Venne anche il bestiolino, e si diede ai bagordi quanto noi. Si ingozzò di prugne di zucchero e si strofinò contro Lorun, con i perversi occhi arancione illuminati da un affetto decisamente nauseante.
L’avioplano era molto veloce, e raggiungemmo Quattro BAA in un giorno, immediatamente prima che nel deserto spuntasse l’alba e che nella cupola ci fosse il tramonto. Mi dispiacque perdere un’altra alba vera, ma notai con tristezza che i finestrini dell’avioplano erano elegantemente diventati opachi, con un effetto di broccato d’oro.
Andammo alla residenza del fattore di Lorun. Il fattore, che era femmina, ci guardò con aria vaga e chiese chi dei due era suo figlio. Lorun le rispose prontamente che ero io, causando un turbine d’imbarazzo. Alla fine chiarimmo tutto e il fattore se ne andò con un affascinante maschio anziano dai capelli rosso-scuri, lasciandoci abbandonati a noi stessi.
Gironzolammo un po’ per casa, poi andammo a mangiare su di un lago azzurro, sotto le stelle, a bordo di una zattera d’oro con baldacchino, serviti da ragazze quasi-robot tutte ingioiellate, dai lunghi capelli azzurri d’acqua asciutta. BAA è veramente il centro di tutte le cose più ricche e più strane. Draghi dalle scaglie di zaffiro scagliavano getti d’acqua dal lago, tutto intorno a noi. Un serpente incrostato di perle si avvicinò alla zattera per sbirciarci, e io dovetti affrettarmi a catturare il bestiolino, caso mai pensasse che si trattava di un animale robot, come il serpente che avevo comprato per Hergal. In effetti, il bestiolino diventò un po’ tosky e andò a nascondersi barrendo in petto a Lorun.
Dopo l’ottavo pasto, passammo attraverso una galleria di stelle raggruppate in motivo ornamentali, lassù in alto, sul dorso di un uccello meraviglioso dal piumaggio d’argento bruciante e dal becco di rubino: cantava strane canzoni d’amore con una voce lieve, dolce, malinconica, la più bella e appassionatamente triste che avessi mai sentito. Quasi piangendo, Lorun ed io ci tenemmo abbracciati ai cuscini rossi, e dopo lui disse: «Sposami per un vrek quando scadrà la proroga, o per due vrek, angelo derisann dalla luce scarlatta.» Credo che la poesia fosse contagiosa: comunque, ero perduta.
«Oh, sì,» mormorai. «Ooma, ooma, oh, sì.»
Ma la proroga non era ancora scaduta.
10.
Andammo all’allevamento degli animali androidi con l’avioplano di Lorun.
È un po’ lontano dalla città, anche se si può vedere l’enorme scintillio della cupola che sale e sale, fino a sparire in lontananza.
L’allevamento, il primo dei sette (uno solo dei quali produce veri Q-R), si trova anch’esso sotto ad una cupola: ma è piccola, con un sole che sembra un ciottolo, e stelle che paiono lustrini, e ci sono soltanto per abituare gli animali. A quanto pare, il fattore di Lorun fa parte del gruppo che preme i pulsanti e fa girare le manopole; comunque ci si aspetta che tu fraternizzi con gli animali, e mi sembra un lavoro veramente groshing, interessante, degno. Ebbi all’improvviso la visione del mio futuro: più o meno sposata permanentemente con Lorun, nostra figlia all’ipnoscuola, e io che lavoravo all’allevamento con il suo fattore, sempre in buona armonia e tutto il resto. Mi sentii così emozionata che mi girai verso di lui e dissi:
«Lorun, ero venuta a Quattro BOO anche per un’altra ragione. Volevo trovare…» E poi esitai, non so perché, anche se forse in verità lo so. Sentivo che non potevo chiedergli della bambina, in quel momento.
«Sì?» fece lui.
«No,» mormorai. «Dopo. Te lo dirò dopo.»
Mi sembrò un po’ irritato, ma lasciò perdere.
Lasciammo l’avioplano ed entrammo e uscimmo tra pagode e torri e palazzi, ci fermammo in riva ai laghi e salimmo verso masse di nubi dove uccelli di fuoco e di profumi venivano addestrati a volare e a cantare. E dopo un po’ cominciai a sentirmi atrocemente depressa. Cercai di combattere l’avvilimento, parlando a voce alta e mostrandomi molto allegra, ma non servì a niente. Penso che la colpa fosse del bestiolino, davvero. Tacque e cominciò a tremare.
«Penso che gli animali, qui, lo spaventino,» dissi a Lorun, per cominciare. Voglio dire che tutti lanciavano fiamme e profumi e getti d’acqua e chissà che altro, e parecchi erano fosforescenti o acquosi, sparivano dopo tre passi e ricomparivano al quarto, o qualcosa del genere. Poi cominciai a capire che non era questo a deprimere il bestiolino. Anche lui era un animale, ma un animale vero, nato così, concepito primitivamente, uscito da un uovo caldo, covato da un ventre peloso, nel deserto. Quegli animali erano fatti delle stesse molecole, di componenti simili, ma con la scintilla di vita elettrica dei Q-R, e con lo stesso servilismo verso l’umanità. Sono decorativi. Devono essere belli e mitici. E all’improvviso, ricordai il mio ooma drago della Torre di Giada e la sofferenza mi si aprì nel cuore, come un gran fiore. Quante volte mi ero seduta dentro alla sua bocca inoffensiva, piena di aroma di pini e di fuoco verde, che avrebbe potuto ridurmi in poltiglia? Provavo un’intensa voglia di piangere, ma non ci riuscivo, e tenevo il bestiolino contro la faccia, in modo che potessimo condividere la nostra infelicità inibita.
Elegantemente, insensibilmente, Lorun mi stava guidando da un prato a un recinto, da una torretta a un canale. «Fermati!» avrei voluto urlare. «Non lo sopporto più.» Volevo vedere quegli animali, tutti, liberi di giocare nel deserto, e poi mi resi conto, con una sofferenza ancora più intensa, che gli animali veri all’inizio sarebbero fuggiti terrorizzati, ma poi avrebbero finito per fare a pezzi i loro corpi indifesi.
Poi Lorun mi propose di andare a vedere le vasche della riproduzione, nel crepuscolo di crystallize, e io pensai alla mia bimba vera, per metà viva, che attendeva il suo crepuscolo di crystallize, e ansimai: «Riportami in città. Ti prego, portami indietro.»
«Cosa?» Lorun si irritò subito. Mi accorsi di quanto fosse irritabile, quando le cose non andavano secondo i suoi desideri.
«Scusami,» dissi io. «Mi sento tosky. Non posso… tutti questi poveri animali ignari. Io…»
«Oh, che sciocca sei, certe volte,» disse Lorun, quasi dolcemente: pensava che fossi un po’ scocciante.
L’infelicità si trasformò in collera. Forse mi sentivo semplicemente sulla difensiva.
«Riportami in città, v…n!»
L’educazione di Lorun svanì, ma la sua faccia diceva più delle sue parole. Venne verso di me a grandi passi, e io mi rattrappii. All’improvviso, il bestiolino che tenevo contro la guancia si rigirò e gli ringhiò contro. Era la prima volta che ringhiava contro Lorun. Lorun subito cominciò a propiziarselo, per dimostrare a tutti e due con quanta facilità poteva incantarci. Lo coccolò e se lo ingraziò e allungò la mano. Il bestiolino forse pensò che fosse un gesto aggressivo, ma possibile che fosse così selt? Non lo credo.
Brontolio… ringhio… scatto, e il bestiolino morsicò Lorun con più forza di quanto avesse mai fatto, eppure mi aveva morsicato parecchio.
Lorun gli diede una sberla, molto forte, poi imprecò. Adoperò parole che io non avevo mai sentito: rammento vagamente che cercai di ricordarmene qualcuna per usarla in futuro, nonostante la sofferenza e il trauma.
«Ti riporterò indietro,» disse finalmente. «Ma non con quel floop di animale che ti tieni così caro.»
«O ci porti tutti e due, o nessuno,» scattai.
«E allora nessuno dei due,» disse Lorun, sgocciolando sangue.
«Il piacere è tutto mio,» risposi, fredda come il ghiaccio, anche se mi sentivo male. La frase suonava meravigliosamente definitiva. Mi voltai e Lorun mi rincorse.