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I nodi venivano ormai al pettine.

— Non riesco a capire… — tergiversò Leta.

— Io sto solamente cercando un movente, signorina Huntly.

Casey cominciava a pentirsi di avere abbandonato la veste del reporter. Forse si sarebbe lasciata abbindolare nella speranza che le sue parole apparissero sui giornali. A volte le donne ci tengono a particolari di questo genere, ma ormai era tardi per cambiare professione.

— Be’ — fini per dire Leta — non so esattamente che cosa stesse facendo il signor Brunner. Rimase solo nel suo ufficio fin verso le otto, e io lo attesi nel mio, scrivendo a macchina, finché non ebbe finito. Mi aveva detto di andare a casa, ma non me la sentivo di lasciarlo solo.

— Avevate qualche particolare ragione? — L’interesse di Casey si era risvegliato.

— Si. Negli ultimi tempi era stato oberato di lavoro, e ritenevo che fosse meglio non lasciarlo solo dopo quanto era accaduto l’estate scorsa. Ebbe un attacco, forse lo avete saputo.

— No, non lo sapevo.

— Cuore. Accadde durante una fine settimana, mentre si trovava nella sua villa di campagna. In seguito prese in affitto l’appartamento in città, e questo lo facilitò molto.

Il racconto aveva un suono familiare. Lance Gorden aveva detto circa la stessa cosa, e le prove riguardo al pettegolezzo della segretaria si facevano sempre più deboli. Casey, scrutò per un momento il volto di Leta. Mica male. Naso un po’ troppo grande, labbra un po’ troppo sottili, ma, nell’insieme, formava un quadro abbastanza piacevole. Certo non aveva la classe di Alicia Brunner. Quanto a Darius, a giudicare dalle fotografie pubblicate sui giornali, Darius era stato un uomo di aspetto insignificante.

Si alzò e prese il cappello dal tavolo, dicendo: — Mi pare che possa bastare. Non vi disturberò oltre, signorina Huntly, e apprezzo il vostro aiuto. Suppongo che voi non abbiate idee personali sulla vicenda.

Leta doveva aver deciso di agire con discrezione, sebbene Casey avesse notato una improvvisa vivacità nel suo sguardo. Non era cieca e aveva quindi letto dell’uomo in grigio sui giornali.

— Una cosa ancora — aggiunse, ormai vicino alla porta. — Potreste dirmi come posso mettermi in contatto con Carter Groot?

— Come?

— Groot, Carter Groot. Credo che fosse un amico di Brunner, e quindi potevate averlo visto in ufficio.

Il punteggio questa volta marcò zero. Leta ripeté lentamente: — Groot… mi rincresce ma il nome non mi dice nulla. No, sono sicura di non averlo mai udito prima d’ora.

Era pomeriggio avanzato quando Casey fece ritorno all’appartamento. Aveva camminato non poco dal mattino, e i suoi piedi ne risentivano. Un giornale piegato sotto il braccio, lo sguardo stanco e abbattuto, chiunque l’avrebbe scambiato per uno dei soliti mariti succubi, che rincasano dopo un’altra faticosa giornata di ufficio. Già dal corridoio avvertì l’odore delle cipolle che friggevano.

— Spero che ti piacciano gli spaghetti — gli disse Phyllis appena fu entrato in cucina. — È praticamente l’unico piatto che so cucinare.

— Mi piacciono — fu la laconica risposta.

Phyllis si volse a guardarlo. Indossava sottana e camicetta a buon mercato, i capelli radunati in cima alla testa, eppure anche così era bellissima. — Che cosa hai scoperto? — chiese.

— Non lo so. Nulla, credo. Sono stanco.

Casey tornò nel salotto e si lasciò cadere sul divano, addormentandosi quasi subito. Quando si svegliò aveva la cravatta allentata, era scalzo, e Phyllis curva su di lui masticava un grissino. — Gli spaghetti sono pronti — disse. — Vieni a mangiare.

Sedettero in cucina e mangiarono in silenzio. Nessuno dei due osava parlare. Il giornale posato su un angolo del tavolo era aperto alla pagina che dava il resoconto del funerale, completo di fotografie, ma sul viso di Phyllis non si scorgeva nessuna traccia di emozione. Casey ricordò d’un tratto il profilo della signora Brunner stagliato sulla soglia dello studio, e niente sembrava avere più un senso comune. Qualcuno avrebbe dovuto piangere, qualcuno avrebbe dovuto cedere in qualche modo. Quanto a Phyllis, qualunque cosa sperasse di scoprire stando nascosta, non si riusciva a capire perché lo facesse senza avvertire la madre. Era strano, quasi impressionante, vederla seduta li tanto calma.

— Che c’è? — gli chiese, accorgendosi che la fissava. — Perché non mangi? Li faccio bene, gli spaghetti.

— Non ho fame.

— Ma devi mangiare.

Devi mangiare. Proprio quello che aveva detto Petersen, il domestico, alla signora Brunner. A quel ricordo Casey capì d’un tratto che cosa, senza rendersene conto, sentiva il bisogno di fare. Voleva scendere al bar dell’angolo e chiamare un numero che aveva visto sulla scrivania di Brunner. Servendosi di una cabina pubblica, i rischi sarebbero stati pochi: voleva dire alla signora Brunner che la figlia era sana e salva. Forse quel gesto lo avrebbe tenuto su finché non avesse deciso sulle ulteriori mosse.

— Vado a fare due passi — disse ad un tratto, respingendo la sedia.

— Vai da Maggie?

Il tono di Phyllis rivelava la stessa lieve preoccupazione che si leggeva nei suoi occhi, e Casey esitò prima di chiedere: — Perché dovrei andare da Maggie?

— Perché hai scoperto qualcosa e non vuoi dirlo a me.

— Siocchezze.

— Credi?

Prese cappello e cappotto dal piccolo armadio nell’ingresso e scese pesantemente le scale, continuando a cercare una risposta. Fuori faceva più freddo di quanto non ricordasse e anche molto buio, ma verso l’angolo della via una macchia di luce gialla indicava le finestre del bar. Mentre camminava si frugava già in tasca per tirar fuori una moneta.

La suoneria del telefono di Brunner squillò a lungo prima che una voce dicesse: — Pronto.

Era Petersen, e Casey lo riconobbe subito. Disse: — Vorrei parlare con la signora Brunner.

— Non c’è, è tornata in campagna. Posso farle un’ambasciata?… Pronto!

Casey riagganciò. Fallimento di una buona azione. Provò a pensare alla proprietà di campagna e al fatto che se lui vi fosse apparso all’improvviso, per la signora Brunner sarebbe stato uno sconosciuto qualunque, com’era successo con Leta e con tutti gli altri. Occorreva però un’automobile. Maggie? No, non la possedeva. Però avrebbe potuto procurargliene una, le avrebbe dato il denaro necessario per noleggiarla. Apri la porta della cabina e cercò sull’elenco telefonico il nome di un’autorimessa. Mentre sfogliava il libro aperto a casaccio, il suo pollice parve incollarsi alla carta sotto una riga in neretto. “Groot, Carter B.” lesse, “Commerciale e Penalista”.

Un’agenzia investigativa.

10

Era troppo tardi per cercare di rintracciare Carter Groot, ma Casey annotò l’indirizzo su un biglietto di visita e tornò a casa. Phyllis si era già coricata e la porta della camera da letto era chiusa. Cuscino e coperta erano già preparati sul divano, e qualcosa in tutto l’insieme gli dava un senso di solitudine e di abbandono. Spense la luce, ma non riusciva a prender sonno. Fumò un paio di sigarette, accendendo la seconda col mozzicone della prima, e intanto si rivolgeva infinite domande senza risposta. Tra l’altro si chiedeva perché mai Brunner avesse assunto un investigatore privato. Fissava senza sosta la striscia oblunga di luce che, proveniente dalla strada, batteva sul soffitto, perché non voleva guardare la porta della camera.

— Ancora voi! — esclamò Maggie l’indomani mattina di buon’ora. — Sono arrivata al punto che non oso neanche aprire la porta per prendere la bottiglia del latte.

— Devo parlarvi, Maggie, ma sarò breve.

Casey raccattò la bottiglia prima di entrare. Come sempre nello studio si avvertiva l’aroma del caffè, e Maggie portava il camice imbrattato di colori sul pigiama e le pantofole felpate ai piedi.