Saul disse: — Senti, io non suggerivo nessun parallelo. Questa è un’idea tua e di Cal. Mi è solo venuto in mente un altro episodio bizzarro.
Gunnar rise. — Saul non ci ritiene completamente pazzi. Solo psicotici marginali.
Si sentì bussare. Poi la porta si aprì ed entrò Dorotea Luque. Fiutò l’aria e guardò Saul. Assomigliava al fratello, ma in versione più snella, e aveva un bellissimo profilo incaico e capelli neri come l’ossidiana. Era venuta a portare a Franz un pacchetto di libri, arrivato per posta.
— Mi chiedevo se era qui, e poi ho sentito la sua voce — disse. — Ha trovato le cose da scrivere che fanno paura, col suo… come si chiama? — Mimò un binocolo con le mani, accostandosele agli occhi, e poi si guardò intorno senza capire, quando tutti risero.
Mentre Cal le versava un bicchiere di vino, Franz si affrettò a spiegare. Con sua grande sorpresa, la donna prese molto sul serio la figura che lui aveva visto alla finestra.
— È sicuro che non hanno rubato niente? — chiese con ansia. — C’è una ladra al secondo piano, credo.
— Il televisore portatile e il registratore c’erano — la rassicurò Franz. — Sono le prime cose che i ladri portano via.
— E l’osso per il brodo? — intervenne Saul. — L’ha preso Taffy?
— E ha chiuso il finestrino? Ha chiuso a chiave la porta? — insistette Dorotea, mimando l’azione con un’energica torsione del polso. — È chiusa con due giri, adesso?
— Io la chiudo sempre a chiave, e non solamente con lo scatto — le assicurò Franz. — Una volta credevo che solo nei romanzi gialli fosse possibile aprire le serrature con un pezzetto di plastica. Ma poi ho scoperto che potevo aprire la mia con una fotografia. Il finestrino, però, non lo chiudo mai. Preferisco lasciarlo aperto per cambiare aria.
— Deve chiudere sempre il finestrino, quando va fuori — sentenziò Dorotea. — Dovete chiuderlo tutti, capite? Uno molto magro può passare dal finestrino, credetemi. Bene, sono contenta che non le hanno rubato niente. Gracias - aggiunse rivolgendo un cenno a Cal e bevendo il vino.
Cal sorrise e si rivolse a Saul e a Gunnar: — Perché una città moderna non può avere i suoi spettri caratteristici, come una volta li avevano i castelli e i cimiteri e i vecchi palazzi di campagna?
Saul disse: — Una mia paziente, la signora Willis, pensa che i grattacieli le corrano dietro. Di notte si rendono ancora più scheletrici, sostiene lei, e si aggirano furtivamente nelle strade per cercarla.
Intervenne Gunnar: — Una volta ho sentito il lampo fischiare sopra Chicago. C’era un temporale sul Loop, e io ero nel South Side, all’università, vicino a dove è stata costruita la prima pila atomica. C’è stato un lampo all’orizzonte, verso nord; poi, dopo circa sette secondi, non il tuono, ma una sorta di gemito acutissimo. Ho pensato che i binari della sopraelevata fossero entrati in vibrazione a causa di una radiofrequenza del lampo.
Cal chiese, interessata: — Ma, la massa stessa di tutto quell’acciaio non potrebbe…? Franz, parla di quel libro.
Franz ripeté quanto aveva riferito a Cal quella mattina, a proposito della Megalopolisomanzia, e aggiunse qualche nuovo particolare.
Gunnar l’interruppe: — E quell’uomo ha scritto che le città moderne sono le nostre piramidi egizie? È un’idea bellissima. Immagina, quando saremo stati sterminati dall’inquinamento nucleare e chimico, soffocati dalla plastica non biodegradabile, dalle maree rosse di alghe morenti, che sono l’atroce culmine della nostra cultura, una spedizione archeologica arriva con l’astronave da un altro sistema solare e comincia a esplorare la nostra civiltà, come un branco di maledetti egittologi! Userebbero sonde robot per spiare nelle nostre città completamente vuote, che sarebbero troppo radioattive per qualunque essere vivente, morte e pericolose come i nostri mari avvelenati. Cosa penserebbero dei grattacieli del World Trade Center di New York, o dell’Empire State Building? O del Sears Building di Chicago? O magari della Transamerica Pyramid che abbiamo qui a San Francisco? O del centro di assemblaggio dei veicoli spaziali di Cape Canaveral, così grande che ci si può volare dentro con un aereo da turismo? Probabilmente penserebbero che erano stati costruiti per fini religiosi e occulti, come Stonehenge. Non immaginerebbero mai che lì dentro la gente viveva e lavorava. Non c’è dubbio: le nostre città saranno le rovine più strane che siano mai esistite. Franz, il tuo De Castries ha avuto una grande idea: la massa di materiale che c’è nelle città. È pesante, pesante.
Saul intervenne: — La Willis dice che i grattacieli diventano pesantissimi di notte quando… chiedo scusa… quando la violentano.
Dorotea Luque spalancò gli occhi, poi scoppiò in una risatina. — Oh, non si dicono queste cose — lo sgridò allegramente, agitando un dito.
Saul aveva negli occhi un’espressione distante, da poeta folle. Tanto per ribadire la propria osservazione di prima, aggiunse: — Riuscite a immaginare le loro forme, alte, grigie e sottili, che avanzano furtivamente per la strada, mostrando ben eretto, come se fosse il loro fallo di pietra, uno dei loro archi rampanti? — La Luque tornò a ridere. Gunnar le versò ancora del vino, e andò a prendere per sé un’altra bottiglia di birra.
8
Cal disse: — Franz, per tutto il giorno ho pensato, di tanto in tanto, con l’angolino della mia mente che non suonava il concerto brandeburghese, a quel “Rodi 607” che ti ha spinto a trasferirti qui. Era un posto preciso? E se sì, dov’era?
— “Rodi 607”? Cosa significa? — chiese Saul.
Franz raccontò di nuovo la storia del diario in carta di riso, del memorialista dall’inchiostro viola che forse era Clark Ashton Smith, e dei suoi possibili colloqui con De Castries. Poi disse: — Il 607 non può essere un indirizzo, come per esempio il nostro 811 Geary Street. A San Francisco non esiste una strada che si chiami “Rodi”: ho controllato. Quella che ci va più vicino è una Rhode Island Street: ma è nel Potrero, mentre dalle annotazioni del diario è chiaro che quel 607 è qui in centro, a poca distanza da Union Square. E una volta l’autore del diario dice di aver osservato dalla finestra Corona Heights e il Monte Sutro. Naturalmente, a quell’epoca non c’era la torre della TV. E…
— Diavolo, nel 1928 non c’erano neppure il ponte della Baia e il Golden Gate — interruppe Gunnar.
— … e Twin Peaks — continuò Franz. — E poi dice che Thibaut chiamava sempre le cime gemelle di Twin Peaks “i seni di Cleopatra”.
— Chissà se i grattacieli hanno i seni — rifletté Saul. — Devo chiederlo alla signora Willis.
Dorotea sgranò di nuovo gli occhi, si indicò il seno, disse: — Oh, no! — e scoppiò in un’altra risata.
Cal disse: — Forse Rodi è il nome di un palazzo o di un albergo. Per esempio il “Palazzo Rodi”.
— No, a meno che il nome non sia stato cambiato dopo il 1928 — obiettò Franz. — Adesso non c’è niente che si chiami così, a quanto mi risulta. Il nome “Rodi” non dice niente a nessuno di voi?
Non diceva niente.
Gunnar commentò: — Chissà se questo palazzo ha mai avuto un nome, povero vecchio male in arnese.
— Già — fece Cal. — Anche a me piacerebbe saperlo.
Ma Dorotea scosse la testa. — È solo l’811 Geary Street. Forse una volta era un albergo: sapete, con il portiere di notte e le cameriere. Ma non so.
— Associazione Palazzi Anonimi — osservò Saul, senza alzare gli occhi dalla sigaretta drogata che si stava preparando.
— Adesso chiudiamo il finestrino, eh? — disse Dorotea, facendo seguire l’azione alle parole. — Okay fumare le canne, ma non… come si dice?… non bisogna fargli troppa réclame.