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Sono anni, lustri, decenni che quel mio conoscente studia gli uccelli. Così sa di preciso quando passano, si mette lì col suo fucile automatico e bang! bang!, non ne sbaglia uno.

Luglio: La catena

La catena si vergognava di se stessa. “Ecco”, pensava, “tutti mi schivano e hanno ben ragione: la gente ama la libertà e odia le catene”.

Passò di lì un uomo, prese la catena, salì su un albero, ne legò i due capi a un ramo robusto e ci fece l’altalena.

Ora la catena serve per far volare in alto i figli di quell’uomo, ed è molto contenta.

Agosto: In treno

In treno faccio conoscenza con un signore. Conversiamo piacevolmente del più, del meno e anche di altre cose. A un certo punto egli dice: ― Sa, io vado a Domodossola!

― Bravo! ― esclamo con ammirazione. ― Lei ha fatto un magnifico complemento di moto a luogo.

Egli assume di colpo un’espressione severa, persino un po’ disgustata.

― Guardi, ― dice seccamente, ― che certe cose io le lascio fare agli altri.

E per tutto il resto del viaggio non mi rivolge la parola.

Settembre: L’Aida

La nostra cittadina ha festeggiato ieri il signor Trombetti Giovancarlo, che in trent’anni di lavoro ha registrato da solo e senza aiutanti l’opera Aida del maestro Giuseppe Verdi.

Ha cominciato che era quasi un ragazzo, cantando davanti al microfono del suo registratore la parte di Aida, poi quella di Amneris, poi quella di Radamès. Una dopo l’altra ha cantato e registrato tutte le parti.

Anche i cori. Siccome il coro dei sacerdoti doveva essere di trenta cantanti, lo ha dovuto cantare trenta volte. Poi ha studiato tutti gli strumenti, dal violino alla grancassa, dal fagotto al clarino, dalla tromba al corno inglese, eccetera. Ha inciso le parti una per una, poi le ha fuse in un nastro comune per ottenere l’effetto dell’orchestra.

Tutto questo lavoro l’ha fatto in uno scantinato affittato all’uopo, lontano dal suo domicilio. Alla famiglia diceva che andava a fare gli straordinari. E invece andava a fare l’Aida. Ha fatto i rumori degli elefanti, quelli dei cavalli, i battimani alla fine delle arie più famose. Per fare l’applauso alla fine del primo atto, ha applaudito tutto da solo, per la durata di un minuto, tremila volte, perché aveva deciso che allo spettacolo assistessero tremila persone, delle quali quattrocentodiciotto dovevano gridare: “Bravi!”, centoventuno: “Benissimo!”, trentasei: “Vogliamo il bis!”, dodici, invece: “Cani! Andatevi a nascondere”.

E ieri, come ho detto, quattromila persone, stipate nel teatro comunale, hanno avuto la prima audizione dell’eccezionale opera. Alla fine quasi tutti erano d’accordo nel dire: “Straordinario! Pare proprio un disco!”

Ottobre: Divento piccolo

È terribile diventare piccoli a questo modo, tra gli sguardi divertiti della famiglia. Per loro è uno scherzo, la cosa li mette di buon umore. Quando il tavolo mi sorpassa, si fanno carezzevoli, teneri, affettuosi. I nipotini corrono a preparare la cesta del gatto: evidentemente si propongono di farne la mia cuccia; mi sollevano da terra con delicatezza, prendendomi per la collottola, mi posano sul vecchio cuscino stinto, chiamano amici e parenti a godersi lo spettacolo del nonno nella cesta. E divento sempre più piccolo. Mi possono chiudere, ormai, in un cassetto insieme ai tovaglioli, puliti o sporchi. Nel giro di pochi mesi non sono più un padre, un nonno, uno stimato professionista, ma un affanno che si fa passeggiare sul tavolo quando la televisione non è accesa. Prendono la lente d’ingrandimento per guardarmi le unghie piccolissime. Tra poco basterà una scatola di cerini a contenermi. Poi qualcuno troverà la scatola vuota e la butterà via.

Novembre: I giornali

Conosco un altro signore in treno. È salito a Terontola con sei giornali sotto il braccio. Comincia a leggere.

Legge la prima pagina del primo giornale, la prima pagina del secondo giornale, la prima pagina del terzo giornale, e così via fino al sesto.

Poi passa a leggere la seconda pagina del primo giornale, la seconda pagina del secondo giornale, la seconda pagina del terzo giornale, e avanti così.

Poi attacca la terza pagina del primo giornale, la terza pagina del secondo, con metodo e diligenza, prendendo ogni tanto qualche appunto sui polsini della camicia.

A un tratto mi coglie un pensiero spaventoso: “Se tutti i giornali hanno lo stesso numero di pagine, va bene; ma che cosa succederà se un giornale ha sedici pagine, un altro ventiquattro, un altro soltanto otto? Vedendo fallire il suo metodo, che cosa farà quel povero signore?”

Per fortuna scende a Orte e io non faccio in tempo ad assistere alla tragedia.

Dicembre: Il vocabolario

Una pagina del vocabolario su cui medito spesso è quella in cui coabitano silenziosamente, senza mai salutarsi né farsi gli auguri di buon anno, l’ortensia, l’ortica, l’ortolano e l’ortografia.

La cosa mi intriga assai. Fin che immagino l’ortolano intento a strappare l’ortica perché l’ortensia cresca liberamente, la mia pace non è turbata. Ma poi l’ortolano si mette a insegnare l’ortografia allortensia, la quale, essendo un fiore, se ne infischia. A questo punto passa, nella stessa pagina, un prete ortodosso. Per chi sta pregando? Per lortensia defunta, per lortolano matto o per tutti quelli che soffrono a causa dellortografia? Questo interrogativo spalanca davanti ai miei occhi un vero e proprio abisso, in fondo al quale - cioè in fondo alla pagina - vagola solitario il verbo ortografizzare. Pare che significhi: “seguire le regole dell’ortografia”. Ma il suo suono è spaventoso. Forse è un verbo cannibale.

Il giardino del commendatore

Il commendator Mambretti, proprietario di una fabbrica di accessori per cavatappi, del quale abbiamo già più volte parlato, si è fatto un bel giardino, con zona frutteto. Il giardiniere si chiama Fortunino.

― Che razza di nome le ha messo suo padre, ― osserva il commendator Mambretti, appena lo viene a sapere.

― In onore del maestro Verdi, commendatore.

― Ma il Verdi non si chiamava mica Giuseppe?

― Giuseppe, si, ma di secondo nome Fortunino. E di terzo, Francesco.

― Va bene, va bene, ― dice il commendator Mambretti. ― Parliamo di pere. Domani vengono a colazione da me il commendator Mambrini e il commendator Mambrillo e gli voglio far assaggiare le pere del mio giardino. Me ne faccia trovare un bel piatto in tavola.

Fortunino impallidisce: — Commendatore, non è mica la stagione delle pere questa qua.

Mambretti lo guarda con aria di compassione.

― Vediamo, ― dice, ― il pero mi sembra sano, robusto.

― Se è per questo, l’ho trattato bene: concime, insetticida, potatura, eccetera, tutto a regola d’arte.