— E va bene, che succede ora? Quale losco compito avete ideato per me oggi? — Gli occhi di lei smentivano il suo tono asciutto.
Casey osservò: — Cominciate a diventare sospettosa. Lei tentennò il capo e lo corresse: — Sto diventando nervosa… Ogni volta che sento bussare alla porta, mi aspetto che irrompano quei tipi vestiti di blu per trascinarmi alla Bastiglia. Siate indulgente, non mi ero mai trovata coinvolta in un omicidio.
Già, parlava in quel modo, lo guardava col capo ripiegato sulla spalla, inarcando un sopracciglio, ma alla fine, dopo avere ascoltato le sue proposte, finì per dire: — Va bene, noleggerò la macchina, se è necessario, ma è l’ultima volta…
— Siete un angelo.
— Non occorre che mi diciate quello che sono. Una demente e lo so. E il denaro?
Dopo avere sfilato dal portafogli alcune banconote per il deposito, Casey si avviò verso la porta, dicendo: — Devo vedere un tale e tornerò più tardi a prendere l’automobile. Scegliete una macchina poco appariscente, di serie.
— Accidenti — brontolò Maggie. — Stavo già pensando a una decappottabile gialla con “Oggi Sposi” scritto sul portabagagli e un paio di vecchie pantofole attaccate al paraurti.
In attesa di possedere l’automobile, Casey dovette per forza servirsi dei mezzi di trasporto pubblici per dirigersi a un piccolo ufficio al secondo piano di un edificio in mattoni ricoperto di una patina permanente di fuliggine. Dalla strada si vedeva una finestra con la scritta in lettere dorate: “Carter B. Groot Agenzia Investigativa”, ma all’interno Casey si trovò di fronte a una porta di vetro smerigliato che non si apriva. Qualche passo più oltre, nel tetro corridoio, un custode in abito da fatica stava sistemando una scala a pioli sotto un lume a cui era saltata la lampadina, e si fermò a osservare con aria scettica le sue vane manovre con la maniglia.
— Non serve — disse alla fine. — Groot non c’è.
— Cominciavo a sospettarlo. Quando torna?
— Non saprei.
— Quando è uscito?
Il custode trasse di tasca una lampadina e, dopo averla esaminata con cura, rispose: — Lunedì, forse martedì. Non saprei.
— Volete dire che è assente da tre o quattro giorni?
— Appunto.
— Dov’è andato?
— Non lo so. Va e viene come gli pare. Non dice mai la sua destinazione.
Casey fissò l’uscio chiuso come se volesse biasimarlo per non essersi aperto. Osservò quindi il custode arrampicarsi su per la scala e notò soprattutto il pesante mazzo di chiavi che gli ciondolava fuori da una tasca. Esistevano ottime probabilità che una delle chiavi si adattasse alla serratura di Groot, ma il custode non pareva un tipo disposto a cooperare. Per il momento stava avvitando la lampadina nuova e, quando non si accese, pronunciò alcuni adeguati commenti.
— Qui non funziona mai niente — bofonchio. — Non vi pare che si dovrebbe avere il buon senso di non rimettere nel cassetto una lampadina fulminata?
— Quando se ne va chiude sempre l’ufficio? — insistette Casey.
— Chi?
— Groot.
Svitata di nuovo la lampadina, il custode scese dalla scala. — Eh già — disse. — Perché no?
— Pensavo che potesse avere una segretaria o almeno qualcuno per rispondere al telefono in sua assenza.
— Prima l’aveva, ma si è licenziata. Diceva che il lavoro le andava, ma che doveva anche mangiare. Che idea, rimettere nel cassetto una lampadina fulminata.
Casey sapeva che il suo interrogatorio non poteva competere con il rammarico del custode e infatti ben presto si ritrovò solo nel corridoio, mentre dalla tromba della scala riecheggiava un rumore strascicato di piedi stanchi. Groot era dunque assente da tre o quattro giorni… Un ricordo gli balenò alla memoria. Quattro giorni prima Brunner aveva consegnato all’investigatore un assegno di oltre milleduecento dollari e poche ore dopo era morto. Non era possibile concentrare ogni pensiero su un omicidio, come aveva fatto lui negli ultimi giorni, senza finire per avere una fantasia morbosa, e i pensieri che ora gli si affollavano alla mente lo spingevano sempre più a entrare nell’ufficio.
Dopo avere tratto di tasca un accendisigari placcato argento, dono di una bella rossa prima che si fosse resa conto di quanta poca garanzia lui dava, si trovò a meditare sul problema, fumando una sigaretta, quando gli venne una idea migliore. Aveva in tasca un piccolo temperino che, se non poteva servire a forzare una serratura, avrebbe però potuto tagliare via una striscia di gomma dal tacco di una scarpa da inserire sotto la porta di Groot. Così fece lasciando sporgere un lembo di gomma sufficiente a prendere fuoco alla fiammella dell’accendisigari. Occorse qualche minuto per quell’operazione, ma il tempo non mancava. Quando riapparve il custode con una lampadina nuova, Casey si trovava sotto una delle luci ancora in efficienza e pareva assorto a studiare il proprio orologio da polso.
Salito sulla scala il custode avvitò la lampadina, tentennò il capo soddisfatto quando la luce inondò il corridoio, quindi annusò l’aria.
— Brucia qualcosa — disse.
— Come? — fece Casey.
— C’è odore di gomma bruciata.
— Forse è un corto circuito.
— Si direbbe… — L’uomo scese dalla scala e si accostò alla porta di Groot. — Viene da qui — disse.
Casey non si era sbagliato circa le chiavi. Una corrispondeva alla porta, e lui era alle spalle del custode quando questi l’infilò nella serratura. Mentre l’ometto entrava nell’ufficio diritto filato, Casey diede una pedata al lembo di gomma fumante per farlo sparire, poi fece scattare la serratura in modo che la porta non potesse più venire chiusa a chiave. Il resto fu un gioco da bambini. Si avviò giù per il corridoio e attese finché il custode, dopo avere ripiegato la scala, non si allontanò brontolando. Quando anche la eco dei suoi passi si fu spenta per le scale, Casey entrò nell’ufficio.
L’aspetto non faceva pensare ad affari prosperosi. Oltre il piccolo ingresso dal mobilio scarso e di vecchia data, trovò una scrivania tutt’altro che decorativa, una poltroncina girevole sgangherata e un paio di archivi di metallo. Un pallido sole autunnale, che filtrava attraverso i vetri rigati dalla pioggia, accentuava la polvere accumulatasi da quattro giorni e le condizioni piuttosto inconsuete di uno degli archivi. Casey guardò con più attenzione e finì per capire come mai uno dei cassetti era semiaperto. Non sarebbe anzi mai più tornato allo stato primitivo dopo il trattamento subito dalla serratura. Per un attimo provò la sgradevole sensazione che un paio d’occhi gli fissasse la nuca, ma chiunque avesse ricordato che Groot avrebbe indubbiamente avuto una velina di ogni suo rapporto era già arrivato e ripartito da tempo. Apri il cassetto e frugò tra le pratiche riposte con ordine, ben sapendo che non avrebbe trovato quanto cercava. Brown, Bymer, niente Brunner. Nessuna prova che indicasse il soggetto, lo scopo o le conclusioni di un’indagine richiesta dal morto. Nessuna prova, e neanche l’ombra di Carter Groot. Concluse che si trattava di un complesso di fatti degni d’interesse.
Ora aveva per lo meno una base su cui agire, assai più convincente delle accuse di una bambina fantasiosa. Oppure no? Era davvero convincente, o così pensava Casey Morrow, il quale in fondo non chiedeva che di essere convinto? Dopo tutto, aveva soltanto trovato un archivio scassinato. Tra i punti negativi c’era anche lo sgradevole sospetto che non sarebbe stato facile rintracciare Groot. Fece un tentativo con la scrivania, ma i cassetti non presentavano interesse particolare. Per lo più vuoti, in mezzo a buste e orari di autobus trovò una piccola agenda contenente annotazioni a matita, che gli parvero in codice finché non le ebbe esaminate più attentamente, e allora si tramutarono in colonne di spese particolareggiate. Verso la fine dell’agenda trovò ciò che cercava: Brunner Darius: anticipo 250 dollari, seguito da una serie di cifre che ammontavano in totale a milleduecentottantasette dollari e quaranta “cents”.