Saul l’indicò, dicendo: — L’ho fatto io, l’unica volta che ho fiutato la cocaina. Se esiste una droga capace di dare qualcosa alla mente anziché sottrarglielo (e ne dubito), è la cocaina. Se mai ritornassi sulla strada della droga, sceglierei quella.
— “Ritornassi”? — chiese ironicamente Gunnar, indicandogli le pipe da hashish.
— La canapa indiana è un gioco — dichiarò Saul. — Una frivolezza, un ammorbidente sociale da classificare col tabacco, il caffè e il tè. Quando Anslinger ha convinto il Congresso a classificarlo, a tutti i fini pratici, come droga pesante, ha davvero rovinato l’evoluzione del popolo americano e la sua mobilità sociale.
— Davvero? — cominciò Gunnar in tono scettico.
Ma Franz intervenne: — Certo non viene visto come l’alcool, che in genere ha la benedizione della comunità, o almeno quella delle agenzie pubblicitarie: “Bevete liquori e sarete sexy, sani e ricchi” ci promette la pubblicità, soprattutto quella della Velluto Black Velvet. A proposito, Saul, è strano che tu abbia parlato della paraldeide nella tua storia. L’ultima volta che sono stato “separato” dall’alcool, per usare l’espressione medica, tanto delicata, mi hanno dato un po’ di paraldeide per tre notti di fila. Era davvero deliziosa, dava lo stesso effetto che mi aveva dato l’alcool quando l’avevo bevuto per la prima volta: una sensazione che credevo di non provare mai più, un calore rosa, brillante, dentro di te.
Saul annuì. — Fa lo stesso effetto dell’alcool, senza causare gli stessi guasti immediati nel sistema nervoso. Quindi l’individuo distrutto dall’abuso del normale liquore reagisce in modo splendido. Ma naturalmente anche quella può dare assuefazione: sono sicuro che lo sai. Ehi, chi vuole un po’ di caffè? Ho solo quello in polvere, però.
Mise subito l’acqua a bollire e versò alcuni cucchiaini di polvere bruna nelle tazze colorate, mentre Gunnar chiedeva: — Non pensi che l’alcool sia la droga naturale dell’umanità? Ormai, millenni di uso e di esperienza ci hanno pennesso di conoscerne gli effetti e di abituarci a essi.
— Il tempo c’è stato effettivamente — commentò Saul. — Almeno quello necessario per eliminare tutti quegli italiani, greci, ebrei e altri appartenenti a popoli mediterranei che avevano nei suoi confronti una forte debolezza genetica. Gli indiani d’America e gli eschimesi non hanno avuto la stessa fortuna. Ci sono ancora dentro. Ma anche la canapa indiana e il peyote e il papavero e il fungo sacro, l’amanita muscaria, hanno una storia molto lunga.
— Sì, ma quelli hanno effetti psichedelici, distorcono la coscienza direi, anziché ampliarne la sfera — protestò Gunnar. — Mentre l’alcool ha un effetto più semplice.
— Io ho avuto anche delle allucinazioni causate dall’alcool — intervenne Franz, in parziale contraddizione con le parole dell’amico — benché non così forti come quelle provocate dall’acido lisergico, a quanto ho sentito dire. Ma solo durante l’astinenza, per i primi tre giorni. Negli armadi e negli angoli bui, e sotto i tavoli, mai alla luce viva, vedevo fili neri, o qualche volta rossi, grossi come i cavi del telefono, che vibravano e si agitavano. Mi ricordavano le zampe di ragni giganti e così via. Sapevo che erano allucinazioni: potevo resistere, grazie al Cielo. La luce viva le spazzava via sempre.
— L’astinenza è una cosa strana, e a rischio — osservò Saul mentre versava nelle tazze l’acqua bollente. — È allora che gli alcolizzati hanno il delirium tremens, non quando bevono: sono sicuro che sai anche questo. Ma i pericoli e le sofferenze causati dell’astinenza dalle droghe pesanti sono stati alquanto esagerati: fanno parte del mito. L’ho scoperto quand’ero studente, ai tempi d’oro dell’Haight-Ashbury, prima di diventare interno, e correvo di qua e di là a somministrare Thorazina agli hippy scoppiati che erano in overdose o che erano convinti di esserlo.
— È vero? — chiese Franz, prendendo il suo caffè. — Ho sempre sentito dire che non c’è niente di peggio che smettere di punto in bianco con l’eroina.
— Fa parte del mito — assicurò Saul, scuotendo i lunghi capelli mentre porgeva a Gunnar il caffè e incominciava a bere il suo. — Il mito che Anslinger ha fatto di tutto per creare negli anni Trenta, quando tutti coloro che avevano occupato posti elevati nei dipartimenti di polizia per la lotta contro il contrabbando di liquori cercavano di assicurarsi posti altrettanto elevati nelle squadre Narcotici. È andato a Washington con un paio di veterinari che s’intendevano del doping dei cavalli da corsa e con la borsa piena di sensazionali ritagli di giornali messicani e centro-americani che parlavano di omicidi e di stupri commessi da peones che erano presumibilmente impazziti per l’effetto della marijuana.
— E molti scrittori si sono precipitati ad accogliere il suo suggerìmento — intervenne Franz. — Nei romanzi, il protagonista tirava una boccata da una strana sigaretta e cominciava ad avere bizzarre allucinazioni, che di solito riguardavano il sesso e il desiderio di uccidere. Ehi, forse potrei proporre un episodio per I segreti del sovrannaturale con la squadra Narcotici — aggiunse pensieroso, parlando tra sé e sé. — È un’idea.
— E le sofferenze causate da un’improvvisa astinenza rientravano nel mito dei narcotici — riprese Saul. — Così, quando i beatnik e gli hippy e tutti gli altri hanno cominciato a prendere le droghe come atto di ribellione contro l’Establishment e la generazione precedente, hanno avuto tutte le spaventose allucinazioni e le crisi di astinenza previste dal mito che i poliziotti si erano inventati. — Fece un sorriso torto. — Sapete, qualche volta ho pensato che è una situazione simile agli effetti a lunga scadenza della propaganda bellica sui tedeschi. Durante la seconda guerra mondiale hanno commesso tutte le atrocità (e anche di più) che erano stati accusati, spesso falsamente, di avere commesso durante la prima guerra. Mi dispiace dirlo, ma la gente cerca sempre di dimostrarsi all’altezza delle peggiori aspettative altrui.
Gunnar commentò: — E, nell’epoca hippy, l’equivalente delle SS naziste è la “famiglia” Manson.
— Comunque — proseguì Saul — è quello che ho imparato quando correvo per l’Haight-Ashbury nel cuore della notte, a somministrare per via rettale la Thorazina ai “figli dei fiori” in overdose. Non potevo usare una siringa perché allora non ero un vero infermiere.
Gunnar intervenne, pensieroso: — È stato così che ho conosciuto Saul.
— Ma non è stato Gunnar a ricevere la Thorazina per via anale — rettificò Saul. — Sarebbe stato troppo romantico. Si trattava di un suo amico in overdose, che l’aveva chiamato, e così lui aveva chiamato noi. Ci siamo conosciuti così.
— Il mio amico si è poi ripreso benissimo — osservò Gunnar.
— E voi due, come avete conosciuto Cal? — chiese Franz.