La Torre Trasparente era ovale, fatta di videoglacia, resistente alla pressione atmosferica, al maltempo, alla sabbia, ma completamente trasparente, davvero. Anche la cupola era limpida, e portava una specie di emblema confuso di una vecchia flotta di navi del deserto. Sono un’istituzione molto antica. Tutti pensavano che sarebbero state sostituite dalle macchine trasferitrici, fino a quando avevamo constatato che queste fanno vomitare. Ma ormai, tutti erano diventati restii a viaggiare.
«Che effetto fa, guidare una reliquia?» chiesi alla macchina-guida, che tentava di mettermi in soggezione trasformandosi in venti paia d’occhi fissati su un collo girevole. «No, non voglio guardare quella faglia geologica. E neanche quel vulcano spento sulla sinistra. Voglio guardare da me.» E guardai da me. Sinceramente, le guglie di roccia sembravano castelli fantastici usciti da un mito. Mi sorpresi a immaginare che lo fossero davvero, e mi bloccai. Oh, ma… e il cielo era scuro, più turchese che celeste, con una sfumatura verde che lo percorreva continuamente. Tutto il resto era in vari toni di nero, con strane venature rosso-rosa qua e là, tranne la sabbia che era chiara e sembrava riflettere un arcobaleno. Turbini di polvere che scintillavano, e canyon che si spalancavano; ed io stavo per abbandonarmi ad una frenesia silenziosa quando all’improvviso i lati e il tetto diventarono opachi. Mi lamentai con il robot, ma a quanto pare la Torre si schiarisce automaticamente in certi periodi del giorno e poi si oscura rapidamente, nel caso che lo spettacolo sia troppo forte e ci sia il rischio che tu ti precipiti come uno zaradann in giro per la nave.
Ridiscesi, e scoprii che il bestiolino era scappato e si stava azzuffando con l’animaletto roseo, e tutti gli altri erano in preda all’isterismo. Volevano sapere perché non ero capace di tenere a bada il mio mostro. No, non ero capace: se la sentivano di provare loro? Tutti indietreggiarono, e io mi lanciai e in qualche modo riuscii ad agguantare il bestiolino e a prendermi anche parecchi morsi. La femmina anziana afferrò l’animaletto roseo, tutto scarmigliato e ringhiante, e se lo strinse al seno. L’animaletto le sferrò calci.
Poi, per fortuna, uno squillo argentino annunciò l’arrivo di un pasto nel salone, e andammo tutti intruppati a rimpinzarci. Era molto groshing, davvero, con piatti d’oro e tutto il resto, e calici con fregi e piccole bollicine color malva incorporate nella crystallize. Cominciammo con pomodori di fuoco ghiacciati in vino rosso, passammo alla bistecca di radici e fagioli a crescita forzata in salsa ambrata con spezie, e finimmo con fruttispini, prugne del deserto e formaggio di lichene con noci. C’erano litri e litri di fuoco-e-ghiaccio e di Gioia, che contiene polvere dell’estasi.
Io mangiai da sola e feci mangiare il bestiolino nel mio piatto, apposta per dare sui nervi a tutti. Ma lui non ne aveva molta voglia, e si rianimò soltanto quando il robot arrivò con il suo piatto di surrogato sintetico di carne e di crema di cactus. Dovetti pagare parecchio, per questo. Gli diedero anche un po’ di vino, ma non so esattamente che vino fosse. Comunque, per fortuna non andò in estasi o cose del genere.
Dopo il pasto (sembra che a bordo delle navi servano soltanto sette pasti, ma tra l’uno e l’altro si possono fare spuntini freddi, ed è ragionevole, e comunque un solo passeggero partecipò a tutti i pasti) gli Anziani andarono a guardare la quadrovisione e gli Jang nuotarono nella vasca-piscina che, devo ammettere, mi tentava. Non con loro dentro, comunque. Presi una delle più grosse riviste di immagini mobili dalla biblioteca di bordo e andai a sedermi nella Torre Trasparente, tenendo ben fermo il bestiolino sotto ai miei piedi.
Presto la videoglacia si schiarì e io vidi una schiera di animali dalle lunghe orecchie, con le antenne e le zampe a sci, che attraversavano il deserto a grande velocità. Sembravano spaventosamente decisi. Potevi immaginarli mentre ti attaccavano bottone a una festa e ti parlavano del loro Movimento. Mi fece ridere, e poi mi sentii strana, come se fossi stata esclusa da un circolo e dovessi piangere. Tuttavia, il bestiolino distrasse la mia attenzione: li fissò e si mise a latrare.
«Non hai mai latrato, prima,» dissi, piena d’ammirazione. «Dovresti farlo più spesso.»
Lui mi lanciò un’occhiata fulminante.
Dopo parecchi oscuramenti, vidi che il cielo di turchese si andava arrossando lievemente all’orizzonte, al di sopra dell’alto imbuto nero d’una montagna. Vi fu il rombo cupo di un terremoto, e la nave tremò, appena appena. Fu come un segnale che scatenò strilla e urla dai ponti inferiori. In salone, dove alcuni passeggeri consumavano un altro pasto, un calice di crystallize rimbalzò sul pavimento. Mi rassegnai al fatto che quella stupida videoglacia si oscurasse per prevenire il mio isterismo paranoide incipiente… anzi inesistente. Ma invece non si oscurò. Probabilmente pensava che sarei scesa a urlare e a sudare insieme agli altri. Perciò potei assistere all’eruzione, derisann e decisamente insumatt, con fori rosa e malva di fumo che esplodevano, fontane di scintille, e un gran torrente di lava e di cenere nera. Che gioia! La nave delle sabbie, naturalmente, era adeguatamente programmata per evitare quella specie di cabaret involontario e decollò svelta sui cuscini d’aria, virando verso destra come fosse niente, e presto si lasciò indietro quello spettacolo. Comunque, avevo assistito ad un vero evento. Il bestiolino barrì.
«E va bene,» dissi. «Tu barrisci sempre. Non c’è niente di straordinariamente originale, in questo!»
Passai una nottata veramente rivoltante, almeno all’inizio. Innanzitutto il bestiolino continuava a saltare sul mio letto fluttuante ancorato, rovinandone il dondolio riposante. Poi continuava a cercare di infilarsi dentro al letto con me. Allora succedeva una scenata, il bestiolino se ne andava, e due split più tardi tornava a piombarmi addosso. Alla fine se ne andò e vomitò la sua razione di vino nel salone. Questa volta fu il robot a svegliarmi, per darmi la lieta notizia. Disse che dovevo portare il bestiolino nel gabinetto degli animali domestici, vicino al gabinetto a vuoto normale, perché i pulitori automatici non dovevano entrare in funzione a quell’ora di notte. Perciò io scesi dal letto, sentendomi molto colpevole, e costrinsi il bestiolino a fare un goccio di pipì nel posto giusto.
Poi non riuscii più a dormire, sebbene accendessi le onde rinfrescanti del letto, e poi quelle riscaldanti, e poi la macchina dell’estasi, e poi l’apparecchio della ninnananna che era uno schifo e sembrava convinto che io andassi ancora all’ipnoscuola.
Mi alzai e andai nella Torre Trasparente e, con mia grande gioia, scoprii che restava chiara per tutta la notte; perciò inghiottii per precauzione delle pillole per restare sveglia e passai sei ore o più in compagnia dell’oscurità illuminata dai riflessi rossi dei vulcani, sotto le stelle vive, basse, fredde e dure, con i guizzi rapidi degli occhi degli animali tra gli archi di roccia, in file d’oro lungo la sabbia. E vidi una vera aurora. Era meno spettacolare che in una cupola; ma c’era una sorta di prodigio etereo nei pallidi raggi sfreccianti di luce verde che lentamente traevano dalle tenebre il sole tondo e arancione, che diventò sempre più luminoso e ardente, fino a quando dovetti distogliere lo sguardo, con le lacrime agli occhi. Continuai per un pezzo a vedere delle macchie nere, e sinceramente mi spaventai un po’, fino a quando scomparvero. Nessuno mi aveva avvertito che non si può guardare il sole vero, come si può guardare quella falsa cosa gialla a Quattro BEE.