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— L’abbiamo conosciuta quando è venuta ad abitare qui — rispose Gunnar.

— All’inizio abbiamo solamente pensato che su di noi fosse sceso all’improvviso il silenzio — rifletté Saul. — Il precedente inquilino della sua stanza era straordinariamente rumoroso, perfino per questo palazzo.

Gunnar aggiunse: — E poi è stato come se un topolino molto tranquillo e dall’orecchio molto musicale si fosse unito a noi: ci pareva di sentire musica per flauto, ma così piano che pensavamo di immaginarcela.

— Nello stesso tempo — disse Saul — abbiamo incominciato a notare una giovane donna, attraente, riservata e gentile, che entrava o usciva al quarto piano, sempre sola, e che apriva o chiudeva la porta dell’ascensore con molta delicatezza.

E Gunnar: — Poi una sera siamo andati a un concerto di quartetti di Beethoven al Veterans’ Building e lei era tra il pubblico, e così ci siamo presentati.

— Abbiamo preso l’iniziativa tutti e tre — aggiunse Saul. — Alla fine del concerto eravamo grandi amici.

— E il successivo weekend l’abbiamo aiutata a decorare l’alloggio — concluse Gunnar. — Ci pareva di conoscerci da anni.

— O almeno era come se lei ci conoscesse da anni — precisò Saul. — Noi abbiamo impiegato più tempo per imparare a conoscerla: la sua vita incredibilmente ultra-protetta, le sue difficoltà con la madre…

— Il trauma della morte del padre… — aggiunse Gunnar.

— E la sua decisione di arrangiarsi da sola e… — Saul scrollò le spalle — … e di scoprire la vita. — Guardò Franz. — E ci è occorso un tempo ancor più lungo per scoprire quanto fosse sensibile, sotto la sua apparenza distaccata ed efficiente, e le altre sue doti oltre a quelle musicali.

Franz annuì, poi chiese a Sauclass="underline"  — E adesso mi racconterai la storia che la riguarda? Quella che avevi promesso di tenere in serbo per più tardi?

— Come fai a sapere che riguarda Cal? — domandò Saul.

— Perché al ristorante le hai lanciato un’occhiata, prima di decidere di non raccontarla — rispose Franz. — E perché non mi hai invitato a venire da te finché non sei stato sicuro che lei andava a dormire.

— Voi scrittori siete molto acuti — osservò Saul. — Be’, in un certo senso questa è una storia che può ispirare uno scrittore. Uno scrittore del tuo genere: orrore soprannaturale. Quel che t’è successo sul Corona Heights mi ha fatto venire voglia di raccontarla. Lo stesso mondo dell’ignoto, ma una regione diversa.

Franz avrebbe voluto dire: “Mi aspettavo anche questo”, ma si trattenne.

10

Saul accese una sigaretta e si appoggiò contro lo schienale. Gunnar si era accomodato all’altra estremità del divano. Franz era sulla poltrona di fronte a loro.

— Fin dall’inizio — spiegò Saul — mi sono accorto che a Cal interessavano moltissimo i miei pazienti dell’ospedale. Non mi faceva domande, ma lo capivo perché stava zitta e attenta ogni volta che ne parlavo. Nel pericoloso mondo esterno che lei cominciava a esplorare, costituivano una delle tante cose che sentiva di dover conoscere per poi schierarsi a favore o contro di esse… o, come fa sempre lei, trovare una via di mezzo.

“Be’, all’epoca anch’io m’interessavo moltissimo dei miei pazienti. Avevo fatto per un anno il turno di sera e da un paio di mesi ne ero il responsabile, così avevo tante idee sui cambiamenti che volevo apportare e che stavo già apportando. Tra parentesi, la persona che dirigeva il reparto prima di me tendeva a esagerare con i sedativi, secondo me. — Saul sorrise. — Vedi, la storia che ho raccontato a Bonny e a Dora, stasera, non era del tutto inventata. Comunque, avevo ridotto a quasi tutti i malati le dosi dei sedativi, per poter comunicare con loro e lavorare sul loro caso, e non erano più in stato comatoso all’ora di colazione. Naturalmente, il reparto era più animato e talvolta anche più turbolento di prima, ma a quell’epoca ero un novellino pieno d’entusiasmo.”

Ridacchiò. — Immagino che ogni nuovo responsabile, quando inizia, faccia la stessa cosa: riduce i barbiturici… finché non si stanca e non decide che la tranquillità val bene qualche sedativo in più.

“Ma imparavo a conoscere bene i miei pazienti, o almeno così credevo; sapevo in quale fase del ciclo era ciascuno di loro, potevo prevedere le crisi e tenere in pugno il reparto. Per esempio, c’era il giovane signor Sloan che soffriva d’epilessia… del tipo petit mal… oltre che di un’estrema depressione. Era istruito, aveva mostrato doti artistiche. E quando si avvicinava al culmine del ciclo, cominciava ad avere i suoi attacchi del petit mal. Sai, brevi perdite di conoscenza, per qualche secondo rimaneva con le mente vuota, barcollava un po’; poi le crisi diventavano sempre più frequenti, ne aveva una ogni venti minuti, anche meno. Vedi, ho pensato parecchie volte che nelle crisi epilettiche sia il cervello a cercare di farsi l’elettroshock. Comunque, il mio giovane signor Sloan arrivava a una crisi molto simile a un attacco del grand mal, e allora cadeva a terra, si contorceva, faceva un gran baccano, compiva atti automatici e perdeva il controllo delle funzioni corporee: epilessia psichica, la chiamano. A questo punto ritornavano gli attacchi del petit mal, che si distanziavano via via, e per circa una settimana lui stava meglio. Sembrava che calcolasse i tempi in modo molto preciso, e che vi impegnasse uno sforzo creativo… come ti ho detto, aveva doti artistiche. Vedi, spesso penso che ogni malattia mentale sia una forma di espressione artistica. L’individuo, però, ha soltanto se stesso con cui lavorare: non ha materiali esterni da manipolare; perciò concentra tutta la sua arte nel proprio modo di comportarsi.

“Be’, come ho detto, sapevo che a Cal interessavano molto i miei pazienti: aveva perfino detto che le sarebbe piaciuto vederli. E così, una sera che tutto procedeva liscio e tutti i miei pazienti erano in una fase tranquilla dei loro cicli, l’ho invitata a venire. Certo, come puoi immaginare, mi ero preso qualche piccola libertà con il regolamento dell’ospedale. Quella sera non c’era la luna. Era il novilunio o uno dei giorni vicino a questo; il chiaro di luna eccita davvero la gente, sai? Soprattutto i pazzi. Non so perché, ma è così.”

— Questo non me l’avevi mai detto — l’interruppe Gunnar. — Voglio dire, che hai invitato Cal all’ospedale.

— E allora? — fece Saul, scrollando le spalle. — Bene, lei è arrivata circa un’ora dopo la fine del turno di giorno. Era piuttosto pallida, apprensiva ed emozionata… e subito tutto quanto, nel reparto, ha cominciato ad andare storto. La signora Willis si è messa a piangere e a lamentarsi delle sue terribili disgrazie (a quanto avevo calcolato, non avrebbe dovuto farlo almeno per una settimana, ed era veramente uno strazio), e poi ha cominciato la signorina Craig, che è una grande urlatrice. Il signor Schmidt, che si era comportato bene per più di un mese, si è calato i calzoni e ha mollato una montagnola di merda, prima che potessimo fermarlo, davanti alla porta del signor Bugatti, che di tanto in tanto è il suo “nemico”; una cosa simile non era più capitata, nel reparto, dall’anno precedente. Intanto la signora Gutmayer aveva rovesciato il vassoio della cena e vomitava, e il signor Stowacki era riuscito, chissà come, a rompere un piatto e si era tagliato… e la signora Harper gridava alla vista del sangue (che non era poi molto) e così gli urlatori erano in due: non della classe di Fay Wray in mano a King Kong, ma due buone ugole.

“Be’, naturalmente ho dovuto lasciare Cal da sola, mentre cercavamo di rimediare, e mi chiedevo cosa pensasse di noi e mi rimproveravo per averla invitata e per essere stato tanto megalomane nel vantarmi della mia capacità di prevedere e prevenire i disastri.

“Quando potei tornare da lei, Cal era andata in sala ricreazione con il giovane signor Sloan e un paio d’altri, e aveva scoperto il nostro pianoforte e lo stava provando: era spaventosamente stonato, beninteso, o almeno doveva esserlo per il suo orecchio esperto.