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— Ora potete avvertire la polizia — disse Casey — oppure prestar fede alla mia versione. In fondo, sia l’una sia l’altra cosa mi sono piuttosto indifferenti.

— Phyllis Brunner — mormorò Maggie.

— Come vedete, non ho sognato.

— Altri sono al corrente?

— Alcune persone. Quando ho lasciato l’albergo, circa un’ora fa, il barista stava fornendo la mia descrizione a un tenente di polizia dall’aria molto sveglia. Non sono mai stato un genio, ma so bene che cosa significa. Quando i giornali del pomeriggio pubblicheranno i miei connotati, nessuno in città scotterà quanto il sottoscritto. E non è per vantarmi, ma penso che ci sarà anche una taglia.

— Non inducetemi in tentazione! — fece Maggie irritata. Era pallida, visibilmente preoccupata, e Casey capiva il suo stato d’animo. Non era indicato avere ospite un uomo ricercato per omicidio e fors’anche per due. Tuttavia non chiedeva aiuto, almeno per il momento.

— Perché siete tornato qui? — chiese all’improvviso. — Perché mi raccontate tutto questo?

Nessuna risposta avrebbe potuto suonare plausibile, e Casey infatti tacque. Maggie si protese a toccare il denaro come per garantirsi che almeno quello fosse vero.

— Ne ho già speso — le disse.

— E se i biglietti fossero marcati?

— Marcati? — Strano, quell’idea non gli era mai venuta. Era stato troppo indaffarato a fuggire da se stesso, troppo intimorito dall’ipotesi del fattorino, che forse era davvero personale, per pensare a una simile possibilità. Se Phyllis Brunner avesse voluto tendere un tranello a qualcuno, non avrebbe potuto trovare un soggetto più adatto. Comunque, Maggie era stata davvero amichevole a suggerirlo.

— Per lo meno ho imbroccato il campanello giusto — osservò Casey.

— Siete proprio sicuro di averlo imbroccato voi?

Era davvero uno spettacolo affascinante osservare Maggie, e l’unico paragone che gli venne in mente fu quello di un cane da caccia pronto a balzare sulla preda.

— Comincio a dubitare che siate finito davanti alla mia porta per caso. Siete stato piantato qui volutamente.

Non parlava a vanvera. Era andata all’altro capo della stanza e ora tornava, spingendo davanti a sé una grande tela. — Conosco una sola persona capace di questo — aggiunse, voltando il quadro. Non c’erano dubbi: si trattava di un ritratto di Phyllis Brunner.

5

— Vi dirò tutto quello che so di Phyllis, ma non è molto.

Maggie era seduta alla turca su uno dei due divani dello studio e fissava il ritratto pensierosa.

— Non la conoscevo con il nome di Phyllis Brunner. Si faceva chiamare Paula Browning, per via della borsa di camoscio con le iniziali P.B., suppongo. Ricordo quella borsetta in modo particolare, perché valeva per lo meno ottanta dollari, e Paula non aveva un soldo. Possedeva in tutto un tailleur da sartoria di lusso, una tuta di maglia da ginnastica e gli occhi più conturbanti che si potessero vedere.

— Color fumo — aggiunse Casey.

— Proprio! La prima volta che la vidi stava entrando nello studio di Papà Danikoff, qui accanto. Insegna danza, Danikoff, e apparteneva un tempo al Balletto Imperiale Russo, o almeno così dice. Comunque, Papà è bravo e poco esoso, e Paula era ridotta ormai al suo ultimo zaffiro.

— Brutta situazione.

— Infatti. Un giorno lo impegnò e diede una festicciola nella sua camera, che si trovava proprio sopra a questa. Furono invitati tutti gli allievi di Papà Danikoff, e andai anch’io, per non sentirmi tremare il soffitto sulla testa. Una festa riuscitissima: spaghetti, pizze e molto vino rosso. Paula si divertiva un mondo, e mentre la guardavo non potevo fare a meno di pensare che quella doveva essere la prima festa che dava in vita sua. Fu allora che decisi di ritrarla.

Maggie fece una pausa per accendere una sigaretta, e intanto fissava il ritratto, che rappresentava la figura intera di una ragazza in tuta di maglia nera, ritta contro la sbarra degli esercizi. L’attenzione veniva però per lo più attirata dal viso.

— Ne fu contenta — riprese quindi — ma non volle accettare un soldo per fare da modella.

— Benché fosse svanito anche l’ultimo zaffiro?

— Proprio. Era un’ottima modella, in complesso, ma una tremenda bugiarda. — Vedendo lo sguardo d’interesse di Casey, Maggie sorrise. — Non potevo essere certa in modo assoluto che mentisse, per lo meno sulle prime, ma anche la dabbenaggine di Maggie Doone ha un limite. Secondo lei sua madre era stata una famosa prima donna, la più bella creatura d’Europa; ungherese o qualcosa del genere, non ricordo tutti i particolari. Suo padre, d’altro canto, era l’erede di un nobile di rigidi princìpi, che l’aveva cacciato di casa perché disapprovava certe tendenze artistiche del rampollo. Paula non arrivò mai a dichiarare di essere illegittima, ma capivo che l’idea l’allettava.

— Non mancava di fantasia, almeno — fece Casey.

— Questo non è che il principio. Risultava che la bellissima prima donna era morta poco dopo la nascita di Paula, e il padre, affranto dal dolore, era caduto sempre più in basso e al momento viveva in un tugurio a Parigi, servendosi delle sue ultime risorse per dare una buona educazione alla figlia.

— Da Papà Danikoff?

Maggie rise. — I suoi racconti facevano acqua da tutte le parti, ma io non la mettevo mai con le spalle al muro. Non so spiegare, ma avevo sempre un vago timore che potesse diventare una ninfa, o qualcosa del genere, e scomparire. In effetti andò proprio così. Scomparve.

— Un momento, spiegatevi meglio.

— Filò, tagliò la corda senza preavviso. Come vedete la tela non è finita. Stava riuscendo bene, il più bel lavoro che io avessi mai fatto, secondo la mia poco modesta opinione, e quando lei mi piantò in asso ne fui seccatissima. M’informai nel quartiere, ma nessuno sapeva dove fosse finita, come del resto s’ignorava da dove fosse sbucata. Era apparsa un giorno nel nostro mondo squinternato, ne aveva fatto parte per un poco e poi se n’era andata. Uno degli allievi di Papà asserì di averla vista salire in una berlina nera, a mezzo isolato di distanza da qui, e disse che piangeva. Se ne parlò per un poco, ma in complesso noi siamo troppo immersi in noi stessi per perdere il sonno a causa del prossimo. Io però, come dico, ero rimasta male per via del ritratto.

— Finito o no — disse Casey, che trovava giustificato il dispiacere di lei — a me piace. Le assomiglia molto.

— Grazie, gentile signore — sorrise Maggie. — Un’osservazione come questa mi rende quasi vostra schiava per la vita.

Non era facile per Casey continuare a pensare ciò che voleva pensare di Phyllis Brunner, mentre il viso di lei lo fissava dalla tela, con quello sguardo un po’ vago e quel sorriso indecifrabile che increspava le labbra piene. Faceva riaffiorare una sensazione ossessionante di sogno, che non si addiceva al suo stato di calma lucidità. Distolse bruscamente gli occhi e disse: — Non l’avete più rivista?

— Mai. Una sera però, qualche settimana dopo la fuga, che avvenne circa due mesi fa, stavo sfogliando il giornale quando il mio sguardo cadde su un trafiletto nella cronaca mondana.

Maggie si alzò per andare verso una scrivania ingombra di carte, seminascosta in un angolo. Dopo aver frugato apparentemente a casaccio, trovò una pagina di giornale ripiegata più volte e la tese a Casey, dicendo: — Vecchi ricordi.

Nell’elenco dei fidanzamenti si leggeva: “Il signor Darius Brunner II e signora annunciano il fidanzamento della figlia Phyllis con Lance Gorden, eminente giovane avvocato della nostra città…”.