Non ti distrarre!
— Pensi che questo potrà essere meglio del transplat?
Sì. Digli di sì… anche se potrà contrariarlo, diglielo!
Roan scoprì di non riuscire a parlare. Annuì appena, con un tremito.
— Mmmh! — Il Privato girò intorno all’apparecchio e lo esaminò, anche se non c’era niente da vedere se non pannelli chiusi. — Dimmi — domandò gentilmente, — questa macchina è costruita secondo lo stesso principio del transplat?
La fronte di Roan s’imperlò di sudore. Desiderò poterselo asciugare, ma esibire così una mano guantata sarebbe stato ineducato. Lasciò scendere le goccioline sulla sopracciglia.
— No — sussurrò.
— Mi stai dicendo che questo è un macchinario di nuovo tipo… migliore del transplat! — Il Privato lo scrutò, e vedendolo rigido e immobile abbaiò improvvisamente: — Bugiardo!
Pallido in faccia e con la gola secca Roan dovette fare uno sforzo enorme per sostenere gli occhi fiammeggianti del Privato. — Un transplat non può far questo — disse, accennando al fermacarte.
— Tu stai mentendo! Se ci fosse davvero una macchina come questa tu non sapresti costruirla. Non sapresti neppure progettarla! Dove l’hai avuta?
Digli che l’hai costruita tu… presto!
— L’ho costruita io — ansimò Roan.
Il Privato strinse le palpebre. — Non la capisco — borbottò infine.
Roan non aveva mai visto il vecchio così sconvolto. La sua curiosità ebbe la meglio sulla tensione. — Cos’è che non capisce, Privato?
L’uomo si volse di scatto a fronteggiarlo: — Tu mi stai nascondendo qualcosa. Che cosa?
Ecco la domanda! Avanti, zucchero, ora digli che funziona con la TC.
Roan scosse il capo e si morse le labbra. Il Privato ruggì: — Rifiuti di rispondermi?
Diglielo! Digli della TC. Dillo, maledizione!
Roan si sentiva come spaccato in due. Nella cosa doveva esserci molto più di quel che ne sapeva lui. Cos’era a trattenerlo? Cosa gli stava legando la lingua, facendogli contrarre lo stomaco e bloccandogli la voce in gola?
Fidati di me, Roan. Fidati, soprattutto in questo.
Di colpo cedette, e con voce chioccia disse: — Questo è soltanto un localizzatore. La cosa funziona con l’energia psico-cinetica.
— L’energia cosa? Cosa? — Il Privato si rilassò così all’improvviso che parve boccheggiare.
— Si chiama TC. Telecinesi, un potere della mente.
— Dunque, in realtà non è affatto una macchina.
— Be’… sì, potremmo dire di sì. O almeno, questa è la mia teoria. — E d’un tratto dov’erano la lingua legata, lo stomaco contratto e la gola chiusa? Non c’erano più!
— Tu credi davvero in questa roba psichica?
Roan s’accorse di sorridere. — Funziona.
— Perché la tenevi nascosta?
— Lei avrebbe mai creduto in una cosa simile, Privato?
— Confesso di no.
— Be’, allora… vorrei finirla e collaudarla. Nient’altro.
— E poi che intendi farne?
Dagliela pure. La macchina, Roan… dagliela!
— Ecco, è vostra. Voglio dire, nostra. Della ditta. Che altro?
Dei due rumori che Roan udì, uno era quello di due mani guantate che si sfregavano insieme; l’altro era la risata acida di Nonnina. E non ti domanda neanche dov’era il tuo operatore psichico. Lo hai notato? Non gli passa neppure per la mente.
— Che ne pensi di lavorare con il Reparto Progetti per lo sviluppo della cosa? — domandò il Privato.
Accetta, zucchero, Io non ti lascerò nei pasticci.
— Benissimo — disse Roan.
— Non saprai mai… non puoi sapere cosa significa questo per me — disse il Privato. Per un attimo Roan temette che il vecchio gli desse una pacca su una spalla o facesse un altro gesto impensabile. — Io so riconoscere i miei errori. E pensare che avresti potuto trovarti a fare una brutta fine! Invece eccoti qua, a incrementare gli affari della ditta. Be’, hai dato una meritata lezione al tuo vecchio. Da ora in poi il tuo tempo sarà soltanto tuo. Lavora pure a tutto ciò che ti piace, ragazzo.
— Oh, questo non posso farlo, Privato.
Sì, per Dio! Sì che puoi! Sbottò la voce nel suo orecchio. E già che l’hai messo al tappeto, saltagli addosso: prenditi una casa per te.
Una casa tutta sua! Con una di quelle macchine TC sarebbe potuto andare dappertutto, ogni volta che avesse voluto. Poteva prendere con sé Val… e ritrovare Fiore!
IX
Nonostante la brezzolina notturna faceva caldo. Il villaggio dormiva, e soltanto poche persone sedevano intorno alla grande tavola nella radura. Nel firmamento palpitavano le stelle, e dalla boscaglia provenivano i richiami dei gufi e delle civette.
— Per dirla in parole dure — stava spiegando la vecchia signora con voce tutt’altro che dura, — rovesciare un sistema culturale non è una cosa che tu possa fare in un pomeriggio. Devi prima sapere da dove viene e dove si trova adesso, prima di stabilire dove deve andare. Questo costa un bel po’ di tempo. Poi devi chiarire fino a che punto ha bisogno di cambiare, e se il cambiamento studiato da te è quello giusto. E infine è necessario che tu sia sicuro, e dico sicuro, di non spingerla oltre certi limiti, passati i quali potrebbe cadere in qualcosa di peggiore.
— Ma non per questo avrei torto a darle quella spinta — insistette Roan.
— Benedetto te, no. Non avresti affatto torto.
— Allora dimmi tutto.
— Parte di questo potrebbe ferirti.
— Oh, non ferirlo! — esclamò Fiore, scherzando solo per metà. Nel buio Roan le strinse una mano e sentì, come sempre, l’indescrivibile piacere che gli dava toccare la pelle di lei.
— Dovrò farlo, dolcezza — disse Nonnina. — Anche le vesciche e le ginocchia fanno male quando si comincia ad arare un campo, ma non c’è modo di evitarlo se si vuol vedere il grano crescere. Chi è là? — chiamò.
Dall’oscurità rispose una voce allegra: — Io, Nonnina. Prester.
— Buonasera a tutti — disse Val. I due giovani comparvero nel debole alone della lampada a vento poggiata sul tavolo. La ragazza indossava una tunichetta alla schiava in cui erano impigliati alcuni fili d’erba, e sottobraccio a Prester si muoveva come se i loro corpi fossero una cosa sola. Guardando il suo volto Roan si sentì mozzare il fiato, ma Fiore gli strinse la mano con un sorriso malizioso.
— Sedete, ragazzi, voglio che ascoltiate anche voi. Roan, la faresti una cosa per me? Una cosa difficile.
— Che cosa?
— Prometti di tener chiusa la bocca finché non avrò finito, non importa quel che dico?
— Non mi sembra difficile.
— No, eh? Bene. Fiore, rivelaci con precisione quali sono i tuoi poteri Psi.
Roan chiuse gli occhi e gli parve di rivedere la comparsa di Fiore nel suo cubicolo, i suoi gesti deliziosi quando gli aveva parlato nel cortile, la sua mano che faceva apparire un calice di liquore per lui estraendolo dall’aria. La ragazza disse: — Nessuno che io sappia, Nonnina.
— Cosa? — esplose lui.
Nonnina schioccò le dita. — Hai promesso di tapparti la bocca! — Si volse a Fiore: — E chi ha i maggiori poteri Psi, fra quanti conosci?
— Annie — rispose lei.
— La ragazzina quindicenne di cui ti ho parlato — spiegò Nonnina a Roan. — Quella che fa oscillare un bilanciere a meno di cinque metri. Taci! Lasciami finire!