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Anch’io dovrei tirarmene fuori: ho tutto quello che mi serve, e ci sono molte storie che gridano a piena voce di venire scritte. Ma posso rinunciare all’estasi suprema di udire ogni giorno dalle labbra del Pitagora Nero qualche nuova verità paranaturale? È come una droga indispensabile. Chi può rinunciare a una simile immaginazione? Soprattutto quando l’immaginazione è la verità.

“Paranaturale” è soltanto una parola: ma quanto significa! Il sovrannaturale è solo un sogno di vecchie donnicciole, di preti e di scrittori dell’orrore. Ma il paranaturale! E fino a che punto potrò resistere? Potrei reggere al pieno contatto con un’entità paramentale senza impazzire?

Oggi, mentre tornavo indietro, mi sono accorto che i miei sensi subivano una metamorfosi. San Francisco era una meganecropoli vibrante di paramentali ai confini della visibilità e dell’udibilità, e ogni isolato era un cenotafio surreale in cui si potrebbe seppellire un Dalì, e io ero uno dei morti viventi, consapevole di tutto con fredda gioia. Ma adesso ho paura perfino delle pareti di questa stanza!

Franz guardò, con una risata, la parete scialba accanto al letto, sotto l’esile disegno della torre della TV sullo sfondo rosso fluorescente, e commentò, rivolgendosi alla sua Amante dello Studioso: — Certo che era parecchio agitato, non credi, cara?

Poi tornò a riflettere. L’“Howard” nominato nel diario doveva essere Howard Phillips Lovecraft, col suo riprovevole ma innegabile odio per lo sciame degli immigrati che, secondo lui, minacciavano le tradizioni e i monumenti del suo amatissimo New England e dell’intera costa orientale. (E Lovecraft non ha revisionato i racconti di un tale che si chiamava Castries? Caster? Carswell?) Lui e Smith erano legati da un’amicizia epistolare. E l’allusione al Pitagora Nero bastava da sola a dimostrare che l’autore del diario aveva letto il libro di De Castries. E quei riferimenti a un Ordine Ermetico e a un Grande Cifrario (o “Libro cinquanta”) stuzzicavano l’immaginazione. Ma Smith (e chi poteva essere, se non lui?) era evidentemente terrorizzato, non meno che affascinato, dai deliri del suo eccentrico mentore. Lo si capiva ancor più chiaramente dall’annotazione successiva.

Mi hanno inorridito le parole con cui oggi Tiberius ha accennato trionfalmente alla scomparsa di Bierce e alla morte di Sterling e di Jack London. Non solo ha detto che si è trattato di suicidi (e io lo smentisco categoricamente, soprattutto nel caso di Sterling), ma che nelle loro morti c’erano altri elementi… elementi di cui quel vecchio diavolo sembra vantarsi!

Ridendo, ha detto: “Puoi stare sicuro di una cosa, ragazzo mio: tutti se la sono vista molto brutta, paramentalmente, prima di venire spenti o spinti nei loro grigi inferni paramentali. È molto doloroso, ma è la sorte comune dei Giuda… e dei piccoli ficcanaso”, ha aggiunto, guardandomi con minaccia da sotto le sopracciglia, bianche e cespugliose.

Che mi abbia ipnotizzato?

Perché continuo a recarmi da lui, ora che le minacce sono più numerose delle rivelazioni? Quel vago riferimento alle tecniche per fornire una traccia, un odore alle entità paranormali… è chiaramente una minaccia.

Franz aggrottò la fronte. Conosceva abbastanza bene il brillante circolo letterario che si riuniva a San Francisco all’inizio del secolo e sapeva che un numero stranamente elevato dei suoi membri aveva fatto una fine tragica: tra gli altri, lo scrittore di storie macabre Ambrose Bierce, sparito nel 1913 nel Messico dilaniato dalla rivoluzione; London, morto d’uremia e di avvelenamento da morfina poco tempo dopo; e il poeta fantastico Sterling, morto avvelenato negli anni Venti. Si ripromise di chiedere altre informazioni su quel cenacolo letterario a Jaime Donaldus Byers, alla prima occasione.

L’ultima annotazione del diario, che s’interrompeva a metà di una frase, era sullo stesso tono:

Oggi ho sorpreso Tiberio mentre faceva annotazioni con l’inchiostro nero su un registro del tipo usato per la contabilità. Il suo “Libro cinquanta”? Il Grande Cifrario? Ho intravisto una pagina, interamente piena di simboli astronomici e astrologici (è possibile che ce ne siano cinquanta?) prima che lui lo chiudesse di scatto e mi accusasse di spiarlo. Ho cercato di fargli cambiare argomento, ma lui non ha voluto parlare d’altro.

Perché torno da lui? Quell’uomo è un genio… anzi, un paragenio… ma è anche un paranoico!

Ha agitato minacciosamente il registro verso di me, e ha ridacchiato: “Forse vorresti entrare qui di nascosto, su quei piedini silenziosi, e rubarmelo! Sì, perché non lo fai? Significherebbe soltanto la tua fine, paramentalmente parlando! Non sentiresti alcun male. Oppure lo sentiresti?”

Sì, mio Dio, è ora che me

Lì il diario si interrompeva bruscamente.

Franz sfogliò le ultime pagine, tutte vuote, e poi sollevò lo sguardo in direzione della finestra, anche se dal letto si vedevano soltanto i muri, entrambi privi di qualsiasi segno particolare, dei due grattacieli. Gli venne in mente come tutto quel che incontrava fossero bizzarre fantasie sugli edifici: le inquietanti teorie di De Castries, Smith che vedeva San Francisco come una “mega-necropoli”, l’orrore di Lovecraft per i grattacieli di New York, i grattacieli del centro che Franz stesso aveva visto dal terrazzo di casa sua, il mare di tetti che aveva scrutato da Corona Heights, e lo stesso palazzo in cui abitava: quel vecchio edificio malconcio, con i corridoi bui e l’androne cavernoso, gli strani condotti d’aerazione e gli sgabuzzini, le finestre nere e i nascondigli.

12

Franz si preparò un altro caffè (ormai era giorno fatto) e tornò a letto, con alcuni libri presi dagli scaffali accanto alla scrivania. Per far loro posto, dovette buttare sul pavimento altri colorati fascicoli ricreativi. Scherzò con la sua Amante dello Studioso: — Diventi più tenebrosa e intellettuale, mia cara, ma non invecchi di un giorno e resti sempre sottile come quando eri ragazza. Come fai?

I nuovi libri erano una buona rappresentativa di quella che lui chiamava la sua biblioteca di consultazione del sovrannaturale. In maggioranza non erano i testi sull’occulto usciti negli anni più recenti, che nella stragrande maggioranza erano opera di ciarlatani e di impostori a caccia di quattrini, o di ingenui illusi che non conoscevano neppure la frangia erudita e accademica della crescente marea della stregoneria (e Franz era molto scettico anche nei confronti di quest’ultima), bensì libri che abbordavano il sovrannaturale in modo indiretto, ma su basi assai più solide. Li sfogliò rapidamente, con attenzione e con divertimento, mentre sorseggiava il caffè fumante. C’erano L’occulto subliminale del professor D.M. Nostig, libro curioso e intensamente scettico che demoliva rigorosamente tutte le affermazioni dei parapsicologi universitari e tuttavia trovava ancora un residuo inesplicabile; la spiritosa e profonda monografia di Montague, La burocrazia bianca, con la tesi che la civiltà era asfissiata e mummificata dalla burocrazia e dai documenti, burocratici e non, e dalla propria auto-osservazione, che diveniva una sorta di regressione all’infinito; le copie preziose e malconce di due volumetti estremamente rari, considerati spurii da molti critici, Ames et fantômes de douleur del marchese De Sade e Knockenmädchen in Pelze (mit Peitsche) di Sacher-Masoch; De profundis di Oscar Wilde e Suspiria de profundis (con “Le Tre Signore del Dolore”) di Thomas De Quincey, il vecchio mangiatore d’oppio e metafisico, entrambi libri “normali”, ma stranamente legati da qualcosa di più dei titoli; Il caso Mauritius di Jacob Wasserman; Viaggio al termine della notte di Céline; parecchi numeri del periodico Gnostica di Bonewist; Il glifo del ragno nel tempo, di Mauricio Santos-Lobos; e il monumentale Sesso, morte e paura del soprannaturale di Frances D. Lettland.