— Ti ricorderai di Wanda — fece Stan, quando apparve una giovane grassoccia che spingeva un carrettino ricolmo di compere. Se ricordava Wanda? Eccome se la ricordava. A scuola era stata un tipino grazioso, ma non aveva mantenuto le promesse di bellezza, e ora non pareva più una tragedia non essere mai riuscito a trovare il coraggio di chiederle un appuntamento. Se ne infischiava che Stan lo avesse battuto.
— E tu? — stava dicendo questi. — Non vorrai dirmi che sei ancora libero come un fringuello?
— Io? — Casey sorrideva, pregustando già il divertimento. Il piccolo Casey Morokowski incapace di acchiappare il pallone al volo, incapace di farsi dare un appuntamento da una ragazza. — Anzi, sono proprio in viaggio di nozze.
Era stato uno sbaglio e se ne rese conto troppo tardi. La notizia, per tipi come Stan e Wanda, significava conoscere la sposa con i dovuti festeggiamenti, e nulla sarebbe valso a distoglierli dal proposito. Quando riuscì a liberarsi malediceva il sabato sera, malediceva la gente fisionomista e incapace di badare ai fatti propri.
Se qualcuno avesse riconosciuto Phyllis… Ricordò d’un tratto l’aspetto di lei con i capelli legati dal nastro di colore vivace e le braccia immerse nella schiuma, e si chiedeva se qualcuno, lui compreso, sarebbe stato capace di riconoscere in lei Phyllis Brunner, la ragazza scomparsa. Era diversa, e non si trattava soltanto di una pettinatura differente e di una camicetta a buon mercato. Era diversa nell’animo.
Quando fu riuscito a spiegarsi tutto ciò, stava ormai salendo le scale per recarsi nell’appartamento sovrastante la taverna; dal corridoio udiva Phyllis chiacchierare con sua madre come se la conoscesse da sempre. Non si sarebbe meravigliato più di nulla, neppure di udire un fiotto di parole polacche uscire dalla sua bocca.
Appena lo vide esclamò:
— Pensa! Sto imparando certe ricette di tua madre.
— Dovevi dirmelo! Mi sarei fermato dal droghiere per comperare del bicarbonato.
La risata di lei era contagiosa, e perfino mamma sorrideva. Ora, decise Casey, ora che mamma sta guardando. Trasse di tasca il piccolo astuccio e tese a Phyllis l’anello, improvvisando: — Ti avevo detto che lo avrei fatto stringere la prima volta che ci fossimo fermati abbastanza a lungo da qualche parte. — Aveva avuto ragione, e mamma sorrideva. Soggiunse, ridendo: — Pensa, ci siamo sposati tanto in fretta che ho comprato un anello così largo che Paula non riusciva a tenerlo al dito.
Purché fosse di misura giusta! Phyllis lo guardava in modo strano, ma poi sorrise e stese la mano dicendo: — Mettimelo tu.
Era di una misura perfetta, aveva indovinato giusto: una manina piccola, infantile. Vi dichiaro marito e moglie… Non pronunciò le parole, ma si sentiva tintinnare come dei campanellini nel cervello, e fu sul punto di lasciar cadere la mano di lei. Era pazzesca l’idea che gli veniva affiorando alla mente.
Nulla tuttavia era pazzesco quanto la festicciola che si svolse quella sera nella taverna. A dare il via furono Stan e Wanda, apparsi verso le otto con alcuni altri vecchi amici, e Big John, che non scoraggiava mai i festeggiamenti perché facevano scampanellare il registratore di cassa, offrì in dono la prima botticella di birra. Oltre la birra c’era vino rosso in quantità e altre bibite rinfrescanti. In aggiunta al grammofono automatico, un certo Joe, dal viso vagamente familiare, si dedicava a una fisarmonica, traendone note allegre.
— Un valzer prima di tutto — ordinò Stan — e i novelli sposi faranno un a solo.
Casey era terrorizzato. Terrorizzato dalla festa, dagli occhi curiosi fissi sulla ragazza che aveva sposato Casimir Morokowski. Per Phyllis tutto era fonte di divertimento; una festa per lei che amava tanto le feste. I capelli adorni di fiori bianchi, di prammatica per una sposa, le avevano detto, indossava un abito semplice dall’ampia sottana e rideva mentre i loro bicchieri si urtavano nel primo brindisi.
Alle prime note, vedendo che gli tendeva le braccia, Casey mormorò: — Sono un pessimo ballerino.
— Forse non hai mai ballato con la ragazza fatta per te — fu la risposta, accompagnata da uno sguardo ironico.
Non era possibile restare lì impacciati, mentre tutti li fissavano in attesa che cominciassero. Sulle prime si muovevano rigidi, ma poi i loro movimenti si fecero sempre più elastici, tanto che Casey finì per chiedersi, stupito, come mai il ballo fosse tanto diverso dal solito. Dopo il valzer una polka, dopo la polka un altro valzer, e Phyllis cominciò a improvvisare figure di danza che Casey seguiva senza fatica di sorta. Era facile dimenticare con l’aiuto della musica e del vino che la città era popolata di poliziotti in caccia di due presunti omicidi. Troppo facile.
Joe, abbandonata per un momento la fisarmonica, sfidò Phyllis a ballare l’unica rumba che offrisse il grammofono automatico, e fu allora che Casey cominciò a provare uno strano formicolìo alla nuca. Si volse a guardare verso il bar e, grazie all’antipatia di Big John per le luci soffuse, non gli fu difficile trovare la fonte del suo disagio. Un paio di scaltri occhi azzurri lo fissavano e parevano trafiggerlo, gli occhi di un uomo che indossava un impermeabile grigio sgualcito e un cappello di feltro azzurro.
Si senti gelare il sangue nelle vene. Non era facile dimenticare il tenente Johnson, anche avendolo visto una sola volta nell’atrio di un albergo, e non occorreva spremersi le meningi per capire che cosa stesse facendo al bar di Big John, tanto lontano dal quartiere dei Brunner. Casey provò l’impulso di fuggire, di abbandonare ogni prudenza e scappare come un bambino che abbia spaccato un vetro col pallone. Ma ormai la rumba aveva elettrizzato gli astanti, e gli riuscì soltanto di farsi faticosamente strada fra la calca di ballerini.
Vide mamma uscire dalla cucina reggendo una tazza di caffè fumante e avviarsi verso il bancone su cui depose la tazza proprio davanti all’agente, mentre il fragoroso benvenuto di Big John scioglieva un poco il ghiaccio che gelava le vene di Casey. Forse non era sulle sue piste, dopotutto; forse era un cliente abituale, e comunque fuggire era fuori questione, a questo punto. Era invece indispensabile appurare la situazione.
— Caffè! — bofonchiava Big John. — Perché bere caffè una sera come questa? Via, ordina quello che vuoi. Offre la casa.
Il viso di Johnson, prima nascosto dalla tazza, riapparve rischiarato da un sorriso. — Si direbbe che si tratti di una festa speciale — disse. — Che succede, John? Un anniversario?
— Macché anniversario! Il figlio di mia moglie è tornato ieri sera con la sua sposa. Ehi, Casimir! Che c’è? Ti ha già piantato per uno di quei bei giovanotti?
Una festa è pur sempre una festa, e in tali circostanze John non era mai alieno dal gustare le proprie merci. Di conseguenza era in uno dei suoi rari stati d’animo paterni. Casey si senti trascinare verso il bancone da Big John, che gli aveva circondato le spalle con il suo braccio robusto e lo spingeva verso l’ultima persona al mondo ch’egli avrebbe desiderato avvicinare.
— Lo credevamo morto. Non si è fatto vivo per nove o dieci anni e poi, tutto d’un tratto, eccolo con la moglie. Straordinario, no?
— Per qualcuno il matrimonio equivale alla morte — osservò il tenente — ma io, essendo felicemente sposato… rallegramenti, Casimir.
Gli occhi azzurri non svelavano nulla, forse perché non avevano nulla da svelare. Del resto Casey non era neppure certo che il poliziotto lo avesse notato quella mattina nell’atrio dell’albergo. Si era semplicemente lasciato prendere dal panico, la peggior cosa che potesse fare. Cercò di tirar fuori qualche frase spiritosa per colmare lo spaventoso vuoto nella conversazione, ma Casimir Morokowski non aveva mai avuto la battuta pronta, e ora anche mamma lo stava fissando… o anche questo era frutto dei suoi nervi tesi?