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Pur non dicendogli nulla di nuovo, l’agenda confermava nero su bianco. S’infilò in tasca gli appunti e diede un’occhiata all’orario degli autobus, nell’eventualità che l’inafferrabile Groot fosse semplicemente andato a sbrigare un altro incarico, come pareva pensare il custode. L’orario non fu di alcun aiuto: nessun segno, nessun nome sottolineato. Dovette a malincuore convincersi che non avrebbe scoperto altro in quello studio, e che doveva darsi ancora parecchio da fare se intendeva trovare Carter B. Groot.

Alla fine riuscì ad estorcere al custode un indirizzo. Quando vi giunse, si trovò in uno stabile in mattoni gialli, dal porticato di cemento e la porta di pannelli di vetro, gestito da una malinconica padrona. Come previsto, Groot non c’era. Non si vedeva dal lunedì. Lunedì sera? Forse sì, forse no. La donna aveva già il suo bel da fare, senza controllare le andate e venute dei suoi inquilini. Comunque, non appena fosse tornato lo avrebbe certamente visto.

— Non ha ancora pagato l’affitto di novembre — si lamentò — e ormai siamo quasi in dicembre.

Casey era sempre pronto ad afferrare le occasioni al volo. Disse subito, con tono comprensivo: — Mi dispiace proprio, e spero che il mio vecchio amico non si trovi in difficoltà finanziarie. Se lo fosse, sarei felicissimo di aiutarlo. Forse tornerà presto, e mi converrebbe aspettarlo.

Due occhi scaltri e calcolatori lo scrutarono. Gli abiti di Casey erano di buon taglio, le scarpe di lusso, e l’orologio che esaminava con ostentazione era costato un sacco di quattrini.

— Non dovrei… — esitò la donna.

— Oh, a Carter non importerebbe. Siamo vecchi amici.

— Non vorrei che perdesse l’occasione di vedere un amico. Non c’è niente di male se vi faccio aspettare da lui, suppongo.

Lo fece entrare, e l’interno rispondeva esattamente all’idea che si era fatta Casey; arredato con lusso nel 1929 e mai più rimodernato. Comunque non era venuto per ammirare le tende e infatti per prima cosa esaminò gli armadi. Il guardaroba di Groot non era eccezionale, ma la presenza di una valigia consunta su uno dei ripiani escludeva in modo abbastanza pieno l’idea che fosse partito per un viaggio di affari, a meno che non avesse avuto troppa fretta per preparare il bagaglio. Poi passò alla stanza da bagno, dove non mancavano né lo spazzolino da denti né il rasoio.

Casey vagò per l’appartamento, senza sapere cosa stava cercando di preciso. Il letto era fatto, ma il suo sguardo fu attirato da un giornale gettato con noncuranza sul bracciolo di una vecchia poltrona a dondolo. Sul tavolino a fianco della poltrona c’erano una radio, un portacenere colmo di mozziconi e un bicchiere di whisky mezzo vuoto. Fu appunto il whisky a lasciare perplesso Casey, a cui non andava di vedere una buona bibita abbandonata in quel modo. Prese posto sulla poltrona e cercò di ricostruire mentalmente la scena. Groot doveva essersi seduto a fare una bevutina prima di coricarsi (il giornale era l’edizione della sera), fumando una sigaretta e fors’anche con la radio accesa. Quando Casey allungò la mano e girò il bottone, l’Iniziale ronzio fu seguito da una voce asciutta che dava numeri in codice alle macchine di ronda della polizia. Bicchierino, sigaretta, chiamate della polizia. Tutto fu chiaro: un quadro dipinto a olio non avrebbe potuto esserlo di più.

Controllò la data sul giornale, ma sapeva già che doveva essere di lunedì. Doveva essere di lunedi sera, perché appunto lunedì sera Brunner era stato assassinato. Quel lunedì sera, Carter Groot, che si era appena intascato un bell’onorario per scoprire i loschi retroscena di un nemico a cui Brunner l’aveva giurata, stava seduto in poltrona, quando aveva udito la chiamata che significava un omicidio in casa di Brunner.

Casey poteva soltanto immaginare che cosa contenesse il rapporto scomparso dell’investigatore, ma Groot, che conosceva l’identità della persona che aveva buone ragioni per volere la morte di Brunner, doveva avere subito una scossa a quella chiamata.

A questo punto il quadro diventava confuso. Che cosa aveva fatto Groot? Sarebbe potuto andare alla polizia, ma era ovvio che non aveva agito così. Avrebbe potuto nascondersi, reazione improbabile per un uomo della sua professione. Conscio di stare misurando Groot sul proprio metro, Casey pensò all’eventualità che Groot avesse barattato il proprio silènzio, a peso d’oro. Un simile piano poteva essere pericoloso, ma non conoscendo Groot e non sapendo quali fossero i suoi princìpi, si trattava d’indovinare.

Ancora intento a fare ipotesi, quasi senza accorgersene apri il cassettino del tavolo e, in mezzo a vecchi programmi ippici, trovò una manciata di fotografie e un cartoncino di un locale notturno. In ogni fotografia, tutte simili e monotone, era ritratto un uomo elegante, sorridente, sui trentacinque anni, che stringeva a sé una ragazza. In alcune i due erano su una spiaggia e, l’uomo faceva bella mostra del suo torace, in altre lo sfondo era la neve o una panchina di giardino pubblico. In ognuna però la ragazza era diversa, e l’uomo sempre lo stesso. Casey concluse che Groot aveva una vita galante molto piena.

Il punto tuttavia di vero interesse era la fotografia incollata sul cartoncino. Lo stesso individuo sorridente ora stringeva in mano un bicchiere di whisky e con un braccio cingeva le spalle voluttuose di una bellissima bionda dall’abito profondamente scollato. Non appena riuscì a strappare gli occhi dalla scollatura, Casey riconobbe la bionda: proprio la segretaria di Lance Gorden, la signorina Nardis dai grandi occhi castani.

11

Era esattamente mezzogiorno e due minuti quando Audrey Nardis usci dall’ascensore per entrare nell’atrio degli uffici Brunner. Su un vestito verde indossava una pelliccia marrone, troppo lussuosa se l’avesse pagata lei, e troppo modesta in caso contrario; sul suo viso era dipinta un’espressione ansiosa e guardinga. Casey attese che fosse arrivata all’arco della porta che dava sulla strada, prima di uscire da dietro una vicina colonna e afferrarla per un braccio.

— Cercate qualcuno? — le chiese.

Si volse di scatto e sbarrò gli occhioni castani. — Ah, siete voi!

— Allora vi ricordate di me?

— Se ricordo… A proposito, il signor Gorden vorrebbe vedervi.

Casey riuscì a spingerla in strada. Fuori c’era già la ressa del mezzogiorno, e, date le circostanze, gli garbava l’idea di essere in compagnia numerosa.

— Buffo — mormorò, mentre si avviavano senza una mèta particolare. — Non credevo proprio che gliene importasse.

— Altro che! Mi ha detto di chiamare subito la polizia, se avessi mai rivisto quel finto reporter.

— Non ve lo consiglio.

— Che cosa volete, in fin dei conti?

Dopo essersi fermato a scrutare la strada, Casey disse: — Far colazione. Dove si può andare? Sono affamato.

— Poche storie. O parlate o strillo.

Era un rischio che doveva per forza correre, e in quel momento la signorina Nardis pareva decisissima a mettere in atto la minaccia. Però era curiosa, qualità su cui Casey aveva contato molto. Strinse con maggior forza il braccio di lei e riprese a camminare, avviandosi verso un bar che aveva avvistato poco oltre. — Sono disposto a parlare appena ne avremo la possibilità — spiegò.

— Ecco perché vi ho telefonato, stamattina, per poter fare due chiacchiere in pace.

Quando vi entrarono, il bar era quasi pieno, ma Casey ebbe la meglio su un avventore irascibile e riuscì a occupare l’ultima nicchia in angolo, appartata e accogliente se pure circondata da un frastuono sufficiente a soffocare qualsiasi conversazione. La ragazza era in collera, questo era indubbio, ma anche perplessa, perché lui al telefono era stato molto misterioso.