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― Il primo premio è un’isola nei Mari del Sud.

― Mica male! Vi siete proprio affezionati alla Terra, pare.

― Sì, il vostro pianeta è molto popolare da noi. I nostri dischi volanti lo hanno fotografato in lungo e in largo e molte ditte che producono dadi per il brodo si sono fatte avanti per accaparrarsi la possibilità di distribuire oggetti terrestri nei loro concorsi, ma la ditta Eric ha ottenuto l’esclusiva dal governo.

― Ora ho capito bene, ― sbotta il sindaco; ― ho capito che per voi la Torre di Pisa è roba di nessuno! Il primo che se la piglia, è sua.

― La signora Boll Boll la metterà nel suo giardino; avrà certamente un grande successo: correranno karpiani da tutta Karpa per vederla.

― Mia nonna! ― grida il sindaco. ― Questa è la fotografia di mia nonna. Ve la do gratis; la signora Boll Boll potrà metterla in giardino per fare bella figura con le sue amiche. Ma la torre non si tocca! Mi ha sentito bene?

― Guardi, ― dice il capo spaziale al sindaco, mostrando un bottone della sua tuta, ― lo vede questo? Se io lo schiaccio, Pisa salta per aria e non torna più a terra.

Il sindaco resta senza fiato. Intorno a lui la folla inorridisce in silenzio. Si sente solo, in fondo alla piazza, una voce di donna che chiama: ―Giorgina! Renato! Giorgina! Renato!

Il signor Carletto Palladino borbotta mentalmente: ― Ecco, con le buone maniere si ottiene tutto.

Non fa in tempo a finire questo importante pensiero, che la torre... scompare, lasciando un buco nel quale l’aria si precipita con un sibilo.

― Visto? ― domanda il capo spaziale. ― Molto semplice.

― Cosa ne avete fatto? ― grida il sindaco.

― Ma eccola là, ― dice il karpiano, ― l’abbiamo rimpicciolita un tantino per poterla trasportare: una volta a casa della signora Boll Boll le ridaremo le sue dimensioni normali.

Difatti là, dove la torre si ergeva in tutta la sua altezza e pendenza, al centro dello spiazzo vuoto lasciato dalla sua sparizione, si può vedere ora una torricina piccina piccina, simile in tutto e per tutto ai ricordini del signor Carletto Palladino.

La gente si fa uscire dal petto un lungo ooohh! durante il quale si sente ancora la voce di quella signora che chiama i suoi bambini: ―Renato! Giorgina!

La signora Boll Boll fa per chinarsi a raccogliere la minitorre e metterla in borsetta, ma prima di lei qualcuno, e precisamente il signor Carletto Palladino, si getta sui miseri resti dell’antico e famoso monumento, come i cani si gettano (così, almeno, la raccontano) sulla tomba del padrone. I karpiani, colti di sorpresa e di contropiede, tardano un momento a reagire; ma poi, con tutte quelle braccia, non fanno nessuna fatica ad immobilizzare il signor Carletto, a sollevarlo di peso e a depositarlo a debita distanza.

― Ecco fatto, ― dice il capo spaziale. ― Ora noi abbiamo la torre, ma a voi restano tante altre belle cose. La missione di cui eravamo stati incaricati per conto della ditta Eric è compiuta. Non ci resta che dirvi arrivederci e grazie.

― Andate al diavolo! ― risponde il sindaco. ― Pirati! Ma ve ne pentirete. Un giorno avremo anche noi i dischi volanti...

― Il brodo con i buoni―punto ce l’abbiamo di già, ― aggiunge una voce dal fondo.

― Ve ne pentirete! ― ripete il sindaco.

Si sente il tac della borsetta della signora Boll Boll, richiusa con energia karpiana. Si sente un nitrito del cavallo del sindaco, ma non si capisce che cosa voglia dire. Poi si sente la vocetta del signor Carletto, che fa: ― Scusi, signor karpiano...

― Dica, dica.

― Avrei una preghiera da rivolgervi.

― Una petizione? Allora deve usare la carta bollata.

― Ma si tratta solo di una sciocchezza. Dal momento che la signora Boll Boll ha avuto il suo premio... se voi volete...

― Che cosa?

― Ecco, io avrei qui questo modellino del nostro bel campanile. È un giocattolino di marmo, come vedete. A voi non costerebbe niente ingrandircelo ad altezza naturale, così almeno ci resterebbe un ricordino del nostro campanile...

― Ma sarebbe una cosa finta, senza nessun valore storico-artistico-turistico-pendente, ― osserva, stupito, il capo spaziale. ― Sarebbe un surrogato come la cicoria.

― Pazienza, ― insiste il signor Carletto. ― Ci contenteremo.

Il capo spaziale spiega la strana richiesta al suo collega e alla signora Boll Boll, che scoppiano a ridere.

― Che buffonata! ― protesta il sindaco.

― Non vogliamo nessuna cicoria!

― Lasci fare, signor sindaco, ― dice il signor Carletto.

― Va bene, ― fa il capo spaziale. ― Dia qua.

Il signor Palladino gli consegna il modellino; il capo spaziale lo colloca al punto giusto, gli punta addosso un bottone della sua tuta (un altro, non quello delle bombe ) e... là! Fatto! Ecco di nuovo la Torre di Pisa al suo posto...

― Bella roba! ― continua a protestare il sindaco. ― Si vede di lontano che è falsa come Giuda. Oggi stesso farò demolire questa vergogna.

― Come vuole lei, ― dice il capo spaziale.

― Bè, noi ce ne andiamo, neh? Buongiorno e buona Pasqua.

I karpiani risalgono sul loro quasi elicottero, tornano sull’astronave d’oro e d’argento, e subito dopo in cielo c’è soltanto un passero solitario, che torna sulla vetta della torre antica.

Poi succede una cosa strana. Davanti a tutta quella gente disperata, alle forze dell’ordine sconsolate, al sindaco che singhiozza, il signor Carletto Palladino si mette a ballare la tarantella e il saltarello.

― Poverino! ― dice la gente. ― È diventato matto per il dolore.

― Matti sarete voi, ― grida invece il signor Carletto. ― Stupidelli e sciocchini, che non siete altro! E siete pure distratti come il cavallo del sindaco. Non vi siete accorti che gli ho scambiato la torre sotto il naso, ai karpiani?

― Ma quando???

― Quando l’hanno rimpicciolita e io mi ci sono buttato sopra, fingendo di fare il cane sulla tomba del padrone. L’ho sostituita con uno dei miei ricordini. Nella borsetta della signora Boll Boll c’è la torre fasulla! E quella vera è questa qua, questa qua; e ce l’hanno pure fatta tornare grande e pendente come prima; e ci hanno pure fatto quattro risate. Ma guardate, toccate, leggete tutti i nomi che ci avete scarabocchiato sopra...

― È vero! È vero! ― grida una signora. ― Ecco qui i nomi dei miei bambini, Giorgina e Renato. Ce li hanno scritti proprio stamattina con la biro!

― Bravi! ― fa un vigile urbano, dopo aver controllato. ― Proprio così. Cosa fa, signora, la contravvenzione la paga subito o gliela mando a casa?

Ma la contravvenzione, per una volta, la paga generosamente il sindaco di tasca sua, mentre il signor Carletto Palladino viene portato in trionfo, che, per lui, è tutta una perdita di tempo, perché intanto i turisti comprano i ricordini dalla concorrenza.

Miss Universo dagli occhi color verde-venere

Delfina, chi è? È la parente povera della signora Eulalia Borgetti, che ha una lavanderia a secco a Modena, in Canal Grande. Le figlie della vedova Borgetti, Sofronia e Bibiana, si vergognano un po’ di una cugina così povera, sempre vestita di una vestaglia grigia, sempre in lavanderia a trafficare con le macchine, a pulire giacche di renna, a stirare pantaloni e camicie. Tra loro due, la chiamano quella là. Sanno che la mamma la tiene per carità, per compassione e perché rende come due operaie e non costa un soldo di contributi. Però qualche volta anche loro si commuovono e la portano al cinema, dove la mandano ai secondi posti, mentre loro vanno ai primi.

― Sono così di cuore, le mie ragazzuole, ― dice la signora Eulalia, stando bene attenta che Delfina non prenda la seconda fetta di zampone.

Ma Delfina non la prende. E beve acqua E alla frutta mangia le mele, non i mandaranci. E lava i piatti, intanto che Sofronia e Bibiana scartano cioccolatini. E va perfino a messa, perché qualcuno della famiglia ci deve andare.