— Conosco alcuni di questi casi — disse Franz. — O almeno quelli che stai per citare, suppongo. Che fine ha fatto Nora May French?
— È stata la prima ad andarsene. Nel 1907, un anno dopo il terremoto. Un caso inequivocabile di suicidio. Si è avvelenata ed è morta fra sofferenze atroci. Una tragedia.
— E Sterling quando è morto?
— Il 17 novembre 1926.
Franz disse, in tono pensieroso ma con attenzione alle parole: — Sembra che ci fosse una certa tendenza al suicidio, in quel gruppo, anche se questi suicidi coprono un arco di vent’anni. Si può sostenere che è stato un desiderio di morte a spingere Ambrose Bierce a recarsi in Messico. Nella sua vita è sempre stato ossessionato dalla guerra: quindi, perché non cercare di morire in guerra? Probabilmente si è aggregato ai ribelli di Pancho Villa come corrispondente ufficioso della rivoluzione e ha finito col farsi fucilare, da vecchio gringo indisciplinato che non voleva star zitto neppure se gliel’ordinava il diavolo in persona. Di Sterling si sa che ha portato per anni nel taschino del panciotto una fiala di cianuro, anche se non si sa se alla fine l’ha preso per caso (cosa poco verosimile) o di proposito. E poi c’è stata quella volta (lo racconta la figlia di Rogers nel suo libro) che Jack London è sparito per cinque giorni e finalmente è tornato a casa, dov’erano radunati sua moglie Charmion e la figlia di Rogers e parecchi altri amici preoccupati, e con la logica gelida e maliziosa di un uomo che ha bevuto tanto da ritornare lucido ha sfidato George Sterling e Rogers a non vegliare il cadavere. Anche se credo che in quel caso la colpa fosse dell’alcool, senza bisogno di chiamare in causa la magìa nera di De Castries o il suo potere di suggestione.
— E cosa intendeva dire? — chiese Byers, socchiudendo gli occhi, mentre si versava scrupolosamente un’altra razione di cognac.
— Che quando sentivano che la vita perdeva il suo sapore, che le loro facoltà cominciavano a venire meno, dovevano prendere per il braccio la Senza Naso, senza attendere di essere chiamati, e andarsene con una risata.
— La “Senza Naso”?
— Oh, è semplicemente il soprannome che lo stesso London dava alla morte: il teschio sotto la pelle. Il naso è tutta cartilagine, e perciò il teschio…
Byers spalancò gli occhi e puntò all’improvviso l’indice verso l’ospite.
— Franz! — esclamò, eccitato. — Il paramentale che hai visto tu… non era senza naso?
Come se avesse appena ricevuto un comando postipnotico, Franz chiuse di scatto gli occhi, rovesciò leggermente la testa all’indietro, e cominciò ad agitare le mani davanti a sé. Le parole di Byers avevano fatto riaffiorare all’occhio della sua mente il muso triangolare, di colore bruno pallido.
— Non dirmi queste cose così all’improvviso — mormorò, lentamente. — Sì, era senza naso.
— Mio caro Franz, non lo farò più. Ti prego di scusarmi. Non mi ero reso conto, fino a questo momento, dell’effetto che deve fare il vederlo.
— Va bene, va bene — borbottò Franz. — Dunque, quattro accoliti sono morti prematuramente (escluso forse Bierce), vittime della loro psiche scatenata… o di qualcosa d’altro.
— E la stessa sorte è toccata ad almeno altrettanti accoliti meno illustri — riprese Byers, con calma. — Sai, Franz, mi ha sempre colpito l’ultimo grande romanzo di London, Il vagabondo delle stelle, per il modo in cui la mente trionfa in modo assoluto sulla materia. Con un’autodisciplina spaventosa, un ergastolano di San Quintino riesce a evadere in spirito dalla prigione e a muoversi a volontà per il mondo, rivivendo le incarnazioni passate e morendo di nuovo delle sue morti. Non so perché, ma questo mi fa pensare al vecchio De Castries degli anni Venti quando viveva da solo in albergucci del centro e rimuginava, rimuginava sulle speranze e le glorie e i disastri del passato. E (sognando torture folli e interminabili) rimuginava sui torti subiti, e sulla vendetta (indipendentemente dal fatto che abbia davvero cercato di vendicarsi) e su… chissà su cos’altro? E mandava la propria mente a compiere chissà quali viaggi.
21
— E adesso — fece Byers, abbassando la voce — devo parlarti dell’ultimo accolito di Thibaut De Castries e della fine del vecchio stregone. Ricorda che durante questo periodo dobbiamo immaginarlo come un vecchio curvo, quasi sempre taciturno, sempre depresso, sulla strada della paranoia. Per esempio, aveva la mania di non toccare le superfici e gli infissi di metallo, perché i suoi nemici cercavano di fulminarlo con la corrente elettrica. Qualche volta aveva paura che gli avvelenassero l’acqua del rubinetto. Usciva assai di rado, per timore che una macchina salisse sul marciapiede e lo investisse, dato che non era abbastanza agile per schivarla; o che un nemico gli fracassasse il cranio con un mattone o con una tegola gettati dall’alto di un tetto. Nel contempo cambiava spesso albergo, per far perdere le sue tracce. Ormai i suoi soli contatti con i conoscenti di un tempo erano gli ostinati tentativi di recuperare e bruciare tutte le copie del suo libro, anche se forse continuava ancora a ricattare e magari anche a mendicare. Ricker e Klaas hanno assistito a uno di questi roghi librari. Una faccenda grottesca. De Castries aveva bruciato due copie nella vasca da bagno. Loro ricordavano di avere aperto le finestre e di avere sventolato un giornale per far uscire il fumo. A parte un paio di eccezioni, Ricker e Klaas erano i suoi unici visitatori: anche loro erano tipi solitari ed eccentrici, e già falliti quanto lui, sebbene allora fossero solo sulla trentina.
“Poi è arrivato Clark Ashton Smith: aveva la stessa età ma traboccava di poesia, d’immaginazione e d’energia creativa. Clark era stato molto colpito dall’atroce morte di George Sterling, ed era andato in cerca di tutti gli amici e i conoscenti del suo mentore poetico. De Castries sentì riaccendersi la vecchia fiamma. Aveva davanti a sé un altro di quei tipi brillanti e vivaci che aveva sempre cercato. Ha provato la tentazione (e alla fine vi ha ceduto interamente) di usare per l’ultima volta il suo formidabile fascino, di raccontare le sue storie favolose, di esporre in modo convincente le sue bizzarre teorie, e d’intessere i suoi incantesimi.
“E Clark Ashton, amante del bizzarro e del bello, estremamente intelligente, eppure sotto certi punti di vista giovane e provinciale, emotivamente turbolento, era un ascoltatore ideale. Per parecchie settimane ha rinviato il suo ritorno a Auburn, sguazzando timorosamente nel mondo minaccioso e pieno di prodigi e stranamente reale che il vecchio Tiberio, l’imperatore-spaventapasseri del terrore e dei misteri, gli ridipingeva ogni giorno; una San Francisco piena di lugubri entità mentali, più reali degli esseri viventi. È facile capire perché la metafora di Tiberio abbia colpito la fantasia di Clark. A un certo punto ha scritto… Aspetta un momento, Franz, prendo la fotocopia.”
— Non ce n’è bisogno — disse Franz, estraendo dalla tasca della giacca l’originale del diario. Uscì fuori anche il binocolo, che cadde sul folto tappeto con il tintinnio dei pezzi di cristallo delle lenti rotte.