2.
«So esattamente ciò che stai per dire,» dichiarai al mio povero vecchio Q-R dal tappeto d’acqua.
«Davvero?»
«Oh, sì. Dirai: ’Ci troviamo ancora alle prese con il problema originario. Sei Jang, e sei troppo giovane, e devi continuare ad essere Jang e troppo giovane per un altro quarto di rorl.’ Comunque, ho guardato la documentazione del Museo Storico, ed è già accaduto altre volte.»
«Sarebbe meglio che mi dicessi che cos’è accaduto altre volte,» suggerì il mio Q-R.
«Che dei Jang diventassero fattori.»
«Capisco,» disse il Q-R. «Vuoi diventare fattore.»
«Sì,» dissi io.
«E l’altro fattore chi è?»
«Non ho ancora deciso.»
«Mia cara signorina,» disse il Q-R, «forse l’archivio non te l’ha detto, ma quando è accaduto che dei Jang sono stati autorizzati a diventare fattori, è sempre stato quando un giovane maschio e una giovane femmina avevano un profondo attaccamento reciproco e desideravano cementare questo legame con un figlio.»
Ma quella mattina io ero tutta agilità mentale.
«E sta bene,» dissi. «Ammetto di avere in mente un particolare maschio. Ma per il momento è in Distorsione dei Sensi. L’aveva prenotata da millenni e non poteva disdirla, altrimenti sarebbe qui con me, adesso. Da molto tempo abbiamo pensato di fare un figlio,» continuai, con aria sognante. «Una parte di noi…»
«Davvero?» chiese il Q-R. Non era sicuro, questo lo capivo. Fece scattare circuiti e relé, e disse: «A quanto pare, le regole non sono più tanto rigorose. Se sei disposta a sottoporti agli esami, prenderemo in considerazione la tua richiesta.»
Per poco non mi venne un colpo.
«Davvero?» gridai.
«Sì,» disse il Q-R. All’improvviso ebbi l’impressione che fosse veramente buono, e che fosse stato programmato per esserlo. «So,» aggiunse, «che trovi tutto molto difficile, in questo momento, e secondo il mio giudizio, un rapporto con un essere che cresce potrebbe esserti di aiuto. Purché, naturalmente, accetti che durante i primi anni di vita del bambino vi siano diverse ispezioni della Commissione.»
Barbugliai, felice. La Commissione poteva ispezionare quanto voleva. Mi sarei portata fuori il bimbo, cantando «Io amo Quattro BEE e l’ipnoscuola, e sarò più Jang dei Jang!» se avesse voluto. Oh, derisann Q-R!
Andai in slitta in una sala giallo chiara, molto riposante, dove due o tre Q-R dai camici dorati mi incoraggiarono a dir loro perché volevo fare un bambino. Quando recitai tutta quella tirata sulla mia intenzione di dare a Quattro BEE un altro cittadino felice, si mostrarono molto sorpresi, ma io sapevo che stavo dicendo le frasi giuste. Avevo letto tutto, capite. Dissi anche di essere convinta che il contatto con l’ingenuità e l’innocenza di un bambino sarebbe stato per me come un bagno tonificante, e quelli andarono in solluchero. In realtà, lo pensavo davvero, quindi credo che la mia affermazione suonasse sincera. A quanto pareva, altri Jang difficili, tosky, fastidiosi, erano stati redenti prima di me da lunghe relazioni sessuali e dal fatto di fare bambini.
Poi passammo ad un altro argomento: «Ti rendi conto che il maschio prescelto deve essere un altro Jang? E dov’è?» Così io tirai fuori di nuovo la frottola della Distorsione dei Sensi. Quando compì la Distorsione dei Sensi, può continuare per millenni, e finché lo fai puoi restare anonimo. È una specie di valvola di sicurezza. Un modo di venirne fuori, credo. Perciò il maschio da me prescelto, del quale non diedi il nome, per il momento se ne stava recluso e io non sapevo bene quando sarebbe uscito.
Accettarono la cosa di buona grazia: ovviamente i regolamenti erano un po’ meno ferrei, adesso, altrimenti quelli avrebbero tirato fuori tutti quanti dalla Distorsione dei Sensi, fino a che lo avessero scovato.
Poi dovetti attendere in una stanza piena di ciotole di pillole dell’estasi e di macchine dell’amore, e dopo un milione e un vrek, arrivò un messaggero per ricondurmi indietro, e mi annunciarono che andava tutto bene.
Poi mi fecero un predicozzo sulle responsabilità dei fattori, mi spiegarono come potevo chiedere aiuto e dove, che la Commissione avrebbe mandato dei Q-R a ispezionare i miei sforzi — a quanto pareva, si trattava di gaie visitine informali, versetti al pupo e giocattoli pelosi e così via, ma io non ero poi tanto selt - e mi indicarono i moduli che avrei dovuto compilare più tardi per l’ipnoscuola e il resto. Fare bambini è una faccenda piuttosto complessa.
Mi sentivo terribilmente sovreccitata e radiosa, con le guance ardenti e il cuore che batteva all’impazzata. Quando mi mandarono al settore medico, l’entusiasmo venne riscontrato dalla macchina, e i Q-R avevano le lacrime agli occhi. Sinceramente, per poco non impazzii per resistere alla tentazione di ridere loro in faccia. Avevo l’impressione che se avessi cominciato non avrei più smesso, e loro mi avrebbero qualificata Isterica di Prima Classe Uno-A, e avrebbero detto «figli mai!» Perciò me ne stetti buona mentre prendevano il gruppo sanguigno, i dati sull’attività elettrica celebrale, e le misure in gesso delle ossa. Poi qualcuno si chinò su di me e mi domandò se volevo fare un maschio o una femmina.
«Femmina,» risposi: con un po’ di aggressività, sospetto.
Mi domandarono se il compagno da me prescelto era d’accordo.
Oh, sì, naturalmente.
Beh, certo che sarebbe stato d’accordo, no, chiunque egli fosse? E all’improvviso pensai che doveva essere qualcuno un po’ speciale, dopotutto.
Immagino che mi avessero indotto loro, a pensarla così.
3.
E la cosa più tremenda fu che la prima persona che mi venne in mente fu Hergal.
Cercai di convincermi che non era proprio il caso.
Hergal è così noioso, continuavo a ripetermi, e decisamente troppo Jang, e per giunta zaradann e poi, oh, ha un po’ tutti i difetti.
Ma non servì a nulla. Immagino che avrò sempre un debole per la maleducata, vaga disinvoltura di Hergal, l’essenza della sua scintilla vitale, così aliena eppure, stranamente, così parallela alla mia.
Probabilmente doveva essere ancora al Limbo, dopo l’ultimo incidente — era il quarantunesimo, no? — ma quello non era un problema. In quanto al fatto che l’avevo escluso dal mio circolo, bene, dopo avevo escluso anche me stessa, perciò eravamo tutti e due reietti, per così dire.
In effetti comparve lui, nel sogno. Il sogno è quello che ti fanno fare quando ti prendono la metà necessaria per fare il bambino. Lo scopo principale è farti sognare che sei in compagnia del piccolo, ed è terribilmente idilliaco, e in pratica piangi di gioia nel sonno. Io correvo insieme a lei, la mia bambina, tra prati rosei pieni di profumo e di rosea luce solare, e tutte e due avevamo le chiome scarlatte, che stridevano con tutto, solo che a noi non importava niente. Non c’era null’altro, nel sogno, solo quella felicità esplosiva e singultante che sembra strapparti il cuore. E poi la bambina alzò la testa e indicò qualcosa che scintillava in cielo.