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Fuori la pioggia formava una solida cortina argentea calata sull’imbrunire. Casey esitò un istante sui gradini di pietra, tirandosi su il bavero mentre si orientava. Maggie aveva detto che la macchina era nel vicolo, per cui guardò prima da un lato poi dall’altro e, dopo aver scorto il cofano di una guida interna grigia spuntare a fianco dell’edificio, scese e attraversò la piccola distesa di prato umido dall’erba ormai ingiallita. Camminava rapido, la testa china per difendersi dalla pioggia, e fu proprio per questo che non notò l’accendersi improvviso dei fari della guida interna parcheggiata sull’altro lato della via. La macchina si mise in marcia e svoltò velocemente portando il lungo cofano entro il vicolo, un passo oltre dove si trovava già Casey. Mentre balzava indietro con un’istintiva imprecazione, Morrow vide spalancarsi lo sportello posteriore e un uomo di statura fuori del comune avventarsi su di lui con un braccio alzato.

Fece un tentativo per schivare il colpo e ciò valse ad attutirne la forza, evitandogli di perdere i sensi. Ciononostante stramazzò a terra, un po’ a causa dello sfollagente e un po’ dell’erba umida e scivolosa. Mentre cadeva, cercò di afferrare l’uomo per le gambe, ma non essendoci riuscito rimase accovacciato in attesa del colpo successivo.

— Casey, avete dimenticato le chiavi!

La voce di Maggie chiamava da una distanza che a lui pareva immensa, e i passi che risuonavano affrettati sui gradini erano quelli di lei.

— Casey!

Ecco perché non vi fu un colpo successivo. Si rizzò in piedi a fatica, in tempo per vedere un’ombra risalire rapidamente sul sedile posteriore della guida interna, e mentre la macchina faceva marcia indietro scorse di sfuggita il viso del guidatore stagliato nella luce che proveniva dal cruscotto.

— Tutto bene? — stava gridando Maggie. — Casey, che cosa è successo?

— Sto benissimo. Datemi le chiavi. Sto benissimo.

Maggie cercava di essere servizievole, ma Casey non voleva aiuto o almeno non più. Ritta davanti a lui, io teneva stretto per i risvolti della giacca e non indossava neppure un cappotto per ripararsi dalla pioggia.

— Siete ferito! — insistette. — Avete la testa insanguinata…

— Me la laverò. Datemi le chiavi.

— Chi era?

— Gorden.

— Ne siete certo?

Casey esitò. Il gigante dallo sfollagente era davvero Lance Gorden? A meno che non fosse stato proprio con le spalle al muro, non era tipo da correre quel rischio personalmente. Eppure le sue erano idee sciocche, a pensarci bene. In fondo che rischio correva a spaccare la testa a un ficcanaso, ammesso che fosse stato lui a eliminare Darius Brunner? Certo però di una cosa, Casey disse: — Ho scorto l’uomo al volante. Un tale che ho già visto a casa di Gorden, il domestico credo. Ora, per l’amor del cielo, lasciatemi andare via. Potrebbero tornare.

Non era questa l’unica ragione, ma non voleva perdere tempo dando lunghe spiegazioni. Dopo il primo spavento, causato dall’apparizione di Maggie che aveva sciupato tutto, Gorden, o chiunque agisse per suo conto, avrebbe potuto decidere di restare a tiro per pedinarlo. Avevano indubbiamente notato la guida interna nel vicolo e dovevano quindi sapere che lui era diretto da qualche parte. Quando Maggie allentò la stretta, Casey si divincolò con uno strattone e, dopo averle strappato le chiavi di mano, indugiò soltanto il tempo necessario per raccattare il cappello dall’erba inzuppata. Il colpo ricevuto non gli dava malessere, a parte la sensazione che da un momento all’altro la calotta cranica dovesse volargli via.

— Tornate in casa — urlò mentre si precipitava verso l’automobile, ma quando si allontanò, Maggie era ancora immobile sotto la pioggia scrosciante. Era l’ora in cui nulla ha una forma definita. I toni grigi del crepuscolo piovoso ammantavano la città di monotone ombre gocciolanti, ma Casey osò accendere i fari soltanto al primo incrocio, quando svoltò verso nord. Poco dopo s’inoltrava in un viale animato e poteva mescolarsi alla fiumana del traffico. Se qualcuno lo stava seguendo avrebbe avuto il suo bel da fare, ora.

Ma forse non avevano bisogno di seguirlo, forse lo avevano sempre fatto e sapevano esattamente dove andare per trovare un tipo tanto ingenuo, da vantarsi di sapere che cosa contenesse il rapporto scomparso di Groot. Con quella notizia falsa aveva sperato di aizzare Gorden, non contando però su una reazione tanto drastica. E come aveva fatto Gorden a sapere dove trovarlo? Forse era appunto questa la domanda che Maggie stava cercando di rivolgergli, quando lui l’aveva lasciata sotto la pioggia. Una domanda a cui non gli garbava troppo rispondere. Infatti, aveva commesso un errore madornale quando aveva rivelato di conoscere il nascondiglio di Phyllis, nell’ufficio dell’avvocato. Siccome Gorden l’aveva trovata, l’altra volta, nella casa della Erie Street, logicamente aveva dedotto che Casey abitasse nei pressi.

Guidando con grande prudenza, svoltò alcune volte a vuoto finché non ebbe la certezza di non essere seguito. Non voleva correre rischi, benché ormai avesse capito che Gorden non si sarebbe dato la pena di fare la posta davanti all’abitazione di Maggie, se avesse conosciuta l’esistenza dell’appartamentino, e che non avrebbe atteso tanto per fargli visita. Andò a fermarsi oltre l’edificio e, non appena ebbe parcheggiato, corse al riparo sotto il telone del bar più vicino, da dove tenne d’occhio il traffico finché non fu sicuro che nessun’altra macchina si era fermata nelle vicinanze.

Mentre saliva le scale avvertì per prima cosa la musica; si sarebbe detto che Phyllis avesse riunito la banda del quartiere. Appena entrato vide che per fortuna era sola, ma si era in qualche modo procurata una radio, ora posata sul tavolo di cucina, e ballava al suono di una danza che a Casey parve ungherese. Ballava scalza; i capelli sciolti sulle spalle, e per un po’ non si accorse neppure della presenza di lui. Poi i suoi movimenti cominciarono a rallentare piano piano… come accade alle bambole meccaniche scariche.

— Mi sentivo sola — balbettò, scorgendo l’espressione severa negli occhi di lui. — Non l’ho pagata molto.

Pareva una bambina che si prepari a ricevere una ramanzina.

— Il pranzo è nel forno. Il droghiere mi ha dato una ricetta.

Casey andò in cucina con passo rapido e spense la radio, dicendo: — Ma brava! Ormai sarai intima con tutto il vicinato. Macellaio, fornaio…

— Il macellaio no — lo corresse lei. — È venerdì, e siccome mi ero dimenticata di chiederti se fai magro, nel dubbio, mi sono fatta fare una ricetta adatta al venerdì Casey!

Appena si era tolto il cappello, Phyllis aveva scorto il sangue e lo fissava, pallida. Poi lo trascinò nella stanza da bagno, dove gli lavò la ferita con premura. — Non abbiamo niente. Né cerotto, né garze, niente!

— Non ne ho bisogno. — Il tono di Casey era irritato. — Non sono ferito.

Fece cadere una ciocca di capelli sulla piccola scalfittura e le riferì i fatti nel modo più conciso possibile. Phyllis ascoltava ritta davanti a lui, a piedi scalzi, stringendo fra i denti il labbro inferiore, e il suo viso palesava il timore, che anche Casey provava in cuor suo.

— È stato qui nessuno, oggi? — le chiese. — Qualcuno è venuto a far domande?

— No… che io sappia.

— Quando sei uscita, ti hanno pedinata?

— Non lo so. Ma dove vuoi arrivare? Nessuno sa che siamo qui.

Casey si alzò dal bordo della vasca e andò nel salotto, dove accese le luci e si accostò alla finestra per guardare fuori. Il lampione rifletteva un confuso cerchio giallastro sul marciapiede bagnato, ma vide soltanto una ragazza col capo riparato da un giornale e un tipo con un cestino, troppo stanco per preoccuparsi della pioggia. Chiuse le imposte e si allontanò, dicendo: — L’idea di rimanere qui, non mi garba, è troppo rischioso. Maggie è stata vista e potrebbero tornare allo studio per estorcerle il nostro indirizzo.