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Gianni Rodari

Novelle fatte a macchina

Illustrazioni di Francesco Altan
© 1994, Edizioni EL, S. Dorligo della Valle (Trieste)
© 1994, Altan/Quipòs S.r.l. per le illustrazioni
ISBN 88-7926-152-5

Le novelle qui pubblicate sono uscite per la prima volta sul quotidiano Paese Sera nel biennio 1972-73; sono state poi raccolte dallo stesso Rodari - insieme ad altre qui tralasciate per i numerosi riferimenti, oggi difficilmente comprensibili, a personaggi e situazioni di quegli anni - nel volume Novelle fatte a macchina.

INDICE

Padrone e ragioniere

ovvero

L’automobile, il violino e il tram da corsa

Il commendator Mambretti è il padrone di una fabbrica di accessori per cavatappi a Carpi, in provincia di Modena. Egli possiede trenta automobili e trenta capelli.

― Quante automobili, ― dice la gente.

― Che pochi capelli, ― sospira il commendator Mambretti. Non si sa perché: in fin dei conti, trenta è uguale a trenta, no?

Per andare in fabbrica il commendator Mambretti prende un’automobile lunga dodici metri: la più grande, la più lussuosa, la più gialla dell’intera regione Emilia-Romagna. Tutte le mattine, mentre guida, il commendator Mambretti domanda allo specchio retrovisore:

― Specchio, specchio cortese, qual è l’automobile più bella del paese?

― La sua, commendator Mambretti, ― risponde lo specchio con voce da sassofono tenore.

Soddisfatto della risposta, il più famoso produttore di accessori per cavatappi della Valle Padana pigia il pedale dell’acceleratore e la macchina scivola avanti come una regina della strada.

Una mattina di lunedì, come sempre, il commendator Mambretti strizza l’occhio e domanda allo specchio retrovisore:

― Specchio, specchio cortese, qual è l’automobile più bella del paese?

E già si prepara ad assaporare la risposta come un cioccolatino al whisky scozzese con dodici anni d’invecchiamento, quando lo specchio risponde, con voce da bassotuba:

― É quella del ragionier Giovanni.

― Mannaggia, ― dice il commendator Mambretti, pigiando il pedale del freno. È una parola che ha imparato al cinema.

― Non è possibile, ― egli grida. ― Che ti venga la congiuntivite! Il ragionier Giovanni è un morto di fame, ha solo una bicicletta senza la pompa!

Ma lo specchio, più volte interrogato, ribadisce con fermezza. Sotto la minaccia di essere fatto a pezzi, venduto come schiavo, ricoperto di carta velina, non muta la sua sentenza. Il commendator Mambretti scoppia in pianto, e un vigile gli appioppa una contravvenzione perché blocca il traffico. Paga, riparte, corre in fabbrica. Nel suo ufficio il ragionier Giovanni sta ripassando sul suo violino il concerto di Max Bruch.

Il ragionier Giovanni è un ometto secco, con i capelli bianchi. Li aveva già bianchi fin da bambino, tanto che i suoi compagni lo avevano soprannominato Biancaneve.

In ditta, fa di tutto. Lucida gli accessori per cavatappi, serve da tavolino al principale quando gira per la fabbrica e deve prendere appunti (li prende sulla schiena del ragionier Giovanni) e fa il commento musicale. Il commendator Mambretti non vuol essere da meno dei personaggi dei teleromanzi, che non parlano se non c’è il commento musicale: anche quando fuggono nella notte, hanno sempre dietro un’intera orchestra (sarà magari su un camion) che gli suona delle tremende sinfonie. Nell’ufficio c’è un paravento. Quando viene un cliente a trattare un affare, il ragionier Giovanni va dietro il paravento con il suo violino. Dalla voce del principale capisce se deve suonare un adagio, un andantino o un presto molto.

― Buongiorno, commendatore, ― dice il ragionier Giovanni, staccando l’archetto dalle corde.

Il commendatore lo guarda a lungo, con uno sguardo pessimistico, e quando parla lo fa con voce così triste, che il ragionier Giovanni si sente in dovere di attaccare il tema della morte di Isotta.

― Non ci siamo, non ci siamo, ragionier Giovanni, ― dice il commendatore, ― e lasci stare Wagner. Tutte queste novità... queste automobili...

― Ah, l’ha già saputo?

― Sono cose che si sanno. La gente mormora...

― Ma non c’è niente di male! È morta mia zia Giuditta, mi ha lasciato qualche ducato, così mi sono deciso a comprare quella macchinetta.

― Macchinetta, eh? Vadi, vadi...

― Ma, cosa dice, commendatore, guardi con i suoi occhi personali.

Là, in un angolo del cortile, si nota con qualche sforzo una minuscola automobile rossa a tre ruote, non più alta di uno sgabello. Pare un’automobile rimasta bambina per mancanza di vitamine.

― E quella lì sarebbe l’automobile più bella del paese? ― riflette il commendator Mambretti, sorridendo con un solo dente. ― Si vede che il mio specchio è diventato scemo dalla nascita. Che gli venga l’orticaria.

Intanto si vedono degli operai che attraversano il cortile per il loro lavoro. E tutti si fermano a guardare l’automobile del ragionier Giovanni. Uno le fa una carezza, un altro le spolvera un parafango col fazzoletto, un terzo è così distratto che si accende due sigarette in una volta. E nessuno sembra accorgersi che proprio quella mattina l’automobile del commendator Mambretti ha un’antenna nuova per la radio, tutta di lapislazzuli, e un quadro nuovo di Annigoni nel settore artistico.

― Sovversivi, ― borbotta il padrone. ― Basta che vedano del rosso.

Più tardi, nel tornare a casa, il commendator Mambretti domanda per l’ultima volta allo specchio retrovisore: ― Dimmi, ma non mentir, qual è l’automobile più bella del paese?

― È quella del ragionier Giovanni.

― Ma perché?

― È quella del ragionier Giovanni.