Andammo ad un fluttuante e per la verità, ad essere sincero, lo feci soprattutto per nascondermi. Fu parecchio derisann, comunque. Il suo corpo attuale era incredibilmente agile nei momenti ideali.
Verso l’alba, mentre ci prendevamo un breve riposo, fuori ci fu un rumore terribile, ronzante.
«Che cos’è?» gridò preoccupata Thinta, abbracciandomi.
Lo scoprimmo subito. Le api messaggere della Commissione possono entrare dappertutto. Questa arrivò alla carica, passando attraverso la parte centrale del letto di nuvole. Thinta urlò. La messaggera mi indicò e intimò:
«Vieni subito al Palazzo delle Commissioni, nel Secondo Settore.» Straordinario, come riuscivano a programmare le api in modo che assumessero quel tono da carogne.
«Che cosa hai fatto?» chiese tremante Thinta. «Io non c’entro,» si affrettò ad assicurare alla messaggera.
Dunque l’avevano scoperto, vero? Bene, ormai era troppo tardi.
«Sono molto deluso di te,» disse il Q-R. «E mi sorprende che tu abbia fatto ricorso ad un’astuzia così sciocca.»
«Beh,» dissi io. «Ha funzionato.»
«Molto tempo fa,» borbottò ostinatamente il Q-R, «questo sarebbe stato un reato punibile. Poiché l’idea di reato è stata abolita, non possiamo far niente, mi duole dirlo.»
Mi sentivo stranamente ferito: prima era stato così gentile e comprensivo.
«Ma ha funzionato, non è vero?» insistetti.
«Se ha funzionato? No, naturalmente.»
«Cosa?» domandai. «Vuoi dire che avete scoperto tutto prima di unire le due metà?»
«In verità no. Lo avrei preferito. Lo abbiamo scoperto quando le abbiamo unite.»
«Cos’è successo?» domandai.
«Mio caro giovanotto,» disse il Q-R, «hai mai sentito di due negativi che fanno un positivo? In questo caso, purtroppo, è vero il contrario. Due metà di una stessa persona fanno decisamente un negativo.»
«Ma una metà era maschio e una femmina,» protestai. «Non capisco…»
«Avevamo a che fare,» disse il Q-R, «con un vero essere vivente, non con un androide.» Era amarezza, quella che sentivo nella sua voce? Pensai agli allevamenti di Quattro BAA e cominciai a provare una sensazione strana. «Come una vita vera,» disse il quasi-robot, «l’elemento più importante è la scintilla di vita, ed entrambe le scintille offerte appartenevano ad un solo essere… a te. Nel momento in cui si sono toccate sono esplose e sono tornate nel vuoto. Hai ucciso tuo figlio. Naturalmente, non avrai il permesso di farne un altro fino a quando non sarai più Jang, ed anche allora, temo, potrai trovare difficoltà ad ottenere l’autorizzazione.»
Sapevo che stavo per vomitare, e fortunatamente lo sapeva anche lui, e mi attivò un gabinetto d’emergenza.
Dopo fu molto cortese, e mi impedì di fracassarmi le cervella contro le sedie di crystallize.
Ma era inutile che si disturbasse.
Andai ad annegarmi nella mia sfera non appena potei.
PARTE QUARTA
1.
Quando mi svegliai nella vasca del Limbo, cominciarono subito. Ero andata a procurarmi un corpo nuovo a BOO, e poi l’avevo rovinato, e superavo ancora la mia razione, ed era ora che la smettessi, e al prossimo cambio… probabilmente urlai e mi feci venire una crisi o qualcosa del genere. A quanto pareva, tutti i miei cavi emotivi erano aggrovigliati e qualcosa si era sovraccaricato ed era esploso. Urlai e urlai. Poi mi dissero che urlavo che non volevo un corpo nuovo, volevo restare in eterno nella vasca. Si preoccuparono per me, e centinaia di Q-R cominciarono ad agitarsi intorno a me, cercando di calmarmi. Mi promisero che avrei avuto il corpo che volevo, e che non aveva importanza anche se superavo la mia razione, e su, su, prima o poi dovevo andarmene perché c’erano altri che aspettavano.
Raddoppiarono il numero delle persone che aspettavano ogni volta che tiravano fuori quell’argomento, e immagino che alla fine mi lasciai prendere dall’altruismo e accettai di venir fuori.
Scelsi un corpo femminile terribilmente ordinario. Era magro e fragile, con i seni insignificanti e i capelli lisci e disordinati. Lo progettai con impegno lento, meticoloso, perverso. Feci le gambe e la vita troppo lunghe, gli occhi scuri e opachi, dietro cui nascondermi e stare al sicuro. Sarei stata una stranezza, non come Hatta nella sua ossessione per l’orrore, ma aliena, in un mondo in cui quasi tutti erano bellissimi. Poi restai nel Limbo per millenni, e mi lasciarono fare: solo di tanto in tanto mi ricordarono che avrei fatto bene ad andare a casa.
Vennero a trovarmi Hergal e Hatta.
Hergal era ridiventato un maschio affascinante, guardò il mio aspetto squallido e triste e sembrò un tantino a disagio. A lui piaceva l’erotismo, dopotutto. Hatta invece mi accettò con ogni battito dei suoi quattro occhi rosa carico.
Furono molto prudenti e gentili. Così prudenti e gentili che mi parvero sprezzanti e privi di tatto. Hergal continuava a dire frasi spiritose e a parlarmi delle cose meravigliose che c’erano da vedere fuori, adesso. Hatta si tratteneva a stento dal ripetere la sua abominevole proposta di matrimonio. Ma immagino che mi fecero un certo effetto. Decisi di tornare a casa.
Non mi vollero lasciare andare con la mia sfera. Furono molto diplomatici, ma irremovibili. Mi portarono a casa in volo, con un avioplano a comandi robot, impossibile da manomettere e dai calmanti toni gialli.
Andai sotto al portico, sotto il fiore d’oro che si apriva e si chiudeva, e vagai per le stanze pulitissime, dove alcune macchine erano ancora impegnate a spolverare e a lucidare. Andai in giardino, e all’improvviso vidi la mia bestiola, accanto alla piscina, impegnatissima a lavarsi meticolosamente.
«Oh, bestiolino!» gridai. Ricordo che l’avevo mandato via, a casa da solo, così crudelmente, solo perché mi ricordava i giorni che avevo trascorso con Lorun. Pensai a tutto il tempo che l’avevo lasciato solo, senza pensare mai a lui, e fui presa da brucianti rimorsi. Mi precipitai a braccia aperte, e quello lanciò un ringhio acuto, isterico, e fuggì via per il giardino, urlando.
Mi sentii sconvolta e indebolita. Era il colpo finale. Sedetti sull’orlo della piscina, stringendomi le braccia rifiutate, straziata dal dolore e dal rimorso, e all’improvviso capii cos’era successo. Avrei dovuto ridere, tanto era semplice. Il bestiolino non aveva agito per risentimento, ma per autentica paura. Ero cambiata. Non ero più la ragazza Jang dai capelli scarlatti, dalla vita esile e dal seno esotico, tutta bellezza e grazia. Ero uno stecco sgraziato, magro, con la faccia sbiadita. Non mi conosceva. Farathoom! Probabilmente avevo persino un odore diverso!
Perciò balzai a bordo della mia sfera, mi precipitai al Limbo ed entrai con passo di carica. Mi guardarono con aria strana, quando mi videro. Spiegai tutto e loro arretrarono, dicendo: «Oh no, ehm, no, no, ehm, no di certo…» E allora ricordai come avevo conquistato involontariamente la loro comprensione, prima, e mi feci prendere da un finto attacco isterico, urlai le cose terribili che avrei fatto, per esempio buttarmi nella vasca così com’ero. Mi spruzzarono addosso qualcosa che mi fece cadere inerte, poi discussero concitati e ammisero che era meglio assecondarmi. Così dissi che ripescassero il mio incartamento e ordinai una copia esatta di quello che ero stata, con i capelli scarlatti e tutto il resto.
Mi avviai verso la piscina, il tintinnio delle catenelle di anemoni d’oro e di conchiglie purpuree, cantando una canzoncina Jang. Ero impreparata a quello che successe. La bianca cometa lanosa schizzò fuori dall’erbavetro e mi balzò tra le braccia, coprendomi la faccia di baci umidi.
«Oh, che sciocchi che siamo.» Per poco non piansi, mentre ci rincorrevamo intorno alla piscina e ci rotolavamo sui fiori di seta.