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— Ne sei certa?

— Sicurissima. Te l’ho detto, l’ha ipnotizzata.

Casey sospirò, ripiegando il giornale. — Va bene, correrò qualche rischio per cercare di scoprire qualcosa sul tuo amico. Mi convincerò anche della sua colpevolezza, se questo potrà essere di aiuto. Mentre sarò fuori a indagare, tu però stai al coperto. Non preoccuparti, che torno.

— Lo so.

Sulla porta Casey si volse a guardare indietro. Lei la sapeva lunga. Aveva scelto bene il suo uomo di paglia, e se ne rendeva conto. “Devo essere ancora sbronzo” si disse. “Sbronzo o in pieno sogno.” Poco dopo scendeva le scale e aveva in tasca un indirizzo e un numero telefonico scritto a matita.

— Il signor Gorden non c’è. No, non rientra per ora. È andato al funerale di Darius Brunner.

Il funerale. Casey se n’era completamente scordato. Depose il ricevitore del telefono e aprì la porta della cabina, turbato da un nuovo pensiero. Aveva detto a Phyllis di non muoversi e non era possibile che lei fosse tanto imprudente da svignarsela per assistere al funerale del padre. Si trastullò per un attimo con l’idea di tornare ad accertarsene, ma poi ricordò il famoso colloquio in casa di Maggie e come Phyllis fosse rimasta seduta sul divano a raccontare senza interruzioni e senza lacrime. Ciò non significava che fosse arida, ma semplicemente che sapeva dominarsi. Concluse che un maggior dominio di se stesso non avrebbe fatto male neanche a lui.

Forse recarsi direttamente a casa di Gorden non era la mossa più abile. Chissà. Sapeva soltanto che doveva pur cominciare da qualche parte e che Gorden in quel momento era fuori. Altro problema era sapere chi avesse risposto al telefono, ma l’avrebbe affrontato sul posto, tanto più che c’erano molte probabilità che il suo interlocutore non lo avesse mai visto.

Alla sua scampanellata venne ad aprire un tipo magro dalle folte sopracciglia, i capelli arruffati e piedi piccolissimi. Casey notò in modo particolare i piedi, perché bloccavano l’ingresso, e vide che l’individuo dal viso inespressivo indossava calzoni neri e giacca bianca.

— Mi dispiace che Gorden non ci sia — disse Morrow. — Ma non ho fretta, lo aspetterò.

Nobile tentativo, che però non sortì alcun effetto.

— Il signor Gorden sarà assente tutto il giorno — insistette il domestico. — Può darsi che torni molto tardi e forse soltanto domani.

— Davvero? — Casey tirò fuori una smorfia, sperando di farla apparire come un sorriso genuino. — Come ai vecchi tempi — aggiunse.

— Come?

— Eravamo compagni di università, e anche allora il vecchio Gorden non ci teneva troppo a rincasare la sera. Peccato che non fosse al corrente della mia venuta, altrimenti avrebbe potuto trovare una ragazza anche per me.

Continuava a sprecare tempo. Il viso indifferente non mutò espressione, e i piedi non si scostarono dalla soglia. Non c’era nulla da fare per schivare quel cane da guardia, e non sarebbe neppure valso mostrargli una sua fotografia con Gorden in braccio alla stessa balia. Ci voleva un tipo più scaltro di lui per scoprire se c’era qualcosa di sospetto nell’appartamento ricco di lucidi legni che s’intravedevano dalla porta. Si allontanò per avviarsi verso l’ascensore, ma giunto a metà del corridoio, si fermò per guardarsi alle spalle. L’uscio era stato richiuso, e doveva esser effetto dei suoi nervi se continuava a sentirsi fissare da quegli occhi scuri.

Era logicissimo che Lance Gorden alloggiasse in un quartiere di lusso tanto diverso dalla zona a cui era abituato Casimir Morokowski, in quella casa austera, fronteggiata da un prato vellutato che serviva da parcheggio, e con l’autorimessa privata sul retro. Incerto sul da farsi, Casey entrò appunto nell’autorimessa per attaccare discorso con il negro che stava sfregando una macchia invisibile sul cofano di una Cadillac chilometrica.

— Questo tempaccio deve darvi molto da fare — osservò.

L’inserviente interruppe il lavoro per scrutarlo dalla testa ai piedi, poi chiese: — Vi manda un giornale?

Casey stava convincendosi di avere sbagliato professione, a meno che non fossero i suoi abiti a necessitare di una stiratura. — Perché? — fece. — Sono stati qui a seccarvi i reporter?

— Non me particolarmente, ma sono venuti. Anche la polizia.

— Grande agitazione, eh?

— Niente agitazione, soltanto domande.

— Come per esempio, se Lance Gorden è uscito o no la sera in cui è morto Brunner?

— Forse.

— Era uscito, naturalmente.

— Forse. Non mi immischio nelle faccende che non mi riguardano.

Riprese a lucidare, dando chiaramente a capire che la conversazione era conclusa, ma Casey non era dello stesso parere e ammise: — In genere è più saggio, ma quella ragazza fa proprio pena. Era bella, vero?

— Così dicono.

— Non l’avevate mai vista?

— Sentite un po’, vi ho già detto che non m’immischio…

— Lo so, e per di più le domande non vi garbano. Ma io dovrò pur guadagnarmi il pane, non vi sembra?

— Anch’io devo guadagnarmelo.

Casey cominciava a sentirsi molto avvilito. Aveva sperato di udire qualche pettegolezzo su Gorden e sulle sue abitudini, ma a quanto pareva aveva scelto la fonte sbagliata. E va bene, se non gli riusciva di strappare qualche bocconcino interessante, tanto valeva tenersi ai fatti.

— C’è un custode di notte, qui? — chiese.

— In teoria.

— Voi?

— Credete che lavori sempre, io?

— M’informavo. Allora non sapete a che ora ha tirato fuori la macchina il signor Gorden la notte in cui è stato ucciso Brunner?

— Da quello che ho sentito dire, non ne aveva bisogno, perché era già fuori.

— È stato fuori tutta notte?

— So soltanto che l’ha riportata la mattina dopo di buon’ora. L’ho lavata io stesso prima di mezzogiorno.

— Era sporca?

— La pioggia non lava le automobili. Se c’è altro che volete sapere…

— Vorrei sapere tante cose — fece Casey, sorridendo con ironia — ma non desidero strapparvi al vostro lavoro.

Non si sentiva molto soddisfatto, mentre si allontanava con passo lento dallo stabile, ed era sul punto di intavolare un monologo con se stesso. Phyllis aveva detto: “Scopri perché Lance ha ucciso mio padre”. Scopri. Bazzecole. Per il momento, i risultati delle sue indagini erano nulli, e il suo cervello non pullulava certamente di idee utili a migliorare la situazione. Aveva però in tasca altri indirizzi. Uno forse sarebbe stato utile soltanto dopo il funerale, ma l’altro poteva servire. Sprofondò il mento nel bavero e riprese a camminare contro vento. La mèta non era lontana e, se pensava allo stato di subbuglio del suo stomaco, era addirittura troppo vicina.

Erano passati tre giorni da quando era stato trovato il cadavere di Darius Brunner, ma Casey avanzava lemme lemme verso la casa. Quando vi giunse, sostò sul lato opposto del marciapiede per accertarsi che non ci fosse ombra di poliziotto, e una volta entrato continuò a procedere con cautela, guardandosi attorno. Tempo sprecato. Soltanto í suoi passi risuonavano nei corridoi coperti di tappeti, e quando suonò il campanello, non ottenne risposta. Aprì cautamente l’uscio con la chiave che gli aveva dato Phyllis ed entrò.

Buio pesto. Attraverso le persiane chiuse, la giornata nuvolosa faceva filtrare nelle stanze sottili strisce di luce grigia. Nello studio regnava una oscurità ancor più profonda a causa delle pesanti tende tese davanti alle finestre, e Casey dovette cercare la lampada sulla scrivania e accenderla. Si trovava in una stanza per lui nuova, eppure aveva trovato il lume con facilità e sapeva con altrettanta sicurezza in che punto del tappeto fossero le chiazze scure. Sebbene cercasse di ricordare di essere già stato in quella camera, tutto ciò che Phyllis gli aveva raccontato restava in una zona d’ombra. Eppure si orientava benissimo. Mentre fissava la macchia di sangue, si diceva che non era una ragione sufficiente per correre il rischio di entrare nell’appartamento di Brunner, e sempre più sentiva che il gioco non valeva la candela. Comunque la logica consigliava di cominciare le indagini frugando nella scrivania.