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— So che cosa state pensando — le disse. — Vi chiedete chi sono e come mai so tante cose. Vi chiedete perché vostra figlia non è qui di persona, se sta bene.

— Forse lo so — rispose in tono calmo.

Parlando, si era voltata verso di lui, e Casey non riuscì a distogliere lo sguardo da quello di lei. Dai suoi occhi trasparivano sentimenti troppo varii e troppo profondi per essere capiti, ma Casey ne afferrò in parte il significato, tanto chiaramente da provarne un senso di sgomento.

— Voi siete l’uomo che mia figlia incontrò in quel bar, immagino.

Così, senza preavviso, le parole fecero l’effetto di una martellata; tuttavia annui.

— Da allora siete sempre stato con lei?

— Sì.

— Allora ditemi… senza nascondermi nulla, per piacere. — La signora Brunner esitò, ma soltanto per un attimo; quindi riprese: — È stata lei a uccidere suo padre?

Che cosa si può dire a una donna il cui marito è stato assassinato e la cui figlia è scomparsa da una settimana? Che cosa si può dire, Casey Morrow? Cercò di riprendersi dallo spavento che gli avevano procurato le brusche parole e gli pareva di stare uscendo dall’effetto di un anestetico. Ecco dunque quanto la signora Brunner aveva sempre sospettato. Non lui, non il “misterioso uomo in grigio”, ma la propria figlia. Perché? Senza riflettere pronunciò la domanda ad alta voce, ma la risposta non venne. La donna pareva d’un tratto assente e pur senza muoversi si era allontanata.

— Chi siete, signor Morrow?

— Più o meno nessuno.

— Però conoscete l’indirizzo di mia figlia.

— Appunto.

— Capisco. — Il viso di lei era molto pallido, ma non rifletteva paura. — E quanto volete per darmi l’informazione?

Strano a dirsi, l’idea di una simile proposta non gli era mai balenata, eppure la supposizione della signora Brunner non era affatto priva di logica. Ad ogni modo, era senz’altro una domanda più facile di quella precedente, alla quale non voleva neanche pensare.

— Non tengo prigioniera vostra figlia per ottenere il riscatto, se è questo che pensate — disse. — La signorina è libera di tornare a casa quando vuole. È questo anzi il guaio: non vuole tornare. Non sa neppure che io sono qui. — Se le sue parole furono fonte di stupore, la signora Brunner non ne diede segno. — Non volevo che rimaneste in ansia — aggiunse.

— In ansia? — L’ombra di un sorriso increspò le labbra di lei.

Casey notò che la sua bocca era larga, dall’espressione volitiva, ma nel suo sorriso aleggiava qualcosa di tragico.

— Lo so — riprese in fretta — è passata quasi una settimana. Io volevo mettermi in contatto con voi anche prima, ma non mi è stato possibile. Phyllis…

Esitò. Non era necessario raccontare proprio tutto, sebbene la donna gli facesse compassione.

— Dite pure, signor Morrow.

— La signorina aveva paura.

— Della polizia?

Ecco di nuovo il poco larvato sospetto.

— No, non della polizia. Ha paura dell’assassino di suo padre.

Allora, accadde una cosa… una cosa che mise Casey in allarme. La signora Brunner non fiatò, ma il suo viso subì un mutamento, una luce interna parve illuminarlo, ma quella luce si spense subito.

— Si direbbe che sappiate ben altro che il recapito di mia figlia — disse alla fine. — Forse potremmo continuare la conversazione in casa.

“Cerca di guadagnare tempo” pensò Casey. “Cerca di farsi un giudizio su di me, come sto facendo io con lei. Non le sarà però possibile tendermi un tranello e andare al telefono.” Del resto, non pareva essere quella la sua intenzione. Lo guidò lungo il sentiero inghiaiato, fiancheggiato da arbusti e cespugli, fino a due porte-finestre, e lo fece entrare in una grande stanza accogliente dai pannelli in legno di pino, rallegrata da stoffe a fiorami e da un gaio fuoco che divampava nel camino. Casey concluse che dovesse essere la biblioteca o lo studio, e l’atmosfera era proprio indicata per togliersi le scarpe e mettersi a proprio agio su uno dei comodi divani, con un libro. Lui non era molto amante della lettura, ma era un tipo di stanza che infondeva quel desiderio, che disperdeva ogni spavento o nervosismo. Un luogo dove era difficile concentrare il proprio pensiero su un delitto.

— Un caffè? — chiese la signora Brunner calmissima, come se avesse avuto a che fare con un normale visitatore. — O forse non avete fatto colazione?

— Non faccio mai la prima colazione — disse Casey. — Però se voi prendete un caffè…

L’andamento della casa era quello. Poco dopo avere ordinato una cosa la si vedeva apparire su un vassoio d’argento, e Casey si chiedeva che effetto gli avrebbe fatto passare l’infanzia in un ambiente come quello. L’aroma del caffè superava perfino quello di mamma, forse perché non era accompagnato da un diffuso sentore di birra, e il sapore era degno del profumo. Mentre beveva, non lasciò riposare il proprio cervello, e soltanto quando la tazza fu pressoché vuota cominciò a sentir pesare su di sé lo sguardo della signora Brunner.

— Suppongo che siate ansiosa di avere notizie di Phyllis — disse. Non si accorse neppure della familiarità con cui pronunciava quel nome.

— Ho atteso una settimana, ma la vita tra le altre cose mi ha insegnato a essere paziente.

Casey depose la tazza sul tavolino dal ripiano di cuoio, che separava la sua poltrona da quella della sua interlocutrice, e si protese in avanti.

— Scusate se insisto — continuò Casey — ma non eravate ansiosa sul suo conto? — L’enfasi che aveva dato alle parole suonava un po’ severa, e allora fu pronto ad aggiungere: — Intendo su quanto poteva esserle capitato. La domanda che mi avete rivolto in giardino mi ha sconcertato.

— Le volete bene? — chiese lei, fissandolo attentamente.

— È una brava ragazza.

— Molto bella anche.

Casey non era tipo da arrossire facilmente, ma sentì una vampata di calore salirgli al viso.

Intanto la signora Brunner continuava: — Ero in ansia per lei, s’intende, ma suppongo che sia naturale sfogare per primo il timore più grave. Che cosa dovevo pensare quando mi avete detto che sta bene? Questo, se non erro, ci riporta a una vostra frase di poco fa.

— Infatti. Phyllis ha paura di tornare a casa. — Casey aspettò un momento, ma la signora Brunner continuava a tacere. Ormai toccava a lui raccontare, e le riferì i fatti fin dall’inizio, dall’incontro al bar Nuvola, a lei noto, fino all’arrivo alla taverna di Big John (omettendo i nomi). Tralasciò d’informarla del matrimonio, un argomento che era meglio rimandare a quando il pasticcio fosse stato chiarito.

— Dunque avete intrapreso una vostra indagine personale — fu il commento di lei.

— Per forza. Si tratta anche della mia pelle.

— Avete scoperto nulla?

— Alcune cose. Ditemi, udiste mai vostro marito parlare di un certo Groot, Carter Groot?

Phyllis e la madre avevano una cosa in comune: quel modo fisso, quasi sconcertante di guardarlo negli occhi mentre parlava. Ammesso che il nome, o l’avervi accennato, significasse qualcosa per lei, non lo diede a vedere e finì per rispondere: — No, sono sicura che non lo nominò mai in mia presenza. È un indizio?

Sorrise lievemente, nel pronunciare l’ultima frase, dimostrando di non prendere troppo sul serio quella sua attività.

— Senz’altro — ribatté Casey. — Carter Groot è un investigatore privato che lavorava per conto di vostro marito. Portò a termine il suo compito e venne liquidato il lunedì. La stessa sera vostro marito fu ucciso.