“Al funerale presero parte altre due persone. Una era Dashiell Hammett; e, per puro caso, fu lui a risolvere una divergenza fra Klaas e Ricker. Stavano discutendo se dovevano seppellire insieme alle ceneri l’anello nero di De Castries (l’aveva Klaas); perciò l’hanno chiesto a Hammett, che ha risposto: ‘Ma certo’.”
— È logico — disse Franz, con un cenno d’assenso. — Ma che strano!
— Davvero — riconobbe Byers. — Hanno appeso l’anello intorno al collo del recipiente, con un grosso filo di rame. La quarta persona, che addirittura ha portato le ceneri, era Clark. Sapevo che il particolare ti avrebbe sorpreso. Si erano messi in contatto con lui a Auburn: era tornato, solo per quella notte. E ciò dimostra, adesso che ci penso, che Clark non poteva sapere della maledizione… o no? Comunque, il piccolo corteo funebre è partito dalla casa di Klaas appena fatto buio. Era una notte chiara e mancavano pochi giorni alla luna piena: ed è stato un bene che fosse così, perché hanno dovuto arrampicarsi per un bel po’, e lassù non c’erano lampioni.
— Soltanto loro quattro, eh? — chiese Franz quando Byers fece una pausa.
— Strano, che tu me lo domandi — commentò Byers. — Quando tutto era finito, Hammett chiese a Ricker: “Chi diavolo era quella donna che è rimasta sempre in disparte? Una sua vecchia fiamma? Mi aspettavo che si allontanasse quando siamo arrivati alle rocce, o che si unisse a noi, ma ha continuato a tenersi a distanza”. Per Ricker fu un colpo, perché lui non aveva visto nessuno. E neppure Klaas e Smith. Ma Hammett insisteva.
Byers fissò Franz con aria soddisfatta e terminò rapidamente: — La sepoltura è andata liscia, anche se hanno dovuto usare la piccozza… lassù il terreno era durissimo. L’unica cosa che mancava era la torre della TV (quel fantastico incrocio tra un manichino da sartoria e una pagoda birmana illuminata da lanterne rosse) che si chinasse nella notte per impartire una benedizione enigmatica. Il posto era esattamente sotto un sedile naturale di roccia, che De Castries chiamava Scanno del Vescovo in ricordo di quello nello Scarabeo d’oro di Poe, proprio alla base di quel grande sperone di roccia che forma la cima di Corona Heights. Oh, a proposito, avevano esaudito un altro dei desideri del vecchio: De Castries era stato bruciato con addosso un vecchio accappatoio liso, con il cappuccio, color marrone chiaro…
22
Franz, impegnato in una delle solite ispezioni, cominciò a scrutare le ombre per cercare non soltanto una faccia pallida, vuota, triangolare, dalla proboscide irrequieta, ma anche il volto magro, aquilino, spettrale, tormentato e ossessivo e animato di rabbia omicida, di un vecchio iperattivo, simile a una figura uscita dalle illustrazioni del Doré per l’Inferno. Poiché Franz non aveva mai visto una fotografia di De Castries, ammesso che ne esistessero, doveva accontentarsi di quelle supposizioni.
Era ancora intento ad assimilare il pensiero che Corona Heights era letteralmente impregnata di Thibaut De Castries. Il giorno prima, e quel giorno stesso, lui era rimasto seduto a lungo su quello che quasi certamente era lo Scanno del Vescovo di cui parlava la maledizione, e pochi metri più sotto, nel terreno duro, c’erano le polveri (i sali?) essenziali e l’anello nero. Come diceva, il racconto di Poe? “Portare un buon cannocchiale allo Scanno del Vescovo…” Il suo binocolo era rotto, ma non ne avrebbe avuto bisogno per quel lavoro a breve distanza. Quali erano peggio, gli spettri o i paramentali?… oppure erano la stessa cosa? Quando si stava in guardia e si attendeva la comparsa degli uni o degli altri, quello era un interrogativo alquanto accademico, anche se poneva molti interessanti problemi sui possibili livelli della realtà. Nel profondo del cuore si rendeva conto di essere in collera, o forse aveva soltanto voglia di discutere.
— Accendi qualche lampada, Donaldus — disse in tono secco.
— Devo ammettere che la prendi con calma — osservò l’altro, in un tono un po’ infastidito e un po’ ammirato.
— Cosa ti aspettavi? Che mi abbandonassi al panico? Che uscissi di corsa per strada a farmi sparare? O schiacciare dal crollo di un muro? O dilaniare da schegge di vetro volanti? Immagino che tu abbia tenuto per ultima la rivelazione dell’ubicazione esatta della tomba di De Castries perché avesse un maggiore effetto drammatico, e quindi la cosa fosse più vera secondo la tua teoria dell’identità fra natura e arte.
— Esatto! Tu hai capito, e io ti avevo detto che nella mia storia c’era uno spettro, e che i graffiti astrologici erano un epitaffio adatto a Thibaut. Ma non è sorprendente, Franz? Pensare che quando tu hai guardato Corona Heights dalla tua finestra i resti mortali di Thibaut De Castries, a tua insaputa…
— Accendi qualche lampada — ripeté Franz. — Quello che mi sorprende, Donaldus, è che tu conosci da anni l’esistenza delle entità paramentali, e le sinistre attività di De Castries, e le circostanze della sua sepoltura, eppure non hai preso precauzioni. Sei come un soldato entrato senza difese nella terra di nessuno. Senza dimenticare che in questo momento io, o tu, oppure tutti e due, possiamo essere completamente pazzi. Certo, la maledizione l’hai scoperta soltanto poco fa, se posso fidarmi di te. Ma qualcosa dovevi sapere, perché hai chiuso la porta a chiave dopo che sono entrato. Accendi qualche lampada!
Finalmente, Byers si decise. Un chiarore dorato scese dalla grande lampada globulare sospesa sopra di loro. Poi Byers andò nell’atrio, quasi con riluttanza, e fece scattare un interruttore; quindi tornò in fondo al soggiorno, accese una terza luce, e aprì un’altra bottiglia di cognac. Le finestre divennero rettangoli scuri, con una trama di rete d’oro. Ormai era notte: ma almeno in quella stanza le ombre erano state scacciate.
Intanto Byers stava dicendo, in tono apatico e depresso, ora che aveva terminato il suo racconto: — Certo, che puoi fidarti di me. Era per proteggerti, se non ti avevo parlato di De Castries. L’ho fatto solo oggi, quando è risultato evidente che ormai c’eri dentro, ti piacesse o no. Non vado in giro a parlarne con chiunque, credimi. Se c’è una cosa che ho imparato, nel corso degli anni, è che è meglio non parlare a nessuno dei più tenebrosi aspetti di De Castries e delle sue teorie. Per questo non ho mai neppure pensato di pubblicare una monografia su quell’uomo. Quale altra ragione potrei avere per non farlo? Un libro del genere sarebbe molto interessante. Fa Lo Suee sa tutto (non si può tener nascosto nulla, a un’amante seria): ma ha una mente molto forte, come ho detto. Anzi: quando tu hai telefonato, stamattina, le ho detto, mentre usciva, che, se le restava un po’ di tempo, mi avrebbe fatto un favore se avesse cercato ancora la libreria dove tu hai comprato il diario. È abilissima, a risolvere questi problemi. Lei mi ha sorriso e mi ha detto che era proprio quello che aveva intenzione di fare.
“E poi — continuò — tu dici che io non prendo precauzioni. Ma non è vero: le prendo, le prendo! Secondo Klaas e Ricker, una volta De Castries ha elencato tre protezioni contro le ‘influenze indesiderabili’: l’argento, il vecchio antidoto contro i lupi mannari (un’altra delle ragioni per cui ho incoraggiato l’attività artistica di Fa Lo Suee); i disegni astratti, che attirano su di sé l’attenzione (anche quella dei paramentali, c’è da sperare… ed ecco la ragione di tutti gli arabeschi che vedi intorno a te); e le stelle, il pentacolo primordiale… Sono stato io, in molte fredde albe, quando ero sicuro che nessuno mi vedesse, a tracciare con la vernice spray tutti quei graffiti astrologici su Corona Heights!”