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Franz sorrise e chiese a Fernando se aveva voglia di fare una partita a scacchi con lui, più tardi. Il peruviano sorrise amabilmente.

Bela Szlawik, con il viso arrossato per il calore dei fornelli, diede lui stesso il resto, quando andarono a pagare il conto, mentre Rose andava ad aprire la porta.

Quando furono sul marciapiede, Saul guardò Franz e Caclass="underline"  — Cosa ne direste di venire con Gunnar nella mia stanza, prima di giocare a scacchi? Mi piacerebbe raccontarvi quella storia.

Franz annuì. Cal rispose: — Io no. Vado subito a letto. — Saul annuì con aria comprensiva.

Bonita aveva sentito. — Gli vuoi raccontare la storia dell’infermiera invisibile — disse, in tono d’accusa. — Voglio sentirla anch’io.

— No, è ora di andare a dormire — sentenziò la madre, in tono non troppo autoritario. — Vedi che Cal va a letto.

— Non m’importa — ribatté Bonita, strofinandosi contro Saul. — Per favore… per favore… — chiese con insistenza.

Saul l’afferrò all’improvviso, l’abbracciò e le soffiò rumorosamente sul collo. Lei lanciò uno strillo, chiassoso e felice. Franz, quasi automaticamente, guardò Gunnar e lo vide prima rabbrividire e poi dominarsi: ma notò che serrava le labbra. Dorotea sorrideva beata, come se stessero soffiando sul collo a lei. Fernando aggrottò un po’ la fronte, e gonfiò il petto con una dignità quasi militaresca.

Poi, altrettanto in fretta, Saul scostò da sé la ragazzina e le disse, in tono pratico: — Sta’ a sentire, Bonny; quella che voglio raccontare a Franz è un’altra storia, molto noiosa, che può interessare solo agli scrittori. La storia dell’infermiera invisibile non esiste. L’ho inventata per citare un esempio che desse valore alle mie parole.

— Non ti credo — dichiarò Bonita, guardandolo negli occhi.

— Va bene, hai ragione — disse allora lui, lasciandola andare e facendo un passo indietro. — C’era davvero l’infermiera invisibile che terrorizzava il reparto agitati del St Luke, e se non ho voluto raccontarla non è perché è troppo lunga (anzi, è molto corta) ma perché è troppo spaventosa. Però, adesso te la sei voluta, e io la racconterò a te e a questa brava gente. Perciò, radunatevi intorno a me, tutti quanti.

Lì nella strada buia, pensò Franz, con la luce della luna che gli brillava sugli occhi luccicanti, sul volto scavato e sui lunghi capelli scuri, Saul aveva tutta l’aria di uno zingaro.

— Si chiamava Wortly — esordì Saul, abbassando la voce. — Olga Wortly, IP (infermiera professionale). Non è il suo vero nome perché ha finito per occuparsene la polizia, che la sta ancora cercando: ma assomiglia a quello vero. Dunque, Olga Wortly IP faceva il turno del pomeriggio (dalle quattro a mezzanotte) nel reparto agitati del St Luke. E a quell’epoca non c’era terrore. Anzi, quando lo faceva lei, il turno del pomeriggio era il più tranquillo, perché era molto generosa con i sonniferi e così quelli del turno di notte non avevano mai fastidi con dei pazienti che non volessero dormire, e qualche volta il turno di giorno faticava a svegliare qualche paziente per il pranzo, figurarsi poi per colazione.

“La Wortly non si fidava della sua assistente, un’IND (infermiera non diplomata) per distribuire i farmaci. E preferiva i miscugli, non appena riusciva a modificare le prescrizioni dei medici, perché pensava che due medicine dessero maggior sicurezza di una: Librium con Thorazina (andava matta per il Tuinal perché contiene due barbiturici, il Seconal rosso e l’Amytal azzurro), idrato di cloralio con fenobarbiturato, paraldeide con Membutal giallo… Anzi, si capiva sempre quando stava arrivando, la nostra fatina dei sogni, la nostra severa dea del sonno, perché la precedeva sempre l’odore paralizzante della paraldeide: ogni volta riusciva a somministrare la paraldeide almeno a un paziente. È un superalcool superaromatico, dovete sapere, che vi fa il solletico alla radice del naso e ha un odore che Dio solo sa (superolio di banana, forse; certe infermiere la chiamano ‘la benzina’) e va somministrata con un succo di frutta per coprirne il sapore, e in un bicchiere di vetro perché scioglie la plastica, e le sue molecole si diffondono nell’aria più veloci della luce!”

Saul aveva ormai in pugno i suoi ascoltatori, notò Franz. Dorotea sembrava estasiata non meno di Bonita; Cal e Gunnar sorridevano indulgenti; perfino Fernando era entrato nello spirito della situazione e sogghignava per i lunghi nomi delle medicine. In quel momento, il marciapiede davanti al ristorante tedesco era un accampamento di zingari illuminato dalla luna. Mancavano solo le fiamme danzanti di un grosso falò.

— Ogni sera, due ore dopo la cena, Olga faceva il giro per distribuire i sonniferi. Qualche volta si faceva accompagnare dall’IND o da un OS (operatore sanitario, ovvero portantino) che le reggevano il vassoio, qualche volta lo teneva lei.

“Diceva: ‘È ora di dormire, signora Binks. Ecco il suo passaporto per il mondo dei sogni. Su, da brava. E adesso questa bella pillola gialla. Buonasera, signorina Cheeseley, ho qui il suo viaggio alle Hawaii: una pillola azzurra per l’oceano, una rossa per il tramonto. E adesso un sorso di quella roba un po’ più amara per mandare giù tutto: pensi alle onde del mare, al loro sapore. Tiri fuori la lingua, signor Finelli, ho qualcosa che le farà bene. Chi l’avrebbe mai pensato, signor Wong, che ci sono nove o magari dieci ore di buio meraviglioso in questa piccola capsula temporale, in quest’astronave di gelatina che parte per le stelle? Eh, l’ha capito dall’odore, vero, che stavo arrivando, signor Auerbach? Questa sera, succo d’ananasso, per togliere il sapore della sua medicina!’ E via di questo passo.

“E così Olga Wortly, infermiera professionale, la nostra dama dell’oblìo, la nostra regina dei sogni, teneva tranquillo il reparto agitati — continuò Saul. — E otteneva anche grandi elogi, perché a tutti piace avere un reparto tranquillo. Finché, una sera, ha esagerato un tantino, e la mattina successiva tutti i pazienti erano OD (overdose) di sonniferi e MAR (morti al ricovero in ospedale, Bonny), ma con un sorriso beato sul volto. E Olga Wortly era sparita, e nessuno l’ha mai più rivista da quel giorno.

“In un modo o nell’altro, sono riusciti a insabbiare la cosa. Mi sembra che abbiano attribuito la causa dei decessi a un’epidemia di epatite galoppante o di eczema pernicioso. E adesso stanno ancora cercando Olga Wortly.

“Più o meno è tutto qui — terminò, con un’alzata di spalle e un sorriso. — Però… — Sollevò l’indice, teatralmente e parlò con un tono di voce basso e misterioso: — Però… dicono che di notte, quando la luna è quasi piena, proprio come adesso, ed è ora di dormire, e l’infermiera sta per passare col vassoio dei sonniferi nei loro bei bicchierini di carta, si leva una zaffata di paraldeide nella stanza delle infermiere (anche se adesso non la usano più), e l’odore va di stanza in stanza, di letto in letto, senza saltarne nemmeno uno, quell’odore inconfondibile: è l’infermiera invisibile che fa il suo giro nelle corsie!”

E tra gli “Ooh!” e gli “Ah!” e le risatine, si avviarono in gruppo verso casa. Bonita sembrava soddisfatta. Dorotea disse, con esagerazione: — Oh, che paura! Se mi sveglio, stanotte, avrò paura che arrivi l’infermiera invisibile a farmi bere quella paraldente.

— Pa-ral-de-i-de — sillabò Fernando, lentamente, ma con straordinaria precisione.

9

Nella stanza di Saul c’era un tale assortimento di cianfrusaglie senza capo né coda (dal punto di vista dell’ordine, era l’antitesi della stanza di Gunnar) che veniva da domandarsi se le avesse abbandonate dove erano finite per caso, ma poi ci si accorgeva che non c’era niente di buttato da parte, o dimenticato; si vedeva che ognuno di quegli oggetti aveva un valore affettivo per il suo proprietario: le foto tristi e scattate senza alcuna arte, quasi tutte di persone anziane (erano pazienti dell’ospedale, e Saul indicò loro il signor Edwards e la signora Willis); i libri, che andavano dal Manuale di Merck a Colette, da La famiglia dell’uomo a Henry Miller, da Edgar Rice a William S. Burroughs e a George Borrow (La Bibbia in Spagna, Galles selvaggio e Zincali); una copia dell’Occulto subliminale di Nostig (che con la sua presenza sorprese Franz); una quantità di lavori in perline colorate, hippy, indiani e amerindi; pipette per fumare hashish; un boccale da birra pieno di fiori freschi; un poster per la misura della vista; una carta geografica dell’Asia, e un gran numero di quadretti e di disegni, geometrici o surrealistici compreso un sorprendente quadro astratto in acrilico su cartone nero che brulicava di forme frementi, colorate come gemme o come insetti, e che sembrava riprodurre in miniatura l’amata confusione di quella stanza.