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― Ma questo è puro vandalismo! ― esclama il signor Fulvio.

― Povera me, ― aggiunge la signora Lisa.

― Credevo di aver comprato una bambola e invece ho comprato una strega!

Entrambi si gettano sulla piccola Enrica, la prendono in braccio a turno, l’accarezzano e la coccolano, la sbaciucchiano.

― Puah! ― dice la bambola dall’alto dell’armadio su cui si è rifugiata per tagliarsi i capelli, che per i suoi gusti sono troppo lunghi.

― Ma senti, ― inorridisce il signor Fulvio.

― Dice anche: Puah! Questa può avergliela insegnata solo tuo fratello.

Il signor Remo compare sulla porta, come se lo avessero mandato a chiamare. Gli basta un’occhiata per capire la situazione. La bambola gli strizza l’occhio.

― Cosa succede? ― domanda lo zio, fingendo di cadere da una nuvola rosa.

― Quella lì, ― singhiozza la povera Enrica, ― non vuole fare la bambola! Chi sa cosa si crede di essere.

― Voglio andare in cortile a giocare ai birilli, ― dichiara la bambola, facendo volare ciocche di capelli da tutte le parti. ― Voglio una grancassa, voglio un prato, un bosco, una montagna e il monopattino. Voglio fare la scienziata atomica, il ferroviere e la pediatra. Anche l’idraulico. E se avrò una figlia, la manderò al campeggio. E quando la sentirò dire: “Mamma, voglio fare la casalinga come te e lucidare le scarpe di mio marito, di sopra e di sotto”, la metterò in castigo in piscina e per penitenza la porterò a teatro.

― Ma è proprio matta! ― osserva il signor Fulvio. ― Forse le si è guastato qualche transistor.

― Dai, Remo, ― prega la signora Lisa, ― dalle un’occhiata, tu che te ne intendi.

Il signor Remo non si fa pregare a lungo. E nemmeno la bambola. Essa gli salta addirittura in testa, dove si mette a fare i salti mortali.

Il signor Remo la tocca qui e là, in punti diversi e in altri ancora. La bambola diventa un microscopio.

― Hai sbagliato, ― dice la signora Lisa.

Il signor Remo tocca ancora. La bambola diventa una lanterna magica, un telescopio, un paio di pattini a rotelle, un tavolo da ping-pong.

― Ma cosa fai? ― chiede il signor Fulvio al cognato. ― Adesso la rovini del tutto. S’è mai vista una bambola che sembra un tavolo?

Il signor Remo sospira. Tocca di nuovo. La bambola ridiventa una bambola. Ha di nuovo i capelli lunghi e la lavatrice incorporata.

― Mamma, ― dice, ma stavolta con voce da bambola. ― Voglio fare il bucato.

― Oh, finalmente! ― esclama la signora Lisa. ― Questo si che si chiama parlare. Su, Enrica, gioca con la tua bambola. Sei in tempo a fare un bel bucatino prima di pranzo.

Ma Enrica, che tutto questo è stata a vedere e ascoltare, ora sembra incerta sul da farsi. Guarda la bambola, guarda lo zio Remo, guarda i genitori. Finalmente caccia un sospirone e dice: ― No, voglio andare in cortile a giocare a birilli con gli altri bambini. E forse farò anche il salto mortale.

Una per ogni mese

Gennaio: I pesci

― Sta’ attento, ― dice il pesce grosso al pesce piccolo, ― quello lì è un amo. Non abboccare.

― Perché? ― domanda il pesce piccolo.

― Per due ragioni, ― risponde il pesce grosso. ― La prima è che se abbocchi, ti pescano, t’infarinano e ti friggono in padella. Poi ti mangiano, con due foglie d’insalata per contorno.

― Ohibò! Anzi, grazie tante. Mi hai salvato la vita. E la seconda ragione?

― La seconda ragione, ― dice il pesce grosso, ― è che ti voglio mangiare io.

Febbraio: Il numero trentatrè

Conosco un piccolo commerciante. Non commercia né in zucchero né in caffè, non vende né sapone né prugne cotte. Vende solo il numero trentatrè.

È una persona onestissima, vende roba genuina e non ruba mai sul peso. Non è di quelli che dicono: “Ecco il suo trentatrè, signore” e invece magari è soltanto un trentuno o un ventinove.

I suoi trentatrè sono tutti garantiti di marca, dispari al cento per cento, tre decine e tre unità, l’accento sull’ultima sillaba.

Non fa grandi affari, però. Di trentatrè non c’è un grande smercio. Solo quelli che debbono andare dal dottore entrano nel negozietto e ne comprano uno. Ma ci sono anche di quelli che comprano un trentatre usato a Porta Portese. Lui ad ogni modo non si lamenta. Potete mandare da lui un bambino, o anche un gatto, con la sicurezza che non farà imbrogli.

È un onesto esercente. Nel suo piccolo, è una colonna della società.

Marzo: La cartolina

C’era una volta una cartolina senza indirizzo. C’era scritto soltanto: “Saluti e baci” E sotto la firma: “Pinuccia”. Nessuno poteva dire se questa Pinuccia fosse signora o signorina, una vecchia bisbetica o una ragazzetta in blue jeans. O magari una spia.

Tanta gente avrebbe voluto prendersi almeno uno di quei saluti e di quei baci, almeno il più piccolo. Ma, come fidarsi?

Aprile: L’assedio

Il generale Tuthià disse al gran Faraone: ― Maestà, quella città lì, con un assedio regolare non la prendiamo neanche a piangere. Ci vuole un trucco.

― E tu, ce l’hai?

― Ce l’ho, sì.

Il generale fece disporre di notte mille grosse giare intorno alla città assediata. Dentro ogni giara c’era un soldato armato di tutto punto. Poi l’esercito egiziano fece armi e bagagli, sgombrò il campo, battè in ritirata. Gli assediati corrono alle mura, non vedono più gli egiziani, vedono le giare e gridano: ― Buone! Per il raccolto delle olive, è quello che ci vuole.

Ci vollero cento carri per portare le giare in città. Di notte, poi, i soldati egiziani ruppero le giare, saltarono fuori, aprirono le Porte, appiccarono il fuoco; il Faraone tornò con tutte le sue truppe. Morale: vittoria completa. Gran festa, fuochi artificiali.

Solo il generale Tuthià non si mostrava troppo contento.

― Ma come, ― fece il Faraone, ― ti ho dato la massima decorazione dell’impero, una pensione di prima categoria, mille cavalli, uno per ogni giara, cosa vuoi di più?

― Niente, Maestà. Ma penso che tra mille anni, alla guerra di Troia, un generale greco farà con un solo cavallo quello che io ho fatto con mille giare. Purtroppo noi non conosciamo ancora il cavallo. E così quello si prenderà tutta la gloria.

― Guardie, ― gridò allora il Faraone, ― acchiappate questo traditore e tagliategli la testa. Lui non voleva la città, voleva la gloria. Voleva un poeta per fargli la biografia. Passare alla storia non gli bastava: voleva passare anche alla poesia. A morte!

Maggio: Dialoghetto

― Che cosa si aspetta da me la gente?

― Che tu da lei non ti aspetti niente.

Giugno: Gli uccelli

Conosco un signore che ama gli uccelli; Tutti: quelli di bosco, quelli di palude, quelli di campagna. I corvi, le cutrettole, i colibrì. Le anatre, le folaghe, i verdoni, i fagiani. Gli uccelli europei, gli uccelli africani. Ha un’intera biblioteca sugli uccelli: tremila volumi, molti dei quali rilegati in pelle.

Egli adora istruirsi sugli usi e costumi degli uccelli. Impara che le cicogne, quando scendono dal Nord al Sud, percorrono la linea Spagna-Marocco o quella Turchia-Siria-Egitto, per schivare il Mediterraneo: ne hanno una gran paura. Non sempre la strada più corta è la più sicura.