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per posta?

Lalalà lalalà...

Oscar è impressionatissimo: ― Che versi, Maestro! Ma lo sa che con una canzone così lei può anche vincere il Festival di Busto Arsizio?

― Fa’ entrare tutti, ― dice Alberto Alberto, singhiozzando. ― Darò personalmente lettura della mia composizione prima di scegliere il musichiere.

― Avanti la banda, ― grida Oscar, spalancando la porta.

Entrano, in fila per due, trenta poeti e ventiquattro musicisti (i musicisti sono meno numerosi dei poeti ma sono più grassi; il conto torna). Si schierano sull’attenti e intonano l’inno della banda, composto dallo stesso Alberto Alberto:

Cuor

amor

lalalà lalalà

cuor

lalalà

cuor cuor

lalalà lalalà

che tristezza mi fa

amor...

Stanno per attaccare la seconda strofa (la più famosa, quella che comincia con amor invece che con cuor) quando entra correndo e ansando un messaggero con la faccia di uno che vorrebbe trovarsi a Bogotà, o almeno in vacanza a Capri, e si getta ai piedi di Alberto Alberto, esclamando con voce rotta dal terrore: ― Maestro, pietà! Che sarà mai di me?

― Non lo so, ― risponde il Poeta Piangente, ― non ne ho la minima idea. Che cosa è successo?

― Il prigioniero...

― Il prigioniero?

― È fuggito!

― Anche lui a Gualdo Tadino?

― Lo ignoro, Maestro. Il guardiano della torre antica riferisce soltanto che Osvaldo, servendosi dei grissini, ha scavato un cunicolo sotto la sua cella ed è uscito in aperta campagna, in direzione nord-est.

― L’avevo detto di non dargli dei grissini troppo secchi, ― ricorda tristemente Alberto Alberto.

― Glieli davamo freschissimi, padrone, ― spiega Oscar, ― e in parte già masticati. Si vede che li conservava per farli seccare.

― Sono molto seccato, ― annuncia Alberto Alberto, gettando un fazzoletto zuppo. ― Sentiamo se il giornale radio parla di questa storica evasione.

Oscar accende la radio proprio mentre l’annunciatore dice, con la voce della festa:

― Amici miei, una grande notizia! Dopo dieci anni di ritiro e di meditazione in luogo misterioso, noto a lui solo e a pochi intimi, è tornato tra noi il celebre poeta Osvaldo. Ascolterete dalla sua stessa voce le parole della canzone da lui composta in questo fecondo decennio di solitudine.

Osvaldo (tossicchia, si raschia in gola). Attacca:

Amor

cuor

ricordo ancor

la triste sera che mi lasciasti

per fuggire a Molfetta

col ragionier Vincenzo Bartoletta

di anni ventotto e mesi tre

lalalà lalalà...

― Spegnete! ― urla Alberto Alberto. ― Quel demonio mi ha ingannato su tutta la linea: Cuor-amor-ancor... Aveva già trovato la nuova rima e mi faceva credere che gli mancavano ancora diciotto mesi di lavoro. Voi, altri, rip-poso!

I poeti e i musicisti, che per tutto questo tempo erano rimasti sull’attenti, si rilassano.

Alberto Alberto riflette: ― C’è un profondo mistero in tutto ciò. Forse...

Ma un improvviso scoppio di voci ruba per sempre ai posteri il seguito di quella dichiarazione della più alta importanza. Sale, dal giardino sottostante, un coro minaccioso:

Lalalà lalalà

perchè perchè

sei fuggita da me

senza lavar

la macchinetta del caffè

cuor amor lalalà...

La banda di Osvaldo circonda la villa del Poeta Piangente cantando il suo inno di guerra. Alberto Alberto non ha un attimo di esitazione: ― Ai posti di combattimento!

Poeti e musicisti si appostano presso le porte e le finestre. Oscar batte le mani e i camerieri portano immediatamente numerosi paioli di polenta fumante, che viene sempre tenuta pronta per emergenze del genere. La polenta è fatta con la farina fina che, essendo impermeabile all’aria, si conserva bollente più a lungo. Quando la banda di Osvaldo, guidata dal suo diabolico capo di ritorno dalla prigionia, viene all’attacco, i difensori le rovesciano addosso la polenta, cantando eroicamente l’inno composto da Alberto Alberto per questa evenienza, che dice:

Cuor amor

come scotta

la polenta stracotta

anche senza marmellata

lalalà lalalà...

L’assalto è respinto. Osvaldo e la sua banda si preparano a un lungo assedio. Bisogna sapere che la villa sorge alla periferia della città, sulle colline dell’Ovest. Il Poeta Piangente in persona ha scelto quel posto, di dove si ammirano meravigliosi e commoventi tramonti. Ora Osvaldo, animato dall’odio implacabile e dal desiderio di vendetta, innalza in giardino un immenso schermo di plastica bianca, che impedisce totalmente ad Alberto Alberto la vista dei tramonti in oggetto. Per ispirarsi egli è costretto a farsi proiettare da Oscar dei piccoli tramonti sulla parete del salotto: non è davvero la stessa cosa... La produzione di lacrime diminuisce sensibilmente... È difficile cantare amori infelici, tradimenti e abbandoni, fidanzamenti interrotti, fughe di amanti infedeli in Romagna o a Potenza, davanti a quei tramontini casalinghi di metri tre per due.

Della fame Alberto Alberto non si preoccupa: egli tiene in cantina una riserva inesauribile di farina gialla e salsicce. Ma i versi... i versi gli riescono sempre meno disperati... sempre meno malinconiosi... sempre più asciutti... Un giorno egli giunge a dettare al fido Oscar una poesia che comincia così:

Cuor

raffreddar

mannaggia al locomotor...

Oscar ha un brivido di spavento. Poeti e musicisti, che si erano radunati per ascoltare, balzano indietro come se avessero calpestato per distrazione un cobra.

― Maestro, ― bisbiglia Oscar, ― non ha dimenticato nulla? Non le pare che manchi una parola... una parolina... che comincia per a e finisce per or?

― Ma cosa, ― balbetta Alberto Alberto, ― quale parolina?... Ascoltator? Appaltator? Alfabetizzator?... Bè, dimmela tu, senza farla tanto lunga.

Ventilator, ― suggerisce Oscar. E subito si accorge che voleva dire un’altra cosa. Egli rivolge uno sguardo supplichevole agli altri poeti e musicisti. Tutti si provano a suggerire:

Cavolfior...

― Scardassator...

― Servomotor...

Macché. Non ce la fanno; La parola amor si sottrae ad ogni tentativo di pronuncia. La banda sta per piombare nel più cupo sconforto, ma non fa in tempo, perché dal giardino la voce di Osvaldo grida, a mezzo altoparlante: ― Protesto! State usando armi sleali e proibite dalla convenzione di Sanremo! State facendo ricorso all’ipnotismo! Io e i miei uomini non riusciamo più a pronunciare quella parola di quattro lettere che comincia per a, finisce per or, ma non è né ascensoraromatizzator. Se non la smettete, farò bombardare la villa con quarantotto pianoforti a coda.