Cominciai a sentirmi strana nel momento in cui cominciammo a sorvolare il grande, turbinoso lago di lava vischiosa. C’erano bolle che salivano e scoppiavano, e getti di vapore che sibilavano e crepitavano. Il Palazzo era d’ossidiana, naturalmente, e torreggiava in mezzo a quel caos; era ovviamente ancorato, ma si dondolava leggermente insieme alla lava. Era uno spettacolo sbalorditivo, penso. Stava scendendo l’oscurità, blu cupa, e il lago e le strutture massicce del Palazzo splendevano come fiamme. Comunque, mi sentii in preda alla nausea.
L’avioplano mi scaricò all’ingresso, una terrazza dalle colonne di vapore: ed entrai. Il pavimento era venato d’oro, e poco dopo si arricchì di altre decorazioni, quando il bestiolino vomitò in tutte le direzioni il settimo pasto.
Chiesi scusa, pagai il dovuto, e chiamai un altro avioplano perché venisse a recuperarmi.
Mentre sorvolavamo Quattro BOO pensai: Possono tenersi i loro palazzi. Questa notte dormiremo in un parco. Terreno solido, e tempo sempre perfetto, naturalmente, dentro a una cupola. E tanti Jang. Dirò che sono venuta qui per fare un po’ di contemplazione.
E così andammo e comprammo un cubo di vetro e d’acciaio e d’oro estremamente insumatt, venato di colori meravigliosi e contenente una cinquantina di possibili infiniti. Sarebbe valsa la pena di contemplare una cosa come quella, anche se non fosse saltato fuori nient’altro. Ero piena di pazze speranze e ripensavo con gioia intensa alla mia mezza figlia che aspettava a Quattro BEE. E poi io, il bestiolino e quella bestia di ape scendemmo nella luce delle stelle su di un soffice prato.
Avanzai un po’, dopo aver acceso la lucetta serale dell’ape, e scelsi un boschetto d’alberi diamante. Mi sistemai, feci un pasto per iniezione, ispezionai i miei capelli, l’abito e tutto il resto nel lungo specchio dell’ape, e poi mi adagiai, aggraziata e languida, con il cubo ancorato a un tronco d’albero, alla distanza adatta. E mi perdetti davvero nella contemplazione, io e tutte le mie pazze speranze. Non udii veramente le loro voci fino a quando non insistettero.
Erano entrambi maschi, entrambi molto groshing, uno con i capelli bianchi e l’altro con i capelli scuri.
«Io sono Sarl,» disse quello dai capelli scuri, non appena li guardai. «Questo è Lorun.»
«Oh, è derisann,» mormorai. Il bestiolino mostrò i denti, e io cercai di allungargli una sberla di nascosto.
«Ti senti sola?» chiese Sarl. Mi guardò con aria concupiscente. Beh, non sarebbe stato lui, tanto per cominciare.
«Oh, non mi sento sola,» dissi. «Piuttosto affamata, ecco. Ero così assorta nella contemplazione, vedete, che avevo dimenticato i pasti. C’è qualche posto…?»
«Vieni con me,» disse Sarl.
«No,» risposi. «Voglio continuare la contemplazione. Presto avrò l’estasi. Potresti portarmi tu qualcosa?» E Sarl, quel thalldrap, se ne andò premuroso. Guardai la mia preda. Mmmm.
«E tu sei Lorun,» feci, sorridendo.
«Infatti,» disse Lorun. Non si congratulò neppure sarcasticamente con me per la mia memoria eccezionale.
«Questo è il mio bestiolino. Ho paura che potrebbe morderti.»
«Oh, sono abituato agli animali,» disse Lorun. Si avvicinò e sedette, e poco dopo il bestiolino si stava rotolando sulla schiena, con le sei zampette bianche che si agitavano nell’aria, e diventava matto mentre Lorun gli grattava la pancia. Beh, non potevo dar torto al bestiolino. Davvero, quel maschio aveva un corpo sensazionale. Era piuttosto snello ma muscoloso, con gambe lunghe e poderose e mani groshing, artistiche. Aveva i capelli molto corti: gli arrivavano solo sulle spalle. E non aveva né barba né baffi, solo le sopracciglia e le ciglia nere, spaventosamente attraenti, pazzamente derisann su quel pallore di ghiaccio. Ottimo gusto.
«Sono sicuro che tu ti senti davvero sola,» disse alla fine, dopo aver fatto praticamente ammattire me e il bestiolino.
«Beh, sì,» ammisi. «È possibile.»
«Sei forestiera, magari?»
«Quattro BEE.» Devo confessare che in quel particolare momento non pensavo nemmeno alla bambina.
«Ah, allora, dato che sono di qui, devi permettermi di prenderti sotto le mie ali.»
«Ottima idea. Sono sicura che sarà piacevole.»
«Sei incantevole,» disse Lorun. «Ma… e la tua estasi?»
«Quella può aspettare,» decisi io.
Ma lui decise che non poteva aspettare. Avremmo avuto l’estasi insieme. Proprio in quel momento, scorse Sarl che tornava a passo di marcia verso di noi, tra prati e terrazze, portando viveri e vino.
«Andiamo,» disse Lorun, «oppure ci tieni proprio a mangiare, adesso? Possiamo aspettare, se preferisci.»
Non lo preferivo, e glielo dissi. Perciò scappammo via in mezzo agli alberi come bambini dispettosi all’ipnoscuola, mentre le nostre api trascinavano via il bestiolino e il cubo della contemplazione, a luci spente.
Avemmo l’estasi a bordo di un avioplano a comandi robot, ma Lorun continuava a pasticciare con le leve e i pulsanti, e sembrava di essere con Hergal in uno dei suoi momenti migliori.
Nel bel mezzo della picchiata più spaventosa, che in qualunque altro momento, mi avrebbe lasciata senza fiato per il terrore, Lorun mi chiese se avrei accettato di sposarlo per due o tre unit.
Neppure il bestiolino ci trovò da ridire. Credo che avesse l’impressione di averlo sposato anche lui.
8.
Bene, non avevo mai pensato di essere tagliata per gli idilli, a quanto pareva lo ero. Vivevamo, respiravamo, mangiavamo, dormivamo letteralmente l’un l’altra. Lorun aveva un fattore che in quel momento era assente, a Quattro BAA. La loro casa una massa immensa di cupole chiuse e di guglie sotto a un lago d’oro pallido, vicino al centro della città. Era un’area molto esclusiva, con poche altre case, sotto le acque di seta. Bizzarre piante acquatiche ondeggiavano oltre le finestre, e noi facevamo l’amore e facevamo l’amore e facevamo l’amore.
Ed era tutto così divertente, oltre che soddisfacente dal punto di vista erotico. Giocavamo e correvamo insieme a quella peste di bestiolino, e a Lorun sembrava non importasse niente se strappava i rampicanti e graffiava le porte della valvola stagna. Andammo a nuotare e a navigare con la sfera sotto al lago, visitammo i ristoranti e i campi giochi subacquei, anche quelli molto esclusivi e groshing, parlammo e ridemmo e facemmo i pazzi. Io pensavo davvero che fosse una cosa seria, ma sul momento non affrontai la questione della bambina. Mi sembrava che quella relazione fosse qualcosa di più di una semplice caccia a un altro possibile fattore. E poi, quando i tre giorni passarono, Lorun propose di chiedere una proroga del matrimonio.
L’ottenemmo, e facemmo l’amore per festeggiare, una cosa simpatica ma non originale, e poi qualcuno chiamò Lorun e gli chiese se voleva partecipare a un sabotaggio Jang.
«Vuoi venire anche tu?» mi chiese lui.
«Non vuoi che venga, ooma?»
Lorun dimostrò inconfutabilmente che voleva, e perciò andammo insieme.
Non avevo sabotato niente da vrek e vrek, e mi sentivo un po’ arrugginita e tosky, per l’euforia di stare con Lorun. Ci incontrammo con gli altri membri del suo circolo, quattro strane femmine dai capelli a pampini, e una con un corno scanalato che le spuntava dalla tempia sinistra, Sarl e un altro maschio. Sarl mi guardò male.
«Ehm, attlevey,» dissi. Mi sentivo molto estranea. Ho già detto che i circoli stanno diventando terribilmente esclusivi e quello era un magnifico esempio.
«Attlevey,» cantilenarono tutti, guardandomi come se fossi spuntata inaspettatamente dallo scarico a vuoto o qualcosa del genere.
«Sei il nuovo matrimonio di Lorun, non è vero?» mi chiese la cocca con il corno, in tono carognesco. Capivo benissimo che le sue lunghissime unghie non avevano solo funzione decorativa.
«Oh, pensavo che l’ultimo fossi ancora tu,» disse un’altra femmina, che aveva gli occhi tutti blu e mani a otto dita… altre unghie pericolose. Beh, ecco.
«Mi dispiace,» dissi, dolcemente. «Io sono la nuova, con un caratteraccio e irrefrenabili tendenze omicide.»
«Oh, davvero!» esclamarono: ma avevano ancora l’aria un po’ preoccupata.
Lorun sembrava ignaro di tutto, un po’ come Hergal, sebbene nessuna delle femmine prevalentemente femmine del mio circolo, come Thinta e me, fosse atroce quanto quelle lì.
«Allora andiamo,» disse Sarl, senza badarmi, come se mi considerasse indegna del suo disprezzo. «Non perdiamo altro tempo.»
Perciò uscimmo dal parco galleggiante dove c’eravamo incontrati. Passammo per una successione di ponti fluttuanti e di strade mobili, terrìbilmente complicate, che dovevano far parte del divertimento o non so cosa. Io diventai sempre più tosky, e alla fine dissi agli altri di aspettarmi un momento. Andai a rubare tre catenelle di madreperla e d’ambra, che mi avvolsi con disinvoltura intorno ai fianchi. Mi sentii un po’ meglio, ma gli altri brontolarono per il ritardo, poiché non si rendevano conto delle mie Esigenze Neurotiche, il che forse era un bene.
Lorun li fece tacere semplicemente guardandoli e dicendo, con voce sommessa e soave: «Silenzio, voi, thalldrap a due occhi.»
Mi sentii gratificata, e anche un po’ irritata, senza capire bene il perché. Comunque, non molto più avanti dovemmo camminare con le nostre gambe: ci avvicinavamo agli avamposti di Quattro BOO. Gli avamposti, lì, hanno dei nomi, oltre alle lettere dell’alfabeto. Quello dove volevamo andare si chiamava Dulsa D.
«Ci siamo!» annunciarono quando arrivammo sulla piattaforma di roccia, alla base di milioni di rampe di scale non mobili. L’avamposto era un piccolo cubo azzurrognolo, situato nei pressi di una delle entrate della cupola. Ci avviammo alle porte di vetroghiaccio e prememmo il pulsante di chiamata. Io cominciai a sentirmi veramente nervosa, poi mi accorsi che mi faceva piacere esserlo, e allora tornai mortalmente calma e smisi di provare piacere, il che fu un vero peccato. In Dulsa D lampeggiarono delle luci rosee. Una voce ci chiese cosa volevamo.
«Emergenza!» strillammo con voci piene di panico. Sinceramente, pensai, se la Commissione si preoccupasse di quei piccoli disastri, programmerebbe i robot degli avamposti perché si rendessero conto che non ci può mai essere una situazione d’emergenza, solo un branco di stupidi Jang che cercano di entrare per combinare un pasticcio. Suppongo che la spiegazione sia questa. La Commissione non si preoccupa affatto. Com’è deprimente, non essere in grado di preoccupare qualcuno, anche se ti impegni al massimo.
Naturalmente, appena le nostra urla di terrore arrivarono all’interno, le luci rosee divennero rosse; le solite dieci porte si aprirono e si chiusero dietro di noi, in successione, ed entrammo a passo di carica, gridando. Talvolta ci sono due robot, talvolta uno solo. Questa volta ce n’erano quattro. Superfluo aggiungere che eravamo entusiasti all’idea di menar le mani.
Lorun e Sarl e l’altro maschio agguantarono il robot più vicino e lo scaraventarono contro quello che stava dietro, poi sedettero sulla massa metallica che si dibatteva e strapparono le spine. Tre femmine aggredirono un altro e lo atterrarono con funi di perle di crystallize, mentre la cocca con il corno ed io ci scoprimmo improvvisamente compagne d’armi e assaltammo l’ultimo. Trovai la spina dello smantellamento, mentre lei rovistava con il corno nei circuiti elettrici dei riflessi.
Ci congratulammo reciprocamente, raggianti, e ci avviammo verso i comandi. Ma per la verità, pensai, non si può mai far molto, tranne creare un lieve tremito nei raggi della barriera, che lascia entrare per circa due split un po’ di vere intemperie o di terremoto o qualcosa del genere. Comunque, noi non ci pensavamo, ed eravamo convinti di essere temerari e tremendi, di sovvertire il sistema. Guardammo gli schermi, e vedemmo tre montagne molto ooma che cominciavano a eruttare tutte insieme, riversando la lava verso di noi.
«Via!» gridò Lorun, e tutti cominciammo a sfasciare in giro tra i pulsanti e le manopole, con zampe esperte.
E poi ci ritrovammo sul pavimento. Quattro BOO aveva sussultato con forza. Le onde si stavano già riallacciando, tutto intorno, ma un po’ di quella lava sarebbe riuscita a passare. E poi qualcosa mi colpì. Non era pioggia, o cenere, o un fremito del terreno, di cui gli edifici della città possono ridere. Questo era magma rovente, doloroso, mortale. A Quattro BEE i vulcani sono meno numerosi e meno attivi. Non credo che riusciremmo mai a fare entrare la lava a Quattro BEE, se ci provassimo. Ma cercare di combinare le cose in modo che la lava fosse la portata principale del menù… Mi sentii orribilmente, all’improvviso, agghiacciata e nauseata.
«Qualcuno si brucerà,» dissi a Lorun, rendendomi conto all’improvviso di aver capito molto meglio degli altri ciò che stava succedendo.
«E allora?» fece Lorun, «È un Evento. Abbiamo fatto succedere qualcosa. Siamo venuti qui altre volte, ma non abbiamo mai avuto molta fortuna con la lava. Questo è veramente groshing, mia ooma. Goditelo.»
«Oh, Lorun,» mormorai. E poi notai qualcosa che nessun altro vedeva: una piccola spia verde che si accendeva e si spegneva sulla parete. Andai a guardare, e c’era scritto Scudo d’onde d’emergenza in funzione. La Commissione! Ringraziai la Commissione. La saggia, meravigliosa groshing Commissione! Là sapevano del sabotaggio dei Jang, ma proteggevano la città. Benissimo, lasciamo che i Jang aprano la cupola ma, con quella pericolosa lava tutto intorno, mettiamo un meccanismo a reazione immediata per schermare la cupola, mentre le onde si riordinano: un meccanismo al quale i Jang non possono arrivare.
Il nostro sabotaggio era stato sventato, e io mi sentivo così felice.
Gettai le braccia al collo di Lorun e lo baciai. Lui sembrò soddisfatto. Sembrò meno soddisfatto quando corremmo via e trovammo la città perfetta, intatta. Gli altri diventarono di pessimo umore. Sembrava pensassero che fossi io la responsabile del loro insuccesso: e se desiderare significa fare, immagino che lo fossi davvero.