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“Cal ascoltò il mio breve resoconto. Erano soprattutto scuse, le mie: ‘Di solito non abbiamo la cacca nei corridoi’, eccetera. E di tanto in tanto annuiva, ma continuava a provare il piano come se stesse cercando i tasti meno stonati (e in seguito mi ha confermato che era proprio quel che faceva). Mi ascoltava, certo, ma intanto provava il piano.

“Allora cominciai ad accorgermi che l’agitazione ricominciava a crescere nel reparto, e che gli attacchi di petit mal di Harry, il giovane signor Sloan, diventavano molto più frequenti del solito, mentre camminava in cerchio, irrequieto, in sala ricreazione. Secondo i miei calcoli, la sua crisi doveva venire solo la notte successiva, ma lui aveva inspiegabilmente accelerato il ciclo, e non c’era dubbio che avrebbe avuto l’attacco di grand mal quella notte stessa: da lì a pochissimo, anzi.

“Cominciai ad avvertire Cal di quello che probabilmente sarebbe accaduto, ma in quel momento lei si sedette meglio, si concentrò come fa quando sta per iniziare un concerto, e poi ha cominciato a suonare un pezzo di Mozart (l’aria di Cherubino dalle Nozze di Figaro, mi accorsi presto) ma in quella che sembrava la chiave più stonata di tutte, in quel vecchio e scassatissimo piano verticale (e, in seguito, Cal mi ha confermato anche questo).

“Poi ha suonato il pezzo in un’altra chiave, poco meno stonata della prima, e via così. Credilo o no, aveva trovato una successione di chiavi, dalla più stonata alla meno stonata, su quel vecchio piano, e stava suonando quell’aria di Mozart in tutte le chiavi, dalla meno armoniosa alla più armoniosa: l’aria di Cherubino del secondo atto, quella che dice: ‘Voi che sapete, che cosa è l’amor, Donne vedete, s’io l’ho nel cuor’. E poi c’è anche un verso che dice: ‘Non trovo pace, notte né dì, Ma pur mi piace, languir così’.

“Intanto sentivo le tensioni crescere intorno a me, e potevo vedere che gli attacchi di petit mal del giovane Harry diventavano sempre più frequenti, mentre lui girava sempre più in fretta attorno al piano, e sapevo che gli sarebbe venuto l’attacco di grand mal da un momento all’altro, così mi chiesi se non mi convenisse fermare Cal afferrandola per i polsi, come se fosse stata una strega che compiva una magia nera con la musica… Tutto il reparto si era scatenato al suo arrivo, e adesso lei aggravava le cose con Mozart, suonando sempre più forte quell’aria.

“Ma proprio in quel momento lei passò trionfalmente alla chiave meno stonata, e per contrasto ogni cosa sembrò perfetta; e in quell’istante il giovane Harry, invece di avere l’attacco di grand mal che mi aspettavo, ha iniziato una danza strana, elegante, a piccoli salti, tenendo perfettamente il tempo con l’aria di Cherubino. E quasi senza rendermene conto ho afferrato la signorina Craig, che aveva la bocca aperta per urlare ma non stava urlando, e ho cominciato a ballare con lei intorno al giovane Harry… e ho sentito la tensione nell’intero reparto svanire come fumo. Chissà come, Cal aveva sciolto quella tensione, l’aveva allentata come aveva fatto con la depressione del giovane Harry, facendogli superare il culmine della crisi e portandolo in un terreno sicuro senza che lui avesse un attacco epilettico. Sul momento, mi è sembrata la cosa più vicina alla stregoneria che avessi mai visto in tutta la mia vita: magìa, d’accordo, però magìa bianca.”

Alle parole “sciolto” e “scatenata”, Franz ricordò le parole di Cal, che, quella mattina, gli aveva detto che la musica aveva il potere di liberare le cose e di farle volare e danzare.

Gunnar chiese: — E poi cos’è successo?

— Non molto, in verità — disse Saul. — Cal ha continuato a suonare la stessa aria, nella stessa chiave trionfante, e noi abbiamo continuato a ballare, e mi pare che anche altri due si siano uniti a noi, ma ogni volta lei suonava un po’ più in sordina, fino a quando è diventata come una musica per topolini. Poi ha smesso, ha chiuso adagio il piano, e noi ci siamo fermati, scambiandoci sorrisi, e la cosa è finita lì: solo che l’atmosfera era molto diversa da quella che c’era all’inizio. E poco dopo lei è tornata a casa senza aspettare la fine del turno, come se fosse convinta che quel aveva fatto non si poteva ripetere. In seguito non ne abbiamo parlato molto, lei e io. Ricordo che ho pensato: “La magìa è una cosa che vale per una volta sola”.

— Ehi, mi piace — disse Gunnar. — Intendo, l’idea che la magìa… e anche i miracoli, come quelli di Gesù, per esempio… e anche i capolavori dell’arte… e la storia, naturalmente… siano fenomeni che non possono ripetersi. Diversamente dalla scienza, che si occupa di fenomeni che si possono ripetere.

Franz sorrise. — La tensione si è sciolta… la depressione si è allentata e scatenata… le note volano verso l’alto, come scintille… Sai, Gunnar, mi fa venire in mente quello che fa lo Stracciafogli che mi hai mostrato questa mattina.

— Lo “Stracciafogli”? — chiese Saul. Franz spiegò, brevemente.

Saul disse a Gunnar: — A me non ne hai parlato.

— E allora? — Gunnar sorrise e alzò le spalle.

— Certo — osservò Franz, quasi in tono di rammarico — l’idea che la musica faccia bene ai pazzi e plachi le anime turbate risale a tempi molto antichi.

— Almeno a Pitagora — intervenne Gunnar. — Duemilacinquecento anni fa.

Saul scosse la testa, deciso. — Quello che ha fatto Cal andava ben oltre.

Bussarono due colpi secchi alla porta. Gunnar l’aprì.

Fernando si guardò intorno, inchinandosi educatamente, poi si rivolse tutto raggiante a Franz e chiese: — Scacchi?

11

Fernando era un buon giocatore: a Lima era qualificato come esperto. Nella stanza di Franz fecero due partite lunghe e impegnative, che erano l’ideale per tenere occupata la mente di Franz, offuscata come ogni sera, e mentre giocava, Franz si accorse che la scalata l’aveva sfinito fisicamente.

Di tanto pensava fugacemente alla “magìa bianca” di Cal (ammesso che potesse chiamarla così) e a quella nera (ancor meno verosimile) in cui si era imbattuto su Corona Heights. Rimpiangeva di non avere analizzato più a lungo con Saul e Gunnar i due episodi, ma temeva che non potessero dirgli molto di più. Oh, be’, li avrebbe rivisti al concerto, l’indomani sera: ne avevano parlato nel congedarsi, ed entrambi l’avevano pregato di tenere loro il posto se fosse arrivato per primo.

Mentre stava per andarsene, Fernando indicò la scacchiera e chiese: — Mañana por la noche?

Franz era in grado di capire quel tanto di spagnolo. Sorrise e annuì. Se non avesse potuto giocare a scacchi, l’indomani sera, avrebbe avvertito Dorotea.

Dormì come un sasso, e senza ricordare alcun sogno.

Si svegliò completamente riposato, con la mente limpida e serena, i pensieri misurati e sicuri. Il beneficio di un buon sonno. I presentimenti e l’incertezza della sera precedente erano spariti. Ricordava ogni evento del giorno prima esattamente com’era accaduto, ma senza le sfumature emotive dell’eccitazione e della paura.

Dalla finestra si scorgeva la costellazione di Orione, e questo gli diceva che l’alba era vicina. Le nove stelle più luminose formavano una sorta di clessidra spigolosa e inclinata, che rivaleggiava con quella più piccola e sottile creata dalle diciannove intermittenti luci rosse della torre della TV.

Si preparò in fretta una tazza di caffè con l’acqua calda del rubinetto, poi infilò le pantofole e la vestaglia, prese il binocolo, e salì sul tetto senza far rumore. Tutti i suoi sensi era vigili. Le nere finestre dei pozzi di ventilazione e le nere porte senza maniglia dei ripostigli in disuso spiccavano nitide quanto le porte delle stanze occupate e le vecchie ringhiere, tante volte ridipinte, che lui sfiorava nel salire.