarono. Comunque, ricevetti la registrazione, e il bestiolino ed io la guardammo e la riguardammo, per tutto il pomeriggio, sullo schermo a muro.
La notte fiorì su Quattro BEE e io andai a passeggiare sugli antichi marciapiedi non mobili, e il bestiolino mi seguì, giocando con la sua e con la mia ombra, gettate dalle grandi stelle e dalle insegne gemmate che splendevano tra gli edifici.
Andammo a fare una corsa nel fuoco al Campo Giochi dell’Onice. Il bestiolino si accovacciò sotto i cuscini, e ringhiò ogni volta che un guizzo di fiamma particolarmente vivo ci passava accanto. Altre barche di fuoco, sgargianti e dorate, ci balzavano accanto, in una pioggia di scintille. Notai due Anziani, un maschio e una femmina, vestiti dello stesso color verde acido, che si tenevano per mano e ridacchiavano come una coppia di Jang, a bordo di una di quelle barche. Mi fecero sentire depressa, non so come, e poi mi affascinarono: sembravano così contenti e soddisfatti. Quando premettero il pulsante della discesa, li seguii. Atterrammo. Mi misi sotto al braccio il mio bestiolino, che si divincolava e strillava, e seguii la coppia tra i chioschi e le fontane. I Jang seguono sempre la gente, secondo i saggi della Commissione sul loro comportamento. Io non avevo preso quell’abitudine; ma almeno, se quei due si fossero voltati e mi avessero vista, non avrebbero fatto una scena.
Erano instancabili, e immensamente noiosi nelle scelte di ciò che intendevano fare. Continuavano a fermarsi per prendere fuoco, o per strisciare dentro le gole purpuree dei grandi serpenti pelosi importati da Quattro BAA, e compravano i cibi più nauseanti che si possano trovare in un campo giochi e se ne ingozzavano.
Alla fine sedettero in mezzo a un gruppo di fontane color arcobaleno, profumate di fiori, e cominciarono a cinguettare tra loro. Io mi piazzai tranquillamente a poca distanza, ma il bestiolino ne approfittò per dar fuori da matto e si precipitò su di loro, con quelle grosse zampe pelose. Mi lanciai per agguantarlo prima che addentasse i loro di zucchero verde e oro, o soddisfacesse i suoi bisogni corporali sui loro bei stivali verdi. Ma le cose andarono diversamente.
«Che animaletto delizioso,» mi dissero. Oh, bene, capivo che quella sera erano disposti ad accettare tutto.
Il bestiolino si rivoltò e tentò di mordermi, tanto per dimostrare che sapeva benissimo chi erano veramente i suoi amici.
«Che corpo incantevole, mia cara,» si congratularono con me mentre io mi agitavo, cercando di evitare i denti del bestiolino. «Speriamo,» aggiunse la femmina, «che nostra figlia abbia altrettanto buon gusto quando diventerà una Jang.» E ridacchiarono, tutti e due.
Oh, avevo capito.
«Siete fattori?» domandai, penosamente, perché stavano lì seduti, e ansimavano dalla voglia che io lo chiedessi.
«Oh, sì. Proprio adesso,» spiegarono.
«Questo pomeriggio,» disse la femmina, «Rul ha dato la sua metà della piccina. Abbiamo visto abbinare le due metà. Oh!» E batté la mano sul braccio di Rul.
«Quale di voi due sarà il tutore?» domandai. Uno solo dei fattori può accettare la custodia legale del bambino durante gli anni in cui cresce e il periodo dell’ipnoscuola. Poi quello diventa Jang ed è padrone di se stesso. Ma i due mi sconcertarono dicendo:
«Pensavamo di restare insieme, almeno fino a quando la piccola diventerà Jang.»
«Lo fecero anche i miei fattori,» dissi. All’improvviso, sentii dentro una sorta di vuoto gelido. «Si sono separati un paio di unit fa.» I due si rattristarono di colpo. Mi vergognai un po’ di me stessa. «Però erano entrambi prevalentemente maschi,» dissi per consolarli. «Ecco perché.» E infatti si consolarono. Bene, la donna era senza dubbio prevalentemente femmina, comunque. Troppo prevalentemente femmina, anzi, ad essere sincera.
Dissi che dovevo scappare per avere un’estasi, e tutti mi guardarono con aria d’approvazione, tranne quel thalldrap del bestiolino, che li supplicò con gli ochhi, come volesse dire: «Appena resteremo soli, lei mi picchierà senza misericordia.» Lo presi per la collottola, lo trascinai via dalla coppia e mi avviai attraverso il parco.
«Mi hai deluso,» lo accusai. Il bestiolino rise. Lo giuro, sono certa che rise. La mia ape mi cadde sulla testa davanti a una grande folla che pattinava sull’acqua.
«Vorrei che potessi rispondermi,» scattai, rivolta al bestiolino. «Allora potremmo avere una vera dalika, e dopo faremmo pace e ci sentiremmo meglio.»
E fu così che pensai per la prima volta al bambino. Qualcosa con cui litigare. Immagino che sia un’ammissione orribile, ma è la verità.
Il bestiolino corse via a grandi balzi per andare a giocare a pallastella con alcuni Jang dai capelli chiari; io mi sedetti su di una pietra ornamentale costellata di rubini, e i pensieri mi assediarono.
Un bambino. Anch’io avrei fatto un bambino. Il maschio non era importante: non era necessario che avesse più nulla a che fare con la faccenda, dopo aver fornito l’altra metà del mio bambino. Io sarei stata il tutore. Avrei visto il fiore crescere nel suo crepuscolo di crystallize, l’avrei portato a casa e l’avrei curato, l’avrei mandato ad ogni corso dell’ipnoscuola, e l’avrei riavuto a casa a metà corso, gloriandomi dei risultati ottenuti. Avrei potuto discutere con lui i suoi problemi, stimolarne gli interessi ed i desideri. L’avrei aiutato a diventare una persona, un bimbo, un Jang, un adulto. Fremevo di un amore oscuro ma appassionato per il mio secondo io, non ancora creato, non ancora realizzato.