— Una cosa simile non esiste, Nonnina.
— E cosa ti autorizza a dirlo?
— È una vita che lavoro con i transplat, ecco cosa. C’è un fattore che limita la trasmissione di materia: deve avvenire in un campo planetario, deve avere una centrale d’energia, deve avere piattaforme costruite con materiale non-trasmettibile, e deve…
— Non insegnare a me come funziona il transplat! — sbottò lei. — Supponiamo che si possa costruire un’apparecchiatura basata su un principio diverso: una pompa d’energia che attragga invece di spingere, come uno specchio che assorba invece di riflettere.
— Ma è una legge fisica che non esiste. Non capisci che io lo so?
— In tal caso tieni gli occhi bene aperti perché quella dannata macchina tu stai per vederla! — La donna andò all’angolo più interno della piccola stanza e colpì con un calcetto una piastra a livello del pavimento. L’intera parete si sollevò rientrando nel soffitto, rapida e silenziosa. Si accesero delle intense luci bianche.
Il locale che era apparso sembrò a Roan un laboratorio. C’erano apparecchi che aveva visto soltanto in certe fabbriche e ce n’erano altri che non aveva mai visto. Per lo sbalordimento i suoi pensieri andarono in stallo.
La donna scese alcuni gradini e andò alla parete più lontana. Buona parte di essa era composta da pannelli indicatori, e al centro campeggiava una consolle di comando. Sopra le file di cursori c’era un largo schermo video insolitamente ricurvo. Nonnina (ora stentava a darle quell’appellativo) vi batté sopra un dito.
— Visione tridimensionale. C’è un servo-robot identico a questo su una collina, a quaranta miglia da qui. Si lavora in duplex — disse.
Roan le si avvicinò, esterrefatto. La vide sedersi ai comandi di fronte allo schermo e cominciare a regolare cursori stranamente elaborati.
— Ti spiego come funziona — disse la donna in tono astratto, controllando l’accensione degli indicatori. — In parole semplici la teoria è questa: fai partire una linea da questa apparecchiatura e una linea dall’altra. Dove si intersecano c’è il tuo punto di trasmissione. Poi traccia altre due linee, facendole intersecare dove vuoi, e quello è il punto di arrivo. Quando hai prestabilito i due punti, visionandoli sullo schermo, dai energia e il trasferimento avviene all’istante. La differenza con il transplat è che la materia non viaggia sotto forma di energia, bensì cessa di esistere al punto di partenza, e per la legge della conservazione riappare a quello di arrivo. Oppure puoi dire che lo spazio fra i due punti è stato annullato.
— Mostrami come funziona — sussurrò Roan.
— Va bene. Nomina un oggetto che vuoi ricevere qui.
— Il mio vecchio portafoglio. Nella scrivania dell’ufficio, cassetto in alto a sinistra. Uh… il cassetto è chiuso.
— Qual è la matrice?
Lui le diede le coordinate dell’indirizzo. La donna le batté su una pulsantiera e lo schermo si accese. Ciò che vi apparve era un’unità abitativa della Stasi vista dall’esterno. Mosse poi due cursori e la visione si avvicinò, i muri svanirono, alcuni locali parvero venire assorbiti l’uno dietro l’altro e infine fu inquadrata una scrivania.
— È la tua?
— Sì — disse raucamente lui. — Bello davvero come raggio-spia. Tu…
— Ancora non hai visto niente — lo interruppe lei. Premette un interruttore e Roan sentì i quieti rumori ben noti degli uffici. Mosse poi un diverso cursore, e all’improvviso la visione penetrò all’interno del cassetto. Il buio lasciò il posto a una luce azzurrina, e il portafoglio fu inquadrato in un reticolo che lo centrava. La donna passò poi a un’altra serie di comandi e la scena scomparve.
— Ora localizziamo il punto di ricezione — mormorò. Sullo schermo sfilarono immagini confuse, un garbuglio di linee colorate e poi d’un tratto ci fu la stanza in cui loro si trovavano, vista da un punto a livello del soffitto e così nitida che Roan trasalì. D’istinto alzò gli occhi in cerca dell’obiettivo che lo inquadrava, ma non vide niente.
— Protendi la tua sciocca mano — ordinò Nonnina.
Roan ubbidì. La scena inquadrata si abbassò finché la sua mano fu al centro di un altro reticolo in primo piano. Agitò le dita, senza però percepire nulla di palpabile. La donna riportò sullo schermo l’immagine precedente, ma sovrapposta a quella, e nell’attimo in cui i reticoli combaciarono premette un pulsante.
Il portafoglio cadde in mano a Roan.
Lei spense l’apparecchio e si girò a guardarlo. — Ebbene?
— Fantastico — borbottò lui. — Ma perché mi hai mostrato tutto questo?
— Che vuoi dire?
— Non è così che funziona la telecinesi. Certo, ho avuto il mio portafoglio, ma non con quel sistema, come avevi detto tu.
— Ah, no? Sentiamo, secondo te come hai avuto il portafoglio?
Lui esaminò il macchinario con attenzione. — È una specie di amplificatore… sì, un elaborato ricercatore d’immagini, ma nient’altro. È il paravento dietro cui si nasconde il tuo amico TC, vero?
— Pensi sul serio che io abbia un telecinetico nascosto qui attorno, e che lui abbia lavorato su delle immagini video?
— Tu sei la TC!
Lei s’appoggiò alla consolle, rassegnata. — Be’… se non puoi vincerli fatteli amici, dicevano gli antichi Romani. E se tu dici che è così, ragazzo, allora sia pure così.
— E perché non mi hai detto che eri così fin dall’inizio? — borbottò lui, controllando l’orologio. — Allora, adesso che facciamo?
— Aspetta un momento… io ho quello che fa per noi. — Si alzò e gli fece un sorriso. — Sacrificherò il modello pilota; sei abbastanza robusto da riuscire a portartelo dietro.
Andò ad aprire un largo sportello a muro e ne trasse fuori l’estremità di una cassa metallica. Roan lo aiutò a sollevarla e la piazzò su un bancone. Era un’apparecchiatura massiccia e poco complicata.
— Lo userò soltanto per localizzarti — disse lei. S’avviò verso la consolle, e nel camminare si tolse l’enorme accappatoio azzurro. — Basta che tu la metta verticalmente e… cos’hai da guardarmi così? Oh! — Abbassò gli occhi sui pantaloncini a mezza gamba che portava, si tirò giù l’orlo della maglietta e rise. — Be’, ti ho detto che fa caldo, qui.
Roan fu costretto a notare che l’età le aveva lasciato addosso il suo marchio, ma la donna aveva ancora un corpo robusto e si portava i suoi due secoli con notevole disinvoltura. Venne a sedersi sullo sgabello del bancone e inarcò un sopracciglio.
— Una cosa devi imparare delle donne quando comincerai a conoscerle, Roan… le parti che si possono esporre fra la gente decorosa sono, ahimé, quelle che invecchiano per prime. La mia faccia era già vecchia cent’anni fa, ma il resto terrà duro per altri cento. — Cominciò a regolare l’apparecchio portatile. — Forse è meglio così, forse no… chi può dirlo? Passami quel misuratore di flusso, per favore.
Dopo un poco il lavoro di lei sulle attrezzature aveva assorbito totalmente l’attenzione di Roan. — Sono certo che non hai bisogno di questi oggetti — borbottò comunque, porgendole un utensile.
— Lo pensi davvero? — chiese lei senza interrompere quel che stava facendo.
VIII
Alle 14,51, Roan arrivò all’edificio che ospitava la J. D. Walsh. Nella sua testa s’intrecciava un garbuglio di avvertimenti, dati tecnici e consigli strategici. Apparve sul transplat del magazzino, non negli uffici, poiché aveva con sé una lunga cassa di legno che piazzò su un carrello. Poi spinse il suo carico nel corridoio che portava all’ala dell’amministrazione.