Per molto tempo la sua mente, fresca di energie del mattino, sfrecciò qua e là, beata nel bizzarro mondo evocato e sostenuto da quei libri, da De Castries e dal diario, e dai nitidi ricordi delle strane esperienze del giorno prima. Davvero, le città moderne erano i supremi misteri del mondo, e i grattacieli erano le loro cattedrali laiche.
Nello scorrere il poema in prosa delle Signore del Dolore in Suspiria, Franz si chiese, e non per la prima volta, se quelle creazioni di De Quincey avessero qualche collegamento con il cristianesimo. Certo, Mater Lachrymarum, Nostra Signora delle Lacrime, la sorella maggiore, ricordava la Mater Dolorosa, un nome della Vergine, e anche la seconda sorella, Mater Suspiriorum, Nostra Signora dei Sospiri… e perfino la terribile sorella più giovane, Mater Tenebrarum, Nostra Signora delle Tenebre. (De Quincey era partito con l’idea di scrivere un intero libro su di lei, Il regno delle tenebre, ma sembrava che non l’avesse mai fatto: quello sì che sarebbe stato interessante!) Ma no, i loro precursori venivano dal mondo classico (erano parallele alle tre Parche e alle tre Furie) e dai labirinti della coscienza, dilatata dalle droghe, dell’autore inglese, gran bevitore di laudano.
Intanto Franz aveva deciso come trascorrere la giornata, che prometteva di essere piuttosto bella. Per prima cosa, cercare quell’elusivo Rodi 607, e come inizio procurarsi la storia del palazzo anonimo in cui abitava, 811 Geary Street. Sarebbe stata un’ottima ricerca… e Cal e Gunnar ci tenevano a sapere qualcosa. Poi doveva tornare a Corona Heights, per controllare se da lassù aveva visto davvero la finestra del suo appartamento. Poi, nel pomeriggio, andare a trovare Jaime Donaldus Byers (prima telefonargli). E la sera, naturalmente, il concerto di Cal.
Sbatté le palpebre e si guardò intorno. Nonostante la finestra aperta, la sua stanza era piena di fumo. Con una risata di deprecazione, spense meticolosamente la sigaretta sull’orlo del portacenere pieno.
Il telefono squillò. Era Cal, che lo invitava a scendere per la piccola colazione. Franz fece la doccia, si rase la barba, si vestì e scese.
13
Sulla soglia, Cal aveva un’aria così dolce e così giovane nel vestito verde, con i capelli pettinati a coda di cavallo, che Franz avrebbe voluto abbracciarla e baciarla. Ma si accorse che aveva ancora la sua aria distaccata e pensierosa del tipo “mi conservo intatta per Bach”, e si fermò.
Cal disse: — Ciao, caro. Ho dormito proprio dodici ore, come avevo minacciato orgogliosamente. Dio è misericordioso. Ti vanno, anche oggi, le uova? Per la verità è quasi ora di pranzo. Versati da solo il caffè.
— Non fai più esercizi, oggi? — chiese Franz, lanciando un’occhiata all’organo elettronico.
— Sì, ma non con quello. Nel pomeriggio suonerò tre o quattro ore con il clavicembalo del concerto.
Franz bevve il caffè con la panna e seguì la poesia del movimento di Cal, che, con aria sognante, rompeva le uova: un inconsapevole balletto di ovali bianchi e di polpastrelli sottili, un po’ appiattiti dai tasti. Si scoprì a paragonarla a Daisy e perfino alla sua Amante dello Studioso. Quest’ultima e Cal erano entrambe snelle, intellettuali, piuttosto taciturne, chiaramente toccate dalla Dea Bianca, sognanti ma disciplinate. Anche Daisy aveva avuto un tocco della Dea Bianca: poetessa, disciplinata anche lei, si era conservata altrettanto intatta… per un tumore al cervello. Franz si affrettò ad allontanare dalla mente il pensiero.
Ma l’aggettivo che si addiceva a Cal era sicuramente Bianca. Non era una Signora delle Tenebre, ma una Signora della Luce, e in eterna opposizione con l’altra: come lo Yang contro lo Yin, come Ormuzd contro Ahriman… Sì, nel nome di Robert Ingersoll!
E aveva davvero l’aria di una scolaretta, e la sua faccia era una maschera di gaia innocenza e di buon comportamento. Ma poi Franz ricordò la sua reazione al primo brano di un concerto. Lui le stava seduto vicino, un po’ da una parte, e così aveva potuto osservarla di profilo. Come per una magìa improvvisa, Cal era diventata una persona che prima lui non aveva mai visto, e che per un momento, non avrebbe più voluto rivedere. Aveva chinato il mento contro il collo, aveva dilatato le narici, il suo occhio era diventato onniveggente e spietato, le labbra si erano strette piegandosi quasi malignamente agli angoli, verso il basso, come una spietata maestra di scuola, ed era stato come se dicesse: “Adesso, statemi bene a sentire, voi archi e anche lei, signor Chopin. Cercate di suonare perfettamente, altrimenti io…!” Era la sua aria della giovane professionista.
— Mangiale finché sono calde — mormorò Cal, mettendogli davanti il piatto. — Ecco il toast. È già imburrato.
Dopo un po’, gli chiese: — Come hai dormito?
Lui le parlò delle stelle.
Cal commentò: — Sono lieta che tu creda in qualcosa.
— Sì, è vero, in un certo senso — dovette ammettere Franz. — San Copernico, almeno, e Isaac Newton.
— Mio padre imprecava anche su di loro — gli disse Cal. — Una volta, mi ricordo, addirittura su Einstein. Anch’io avevo incominciato a farlo, ma mia madre mi aveva dissuasa gentilmente. Secondo lei, era troppo da maschiaccio.
Franz sorrise. Non parlò delle letture di quel mattino né degli eventi del giorno prima: non gli sembravano argomenti adatti, per il momento.
Fu Cal a dire: — Mi è sembrato che Saul sia stato molto carino, ieri sera. Mi piace come flirta con Dorotea.
— Gli piace fingere di scandalizzarla.
— E a lei piace fingersi scandalizzata — confermò Cal. — Credo che le regalerò un ventaglio, per Natale, solo per avere la gioia di vedere come l’adopera. Però non so se mi fiderei di lasciare Saul da solo con Bonita.
— Chi, il nostro Saul? — chiese Franz, con uno stupore simulato solo in parte. Gli riaffiorò il ricordo, nitido e fastidioso, della risata che gli era parso di udire sulle scale, la mattina precedente: una risata viva, pruriginosa, con un sottinteso di sesso e di contatti fisici.
— La gente rivela sfumature di comportamento inaspettate — osservò lei, placida. — Tu sei pieno d’energia, questa mattina. Quasi invadente, ma ti fermi in considerazione del mio umore. Però, sotto sotto, sei pensieroso. Che progetti hai, per oggi?
Franz glieli disse.
— Mi sembra un buon programma. Ho sentito dire che la casa di Byers è una roba spaventosa. O forse intendevano dire che è esotica. E mi piacerebbe davvero sapere qualcosa di Rodi 607. Sai, sbirciare da dietro la spalla dell’“intrepido Cortez” e vedere la cosa, quello che è, “silenziosa su una vetta del Darien”. E scoprire la storia di questo palazzo, come si chiedeva Gunnar. Sarebbe affascinante. Bene, adesso dovrei prepararmi.
— Ci vediamo, prima del concerto? Ti accompagno io? — domandò Franz, alzandosi.
— No, non prima del concerto, credo — disse Cal, pensierosa. — Dopo. — Gli sorrise. — È un sollievo sapere che ci sarai. Fa’ attenzione, Franz.