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— In effetti, un paio di volte ho sfiorato la morte, in guerra.

— John me lo aveva detto. Quando te ne andasti senza fiatare con nessuno, mi disse: “Non aspettarti di rivedere Casey. È andato in guerra”. Invece io ti aspettavo sempre, ma tu non tornavi.

Si era alzata in piedi, ma il figlio non aveva fatto neppure un passo verso di lei, e allora restò accanto al tavolo, forse perché aveva bisogno di un sostegno. Casey era addolorato della propria freddezza, ma che cosa si può dire quando si è stati lontani tanto tempo? Strinse i pugni, dicendosi che non sarebbe dovuto tornare. Avrebbe dovuto rimanere lontano e lasciare che sua madre accendesse le candele; questo forse le avrebbe dato maggior conforto. Ma poi, d’un tratto, lei girò attorno al tavolo e si accostò, scrutandolo, divorandolo con lo sguardo, e solo quando gli fu molto vicina Casey vide che i suoi occhi erano umidi di lacrime.

Gli disse: — Sei più robusto.

— Infatti, devo aver preso qualche chilo.

— Hai un buon aspetto. Stai bene?

— Benone, mamma.

— Non sei stato ferito in guerra?

— Qualche graffio. Ho avuto fortuna.

— Io accendevo le candele — gli ricordò.

Lo scrutava ancora, ma poi il suo sguardo si fece più attento e, prima ancora che avesse aperto bocca, Casey intuì le domande che si stavano formando nella mente di lei.

— Sei nei guai?

— Niente guai, mamma.

— Ti ho visto nei guai altre volte. Ti si legge in faccia.

— Ti dico che non sono nei guai. Passavo di qui…

Non lo ascoltava più e fissava qualcosa alle spalle di lui. Casey si voltò. Per qualche minuto aveva addirittura dimenticato Phyllis, ma ora eccola ritta sulla soglia con uno sguardo sperduto negli occhi. Cercò di sorridere, quindi venne a infilare un braccio sotto quello di lui.

Schiarendosi la gola, Casey disse: — Mamma, questa è Paula. — Avevano deciso di adottare quel nome. — Mia moglie.

Era la prima volta che pronunciava quella parola e ne ebbe una strana sensazione. Si aspettava che rispondesse qualcosa, ma vedendo che sua madre fissava immobile Phyllis, fu preso dal terrore che l’avesse riconosciuta dalle fotografie sui giornali. Poi si ricordò che era miope e leggeva soltanto le notizie sulla colonia polacca.

— Come state, signora Morokowski? — riuscì a dire Phyllis. — Sono molto felice di fare finalmente la vostra conoscenza.

— Sono la signora Posda — fu l’asciutta risposta, mentre sfiorava appena la mano tesa verso di lei. — Casimir avrebbe dovuto dirvelo.

Questi intervenne rapidamente: — Siamo sposati da pochi giorni.

— Davvero?

Stavano tutti in piedi, illuminati dalla forte luce proveniente dal soffitto, ed era inutile nascondersi che mamma fissava l’anulare della mano sinistra di Phyllis, appoggiata tanto visibilmente sul braccio di Casey, quella mano che pareva nuda senza la vera matrimoniale. Una svista a cui nessuno dei due aveva badato fino a quel momento. Phyllis aveva già fatto miracoli, procurandosi uno sposo così sui due piedi, ma l’anello era proprio un particolare che mamma avrebbe serbato da conto insieme agli altri suoi sospetti.

Cercando di sviarla, Casey disse: — Stai proprio bene e anche John è in forma… Avrà molto da fare, suppongo.

— Ti occorre denaro?

Non esisteva ragione perché la domanda fosse imbarazzante. Era una vecchia abitudine di mamma di dire senza perifrasi tutto ciò che pensava; che cosa importava se Phyllis udiva e sorrideva tra sé? A Casey Morrow, in effetti, non fece né caldo né freddo. — Non ho bisogno di un bel niente — ribatté con tono secco. — Ti ho già detto che passavamo di qui, e se vuoi possiamo anche andarcene.

Era fatta. Nello sguardo di mamma il sospetto non si sarebbe più dileguato neppure per far posto al dispiacere. La sua dura risposta l’aveva tradito, perché Casimir lottava soltanto quando si trovava con le spalle al muro, e la mamma lo sapeva meglio di chiunque altro al mondo. Fu allora che Phyllis, calma e attenta osservatrice di tutta la scena, fece un passo avanti e passò un braccio attorno alla magra vita della vecchia, dicendo: — Non fategli caso. Abbiamo viaggiato tutto il giorno, è stanco, e quando è stanco diventa irascibile come una scimmia. Se la nostra presenza deve essere un disturbo per voi, ce ne andremo senz’altro.

La lezione era servita per far capire a Casey di tenere il becco chiuso, e mamma si raddolcì improvvisamente, gli occhi soffusi da un velo di pianto. Fissava il pavimento, torcendo tra le dita un lembo del grembiule, ma ogni sfumatura di acredine era scomparsa dalla sua voce quando rispose: — Non abbiamo lussi, ma la camera di Casimir è come la lasciò. Potete sistemarvi lì.

14

Il sabato era un gran giorno. Un gran giorno per John, che si preparava per la clientela del sabato sera, un gran giorno per mamma, che andava al mercato e preparava i pasti per la fine settimana, e risultò essere un gran giorno anche per Casey. Innanzi tutto, dormì fino a tardi, vinto dalla stanchezza dopo una notte passata a lottare contro il disagio della vecchia poltrona a dondolo presa dal porticato sul retro (senza fornire spiegazioni). Phyllis invece, avendo goduto di un relativo lusso nel letto di ottone, era allegra e di buon umore, quando lui entrò in cucina ancora assonnato, e indossava di nuovo sottana e camicetta, i capelli tenuti stretti da un nastro di colore vivace.

Curva su un secchio, le braccia immerse nella schiuma, non appena posò gli occhi su di lui esclamò: — Casimir Morokowski, torna immediatamente in camera e cambiati quella camicia sporca. Sto lavando alcune cose e tanto vale che ci aggiunga quella.

Casey sorrise divertito. Se avesse continuato a trattarlo su quel tono, mamma avrebbe dimenticato l’assenza dell’anello matrimoniale. In quell’attimo gli balenò la grande idea, e dovette sforzarsi per far colazione tanto aveva fretta di uscire.

La sua mèta distava circa cinque isolati dal locale di Big John, oltre il mercato generale, il negozio di oggetti usati, il mercato del pesce, e due porte oltre il negozio di barbiere di Nick. Una piccola gioielleria che era sempre esistita ed esisteva tuttora. Si fermò davanti alla vetrina, fissando un vassoio colmo di anelli d’oro e d’argento, e finì per entrare, confuso come uno sposo novellino. Quando uscì con la scatoletta in tasca si sentiva decisamente meglio.

— Casey! Casey Morokowski! Vecchio mascalzone…

Si fermò irrigidito. Era stato un duro colpo sentirsi apostrofare con il nome che usava da alcuni anni, ma poi ricordò che i compagni di scuola lo avevano sempre chiamato così. Appunto per quello aveva adottato il nome.

— Non è possibile! Credevo che fossi morto e seppellito.

Il volto era familiare, e Casey si trovò a fissare un uomo circa della sua età, alto più o meno un metro e ottanta che pareva scoppiare dentro il suo cappotto portato e riportato. Reggeva su un braccio un bimbetto dal viso sporco di dolciumi, mentre stendeva l’altro in gesto di saluto.

— Dove diavolo sei stato? — tuonò.

Casey finalmente lo riconobbe. — Ciao, Stan — disse. — Come va la vita?

— Benone, ma tu che cosa diavolo hai fatto tutto questo tempo?

Stan, di cui non ricordava assolutamente il cognome, un tempo abitava sull’altro lato del vicolo. Avevano frequentato la scuola insieme, giocato a baseball e si erano visti spesso anche a scuola finita. Ed ora eccolo con qualche ruga e un’ombra di doppio mento e gli stringeva la mano, accogliendolo come un fratello ritrovato dopo anni di separazione.

— Sono arrivato ieri sera dalla California — spiegò.

Avrebbe voluto andarsene, ma non c’era nulla da fare. Gli toccò rispondere alle domande, ascoltare notizie su gente pressoché dimenticata e di cui non gli importava nulla, dovette pronunciare alcune frasi lusinghiere sul bambino dal viso impiastricciato e permettergli di stringergli la mano con i suoi ditini appiccicosi.